Vale, o Titano Apolline,
Re del volubil anno!
Or solitario avanzami
Amore, ultimo inganno.
Andiam: de la mia Delia
Ne gli atti e nel sorriso
Le Grazie a me si mostrino
Quai le mirò Cefiso;
E pèra il grave secolo
Che vita mi spegnea,
Che agghiaccia il canto ellenico
Ne l’anima febea! [10]
10 Per Cerinto e Sulpizia vedi il libro IV delle Elegie di Tibullo.
XXVIII.
A DIANA TRIVIA
Tu cui reina il cieco Erebo tiene
E Arcadia in terra cacciatrice t’ama,
Ma in ciel de l’Ore il biondo stuol ti chiama
Bella Selene;
Ora che i bianchi corridor del lento
Freno tu tempri e regni su la diva
Notte, m’ascolta; se da noi t’arriva
Prego o lamento.
Non tra quest’ombre io la vendetta affretto
Già meditata; il casto raggio odiando,
Non io prorompo a invadere co ’l brando
Cognato petto.
Io amo: e Cintia, l’espugnata al fine
Cintia superba, a novi amor si rende;
E, dubitosa, del notturno scende
Orto al confine.
Che tu nel carro de la luna stai
Intemerata come il ciel cui reggi,
Che dea severa te d’amor le leggi
Non piegâr mai,
Cantano i vati: ma non sempre varia
De’ prometìdi su le brevi paci
Vegli, ma in terra ti detragge a i baci
Giovin di Caria.
Allor l’ambrosia i tuoi cavalli erranti
Pascono, l’aere alto silenzio ingombra,
E te lodando mesconsi per l’ombra
Sacra gli amanti.
Or, bella diva, or vela il tuo splendore:
Corri pe’ templi aerei tacente:
Me Amor precede, e rompe la cedente
Tenebra Amore.
Tu passi e splendi: sotto il vivo raggio
Ride il giardino in ogni lato aperto:
Io tra li sguardi curïosi incerto
Fermo il vïaggio.
Ah falsa dea! va’ su’ misteri orrendi
De’ druidi a correr sanguinosa, ascolta
L’emonie voci, e da le maghe svolta
Ne l’orgie scendi.
E già scendesti da l’argentea biga
Ostie d’umani e d’ospiti a mirare
Su l’aspra riva cui l’aquilonare
Flutto castiga:
Piú rea che quando il fior del disonesto
Eburneo corpo abbandonasti a Pane,
Calda d’amore a le donate lane,
Fredda pe ’l resto.
Oh ben ti tolse il gran senno odïerno
E biga e soglio! Un vano idolo or sei;
E anch’io ti spregio, e torno a’ patrii dèi
Vate moderno. [11]
11 È una variazione su l’idillio VIII di Mosco, su l’elegia VII di Lod. Ariosto O ne’ miei danni… , su le stanze di Ph.
Desportes Nuict jalouse nuict… e su la canz. VIII, p. 1, di T. Tasso Chi di mordaci…
XXIX.
BRINDISI
Beviam, se non ci arridano
Le sacre Muse indarno,
Ora che artoa caligine
Preme i laureti d’Arno.
Gema e ne l’astro pallido
Stanchi le inferme ciglia
La scelerata astemia
Romantica famiglia:
A noi progenie italica
Ridan gli dèi del Lazio,
La madre de gli Eneadi
E l’armonia d’Orazio.
M’inganno? o un’aura lirica
Intorno a me s’aggira?
Flacco, io ti sento: oh, al memore
Convivio assisti e spira!
Or che percuote l’ungaro
Destrier la valle ocnea,
E freme il lituo retico
Dove Maron nascea;
Or che l’efòd levitico
La diva Roma oscura,
E altier di Brenno il milite
La sacra via misura;
Qui cupe tazze vuotansi
Secondo il patrio rito,
Ben che sia lunge l’arbitro
Del libero convito.
Flacco, il tuo bello Apolline
Fuggí dal suol latino
Cedendo innanzi a Teutate
Ed a l’informe Odino,
La musa a noi da gelide
Alpi tedesche or suona,
Turba un vil gregge i nitidi
Lavacri d’Elicona:
Noi pochi e puri (il secolo
Sieci, se vuol, nemico)
Libiamo a Febo Apolline
E al santo carme antico.
Lenti, e che state? or s’alzino
Colme le tazze al vóto.
A le decenti Cariti,
Ecco, tre nappi io vuoto.
Sacro a’ sapienti è il numero
De i nappi tre: ma nove
A noi ne chieggon l’impari
Figliuole ascree di Giove.
Né san le dive offendersi
Del temperato bere,
Né tu discordi, o Libero,
Da le virtú severe.
Anch’ei la tazza intrepido
Catone al servo chiese,
Poi ripensando a Cesare
Il roman ferro prese:
E, in quel che Bruto vigila
Su le platonie carte,
Cassio tra’ lieti cecubi
Gl’idi aspettò di Marte. [12]
12 Di Cassio sappiamo da Plutarco, nella vita di Bruto, che era epicureo e buon compagno.
XXX.
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