VÓTO

Agitatrice de le forti selve,

Amor di Giove e di Latona vanto,

Diva da l’arco, cui de l’Erimanto

Temon le belve:

S’io per te dómo il fulminante orgoglio

Del reo cignale su quel nero monte,

Io questo pino da l’aerea fronte

Sacrar ti voglio.

Diran dal tronco le mascelle appese

Con tale scritta le sudate prove:

A la dea prole di Latona e Giove

Delio lunese.

XXXI.

A NEERA

L’olmo e la verde sposa

Vedi in florido amplesso accolti e stretti:

Vedi a l’ilice annosa

Attorcersi i corimbi giovinetti.

Deh! se del roseo braccio

Così, bianca Neera, m’avvincessi,

E tra ’l soave laccio

Il capo stanco io nel tuo sen ponessi,

Un lungo amore insieme

Giugnendo l’alme ognor, dolcezza mia,

Non altra gioia o speme,

Non altro a desiar lo spirto avria.

Non me non me dal fiore

Del caro labbro, fin di tutte brame,

Svegliar potria sopore,

Non cura di lieo, non dura fame.

Allor noi senza duolo

Il fato colga; innamorati spirti

Noi tragga un legno solo,

Pallido Dite, a’ suoi secreti mirti.

Di ciel che mai non verna

La ferma ivi berremmo aura sincera,

Sotto i piè nostri eterna

Rinascendo co’ fior la primavera.

In tra i nobili eroi

Ivi a’ ben nati amor vivono ognora

L’eroine onde a noi

Mormora un suon d’esigua fama ancora,

E menan danze, e alterni

Canti giungono al suon d’alterna lira;

E su’ germogli eterni

Zefiro senza mutamento spira.

Scherza con l’ôra incerta

Di lauri un bosco; de le aulenti frondi

Sotto l’ombra conserta

Ridon le rose ed i giacinti biondi.

A l’ombre pie d’intorno,

Non da rigidi imperi esercitato,

Sotto il purpureo giorno

Germina splende e olezza il suol beato.

Solinga ombra amorosa

Ivi oblia Saffo la leucadia pietra,

E pur languida posa

La tenue fronte su la dotta cetra.

Siede Tibullo a l’ombra

Ove docil da’ colli un rio declina;

E di dolcezza ingombra

I sacri elisii l’armonia latina.

E noi, Neera, il canto

De’ morti udrem; noi sederem tra’ fiori

De l’asfodelo. Intanto

Mesciamo i dolci e fuggitivi amori. [13]

13 Traduzione o imitazione dal Basium II di Giovanni Secondo.

XXXII.

PRIMAVERA CINESE

Or sono i dí che zefiro

Tepido e lieve aleggia

E che la pioggia placida

I novi fior careggia.

Ora un mattino in floridi

Rami le gemme afforza,

Che timidette ruppero

Da la materna scorza.

Or a gli affetti sposansi

I facili pensieri

E impazïenti volano

In cantici leggeri,

Come la nebbia ch’umida

Gli archi del ponte gira,

Come quest’ombra tremula

Ad ogni aura che spira.

Oh misero a cui scemasi

De gli anni il bel tesoro

Mentre a la terra indocile

Chiede l’inutil oro!

La neve ch’empiea rigida

Tutto pur dianzi il cielo,

E i fior che lieti salgono

Dal fuggitivo gelo,

Son de la vita imagine

Fuggente, e in lei s’appaga

Tra i desiderii l’anima

E le memorie vaga.

Pace! Anche tu, bellissima

Colomba vïatrice

Che lamentando mormori

Da la natia pendice,

Se pïetosa il numero

De’ miei pensier richiedi,

Lascia il soave gemito

Ed al tuo nido riedi.

Pria conteransi i tumidi

Germi che il suolo or manda

E i fiori onde sí splendida

Quest’albero ha ghirlanda. [14]

14 Fatta veramente su ‘l motivo d’antico poeta cinese, Kaokiti; il cui canto può vedersi tradotto nella Storia universale di Cesare Cantù ( Letteratura, vol. I, pag. 372: Torino, Pomba, 1841).

XXXIII.

ALLA B. DIANA GIUNTINI

VENERATA IN SANTA MARIA A MONTE

Qui dove arride i fortunati clivi

Perenne aprile e l’aure molli odora

E ondeggian mèssi e placido d’olivi

Bosco s’infiora,

Quando pie voglie e be’ costumi onesti

Erano in pregio e cortesia fioriva

Le tósche terre, qui l’uman traesti

Tuo giorno, o diva.

E ti fûr vanto gli amorosi affanni

Onde nutristi a Dio la nova etate,

E fredda e sola ne l’ardor de gli anni

Virginitate:

Pur risplendeva oltre il mortal costume

La dia bellezza nel sereno viso,

E dolce ardea di giovinezza il lume

Nel tuo sorriso.