E qui belle traéno

A’ rosei tabernacoli

Donzellette cui ’l seno

Tra i bianchi lin moveasi

Intatto anche a gli amori.

Sotto gli astri roranti e a’ miti ardori

Del sole i verginali

Carmi intorno volavano,

Mentre il piacer da l’ali

Stillava ingenuo nèttare

E Terpsicore dea

Invisibil co ’l suon danze movea.

«La sposa ecco di Tereo

Canta tra i verdi rami,

Né par che omai del barbaro

Marito si richiami:

Piú scorte note a lei

Amore insegna e piú soavi omei.

Canta: e noi mute, o vergini,

L’udiamo. Oh quando fia

Che venga e me pur susciti

La primavera mia,

E rondine io diventi

Che l’allegra canzon commette a’ venti?

Già voluttade l’aere

Empie di rosei lampi:

Sentono i campi Venere,

Amor nacque ne i campi:

Effuso dal terreno

Lui raccolse la dea nel latteo seno.

E lo nudrîr le lacrime

D’odorati arboscelli,

E lo addormiro i gemiti

De l’aure e de’ ruscelli,

E lo educaro i molli

Baci de’ fiori in su gli aperti colli.

L’umor che gli astri piangono

Per la notte serena

Sottil corre a la nubile

Rosa di vena in vena,

Onde al zefiro sposo

Sciolga il peplo domani e il sen pomposo.

Di Cipri ella da l’ìcore

Nata d’Amor tra i baci

Tien gemme e fiamme e porpore,

O Ciel, da le tue faci;

E conoscente figlia

A le tue nozze il talamo invermiglia,

Allor che da le pendule

Nubi la maritale

Pioggia a la Terra cupida

Discende in grembo, ed ale

Nel vasto corpo i vasti

Feti che tu, Ciel genitor, creasti.

Dal sangue tuo l’oceano

Tra selve di coralli,

Tra le caterve cerule

E i bipedi cavalli,

A i liti almi del lume

Vener produsse avvolta in bianche spume.

Ed ella or del suo spirito

Le menti arde e le vene,

Del nuovo anno l’imperio

Procreatrice tiene,

Ed aria e terra e mare

Soave riconsiglia a sempre amare.

Da i boschi, o delia vergine,

Cedi per oggi: noi

Invia la diva placide

Nunzie de’ voler suoi:

Non macchi, ahimè!, ferina

Strage la selva il dì ch’ella è reina.

Essa a le ninfe il mirteo

Bosco d’entrare impone:

Amore a quelle aggiugnesi,

Ma l’armi pria depone.

Francate, o ninfe, il core:

Posto ha giú l’armi, è ferïato Amore.

La madre il volle, pavida

No il picciolin rubello

Altrui ferisca improvvido.

Ma pur Cupido è bello.

Guardate, o ninfe, il core:

È tutto in armi, anche se nudo, Amore.

Con lui fermò nel Lazio

De’ lari idei l’esiglio,

E una laurente vergine

La dea concesse al figlio

D’Anchise; e quindi a Marte,

Sbigottita orfanella in chiome sparte,

Di Vesta ella dal tempio

Traea la sacerdote:

Onde il gran padre Romolo

E Cesare nipote;

Onde i Ramni e i Quiriti,

E tu, o Roma, signora in tutti i liti.»

Beate! e i lieti cori

Non rompea lituo barbaro,

Né i verecondi amori

Turbava allora il fremito

Che dal cuore ne preme

La tradita d’Italia ultima speme.

Nel sangue nostro i nostri

Campi ringiovaniscono;

E quando lento i chiostri

Del verde pian d’Insubria

Apre l’aratro e frange,

Su l’ossa rivelate un padre piange.

Non biondeggia superba

Da’ nostri solchi Cerere,

Ma lei calpesta acerba

L’ugna de’ rei quadrupedi;

E tu, vento sereno,

Scaldi a’ tiranni osceni amor nel seno.

Oh quando fia che d’armi

E monte e piano fremano

A’ rai del sol, e i carmi

Del trïonfo ridestino

Co’ suon del prisco orgoglio

I numi addormentati in Campidoglio?

Te allor, cinti la chioma

De l’arbuscel di Venere,

Canterem, madre Roma;

Te del cui santo nascere

Il lieto april s’onora,

Te de la nostra gente arcana Flora. [9]

9 È una specie d’idillio lirico, nel quale per le rappresentazioni della natura volle tornarsi alle forme del politeismo classico, e ai sentimenti della natura volle mescolarsi le ire nazionali del presente d’allora. Il canto messo in bocca alle fanciulle romane festeggianti la primavera nell’isoletta del Tevere [strofe 14-27] è imitazione o riduzione del Pervigilium Veneris. Chi volesse saper di piú su ‘l luogo l’occasione e i modi di quella festa, cerchi il proemio del Wernsdorf a quell’idillio ( Poetae latini minores, II).

XXVII.

A FEBO APOLLINE

De la quadriga eterea

Agitator sovrano,

Sferza i focosi alipedi,

Bellissimo Titano.

Te pur, de l’ugna indocile

Stancando il balzo eoo,

Chiamaro in van ne’ vigili

Nitriti Eto e Piroo,

Quando la bella Orcamide

Ti palpitò su ’l core

E gli achemenii talami

Chiuse ridendo Amore.

E a noi con l’alma Venere

Facile Amor si mostra,

E noi gli amplessi affrettano

De la fanciulla nostra.

In vano, in van la rigida

Madrigna a me la niega;

Amor che tutto supera,

Amor che tutto piega,

Vuol, fausto iddio, commetterla

Ne le mie mani e vuole

I nostri amor congiungere,

Te declinato, o Sole.

Ed ella omai le tacite

Cure nel petto anelo

Volge, e te guarda. Oh giungati

Il caro sguardo in cielo!

Dolce fiammeggian l’umide

Luci nel vano immote:

Siede pallor lievissimo

In su le rosee gote.