AD ANTONIO GUSSALLI
RACCOGLITORE
DEGLI SCRITTI DI PIETRO GIORDANI
Qual tra le ingiurie di Fortuna e i danni
Il dí traesse di conforto nudi,
Pur preparando ne’ solinghi studi
Questa Italia novella a liberi anni,
Quel grande cui tremâr preti e tiranni
E d’ogni servitú gli eterni drudi
Quand’ei gli ozi turbò de’ tristi ludi
Cui dritto è forza e son ragion gl’inganni,
Narrasti, ospite egregio; e i degni accenti,
Che pietà di suo zel dritto infiammava,
Piú vivi spirti a l’amor santo dierci.
Oh degno ei ben che de le fiacche menti
L’oblio lui segua e de la turba prava
E il feroce oltre al rogo odio de’ cherci!
XLVIII.
A TERENZIO MAMIANI
Come basti virtú, perché suprema
Ira e furor d’ingegni e pellegrino
Regno piú in fondo il nome italo prema,
A contrastare il fato in cor latino,
Ben mostri or tu: che, mentre ignuda e scema
D’ogni loda e bel pregio a reo cammino
Torce la gente, in su l’etade estrema
Sofo e vate d’Italia e cittadino
Vero pur sorgi, come al secol bello
Quando al valor natio spazio era dato
D’addimostrarsi in generosi esempi.
O d’antica virtú gentile ostello
Petto latin, pur come suoli, al fato
Dura, e di te nostro difetto adempi.
XLIX.
IN SANTA CROCE
O grandi, o nati a le stagion felici
Di questa Italia ch’or suo verno mira.
A cui tanto spiraro i cieli amici
Che in voi fûr pari amor potenza ed ira;
In servitú che pur giova e s’ammira
Cresciuto a’ giorni di valor nemici,
In van de gli anni miei contro la dira
Oblivïon chieggo da voi gli auspici.
Al gener vostro ozio è la vita, scherno
Ogni virtude: in questi avelli or vive,
Qui solo, e in van, la patria nostra antiqua:
A i quali io siedo e fremo, a le mal vive
Genti imprecando, de l’etade obliqua
Dispregiator, ch’altro non posso, eterno.
L.
A UN CAVALLO
Viva, o prode corsiero! A te la palma,
A te del circo il pläudìr fremente!
L’uom che te bruta disse ignobil salma,
Per te lo giuro, a sé adulando ei mente.
Da quel corpo tuo bello oh come l’alma
Splendeva, a i premi ed a le mète ardente!
Or posi; e guardi in tua leggiadra calma
I vinti angli polledri alteramente.
E vinto avresti quei famosi tanto,
Quei che immortali Automedon giugnea
E sferzava il Pelide in ripa a Csanto.
Deh, ché non ferve a te l’arena elea,
E de l’uguale a’ dii Pindaro il canto
Ché non ti segue là su l’onda alfea?
LI.
Non vivo io, no. Dura quïete stanca,
L’ingegno, e ’l sempre vaneggiar lo irrita
Indarno. Manca ogni ragion di vita,
Se libertade, ahi libertà!, ne manca.
Qui dischiusa dal cor parola franca
È con pavento e con ischerno udita,
E argomento di riso altrui si addita
Uom che per sé del vulgo esce e si affranca.
Or che mi val, se co ’l pensier trascendo
Tra ’l ceto de gli eroi fuor de’ neri anni
Te libertà, divina ombra, seguendo?
Vissuto io fossi a sterminar tiranni
Con voi, Roma ed Atene; e non garrendo,
Infermo augel ch’ebbe tarpati i vanni!
LII.
PER I FUNERALI D’UN GIOVANE
Se affetto altro mortal per te si cura,
Spirto gentil cui diamo il rito pio,
Pon dal ciel mente a questa vita oscura
Che già ti piacque e al bel nido natio
Vedi la patria come sua sventura
Di tua candida vita il fato rio
Piangere e ’l fior de gli anni tuoi cui dura
Preme l’ombra di morte e il freddo oblio.
Quindi ne impetra tu, che a te simíle,
Dritta a l’oprar, modesta a la parola,
Cresca la bella gioventú virile,
E senta come a fatti egregi è scola
Anche una tomba cui pietà civile
E largo pianto popolar consola.
LIII.
Poi che l’itale sorti e la vergogna
Del rio servizio a quale animo altero
O d’ingegno o di mano il pregio agogna
Interrompono inique ogni sentiero,
Peso è la vita insopportabil fero
A chi virtude e libertà pur sogna.
Ond’io quasi de’ vili i premi or chero,
Se non che il genio mio tal mi rampogna:
— Oh, che pensi, che vuoi? spettacol degno
De i numi e di sublimi animi, uom forte
Pugnar piú sempre quanto piú constretto,
E ’l fato lui d’ogn’ira sua far segno,
E lui soffrire ed aspettar la morte
Pur contro il mondo e contro i fati eretto. —
LIV.
E ch’io, perché lo schernir tuo m’incalza,
Vinto porga la man, turba molesta?
Non io son fiore a cui brev’aura è infesta,
Elce son io che a’ venti indura e s’alza.
Mitrata il crine e cinta i fianchi e scalza
Salmeggi itala musa; o, qual rubesta
Menade oscena a suon di corno desta,
Salti ed ululi pur di balza in balza.
Io, dispregiato e sol, de’ padri miei
Io l’urne sante abbraccio; e mi conforta
Riparar qui dove posar vorrei.
Manchi a me pur l’ignuda gloria, morta
Giaccia co ’l corpo la memoria, a’ rei
Sia scherno il vuoto nome: oh che m’importa?
LV.
IN UN ALBO
Spirto gentil, che chiedi? Ormai l’altero
Sogno vanìo per l’aure, e il mondo tace.
Cadde l’ellena dea; del mio pensiero
Madre, l’ellena dea per sempre giace.
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