Ma questa voce che è? un rotolìo che mai non finisce, come d’un treno che non arriva mai. È il Fiume, cioè il Serchio. Di’, Maria, dolce sorella: c’è stato tempo che non non s’udiva quella voce? Oh! sì: belle Panie aguz-ze e taglienti, bel fiume sonoro, cari balestrucci affaccendati care verlette, care canipaiole, cari reattini, caro campanile; sì, c’è stato quel temo che non non si viveva così da presso. E se sapeste, che dolore allora, che pianto era il nostro, che solitudine rumorosa, che angoscia segreta e continua! Ma via, uomo, non ci pensare: mi dite. Ma no, pensiamoci anzi. Sappiate che la dolcezza lunga delle vostre voci nasce da non so quale risonanza che esse hanno nell’intima cavità del dolore passato. Sappiate che non vedrei ora così bello, se già non avessi veduto così nero. Sappiate che non godrei tanto di così tenute (per altri!) materia di gioia, se il martòro non fosse stato così duro e così durevole e non fosse venuto da tutte le possibili fonti di dolore, dalla natura e dalla società, e non ne avesse ferito tutte le possibili sedi, l’anima e il corpo, l’intelligenza e il sentimento. Non è vero, Maria? E benedetto dunque il dolore! Perché in ciò riconoscere un atroce sgarbo della matrigna Natura, che il poco bene che ci dà, ci dia solo a patto di male? Io dico parola più giusta.
Io dico: O madre Natura, siano grazie a te che anche dal male ricavi per noi il bene. Noi, mansueta Maria, abbiamo a lungo camminato per l’erta viottola del dolore, e ci siamo anche stancati, o Maria, molto; ma la passeggiata ci ha dato un giovanile appetito di gioia. Sì, che anche una crosta ammuffita e una scodella di legumi sono buon cibo alla nostra fame.
Ricordiamo, o Maria: ricordiamo! Il ricordo è del fatto come una pittura:
pittura bella, se impressa bene in anima buona, anche se di cose non belle. Il
ricordo è poesia, e la poesia non è se non ricordo. Quindi noi di poesia ne abbiamo a dovizia. Potrò significarla altrui? Aspettando i “Canti di Castelvecchio” e
i “Canti di San Mauro”, il presente e il passato, la consolazione e il rimpianto,
aspettando questi canti che echeggiano già così soave nelle nostre due anime
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 6
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli
Giovanni Pascoli Primi poemetti
– Prefazione Q
sole; leggi, o Maria, anzi rileggi questi poemetti. E leggeteli voi, anime candide,
cui li affido. leggeteli candidamente. Perché pare naturale in chi legge una
continua preoccupazione, come se egli pensasse o sapesse che chi scrive si rivolge a
lui con aria di baldanza e quasi di sfida, dicendogli: Vedi come sono bravo!
Onde il lettore fa ogni sforzo per resistere e non lasciarsi persuadere o commuo-vere da colui che egli suppone sia per menar vanto di tale successo. Oh! no,
candide anime! io non voglio farmi onore; voglio, cioè vorrei, trasfondere in
voli, nel modo rapido che si conviene alla poesia, qualche sentimento e pensiero
mio non cattivo. Vorrei che voi osservaste con me, che a vivere discretamente, in
questo mondo, non è necessario che un po’ di discrezione… Vorrei che pensaste
con me che il mistero, nella vita, è grande, e che il meglio che ci sia da fare, è
quello di stare stretti più che si possa agli altri, cui il medesimo mistero affanna
e spaura. E vorrei invitarvi alla campagna.
Appunto oggi è arrivata gente di fuori, di lontano. I rondoni. Strillano in gruppi di quattro o cinque: in corse disperate, come pazzi. Fanno il nido nei buchi lasciati dalle travi. Ecco che io ho intorno casa anche i rondoni, popolo bellicoso e straniero, vestito di nero opaco. Ahimé! con le rondini non andranno d’accordo! saranno risse e guerre! Ma no.
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