Né sia piú mai
Cosa che a questa offesa anima apprenda
Com’io di donna a servitú piegai.
XVIII.
E tu, venuto a’ belli anni ridenti
Quando a la vita il cor piú si disserra.
Contendi al fato il prode animo, e in terra
Poni le membra di vigor fiorenti.
Ahi, ahi fratello mio! Deh, quanta guerra
Di mesti affetti e di pensier frementi
Te su gli occhi de’ tuoi dolci parenti
Spingeva ad affrettar pace sotterra!
Or teco posa il tuo dolor. Né il viso
Piú de la madre e non la donna cara
O il fratel giovinetto o il padre pio,
Né i verdi campi vedrai piú; né il riso
Del ciel, né questa luce… ahi luce amara!
Vale, vale in eterno, o fratel mio.
XIX.
Te gridi vil quei che piegò la scema
Alma sotto ogni danno ed a l’ostile
Possa adulò, pago a cessar l’estrema
Liberatrice d’ogni cor gentile:
Te gridi vile il mondo, il mondo vile
Che muor di febbre su le piume, e trema,
Pur franto da la lunga età senile,
In conspetto a la sacra ora suprema.
Ben te, o fratel, di ricordanza pia
Proseguirà qual cor senta i funesti
Regni del fato e il viver nostro orrendo,
Te che di sangue spazïosa via
A l’indignato spirito schiudesti,
Giovinetto a la morte sorridendo.
XX.
E voi, se fia che l’imminente possa
Deprechiate e del fato empio le guerre,
Voi non avrete a cui regger si possa
Vostra vecchiezza quando orba si atterre.
Soli del figliuol vostro in su la fossa
Quel dí che i dolorosi occhi vi serre
Aspetterete. O forse no. Son l’ossa
Sparse de’ nostri per diverse terre.
Oh, che il dí vostro d’atre nubi pieno
Non tramonti in procella! oh, che il diletto
Capo si posi ad un fidato seno!
Io chiamo invano al mio paterno tetto,
E cresce il tedio e gioventú vien meno.
Deh, chi mi torna, o buoni, al vostro petto?
XXI.
O cara al pensier mio terra gentile
Ch’a la pura sorgendo aria azzurrina
D’alto vagheggi regnatrice umìle
Il pian che largo al biondo Arno dichina:
Tu ridi allegra al ciel che di simíle
Gioia t’arride e al tuo favor s’inchina;
A te dolci aure, a te perenne aprile
Veston di verde il campo e la collina.
E a te da questo inverno reo la mente
Ed il cuor lasso mio tendono a volo:
Tu tieni l’uno e l’altro mio parente
Co ’l fratel che mi avanza, e del tuo suolo
Abbracci quel ch’io non baciai morente:
In te tutto è il mio bene: io qui son solo.
XXII.
Qui, dove irato a gli anni tuoi novelli
Sedesti a ragionar co ’l tuo dolore,
Veggo a’ tepidi sol questi arboscelli,
Che tu vedevi, rilevarsi in fiore.
Tu non ti levi, o fratel mio. D’amore
Cantan su la tua fossa erma gli uccelli:
Tu amor non senti; e di sereno ardore
Piú non scintilleran gli occhi tuoi belli.
Ed in festa venir qui ti vid’io
Oggi fa l’anno; e il dire anco mi sona
E ancor m’arride il tuo sorriso pio.
Come quel giorno, il borgo oggi risona
E si rallegra del risorto iddio,
Ma terra copre tua gentil persona.
XXIII.
Non son quell’io che già d’amiche cene
Destai la gioia tra’ bicchier spumanti.
Torpe la mente irrigidita, e piene
D’amaro tedio stan l’ore cessanti.
Ira è che il viver mio fero sostiene
Sol una, e il cor con sue tede fumanti
M’arde e depreda. O miei verd’anni, o spene
Mia che mi giaci, ahi già sfiorita, innanti!
Anche del caro imaginar la brama
Al tempo m’abbandona; e resta, immane
Muto fantasma, intorno a me, la vita.
Ma un’ombra io sento che il mio nome chiama,
E duolsi a me che sola ella rimane,
E di là da le quete onde m’invita.
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