Pareva che nulla vi potesse accadere. E lo diceva anche l'orologetto di bronzo, tra i due cestelli, di cui nello specchio si vedeva il dietro soltanto. Figurava una fontanella, e aveva un cristallo di rocca a spirale, che girava e girava col moto della macchina. Quant'acqua aveva versato quella fontanella? Ma la conchetta non s'era riempita mai. Ed ecco la sala, da cui si scende nel giardino. (Da una stanza all'altra si passa a traverso uscioli bassi che pajon compresi del loro ufficio, e ciascuno sappia le cose che ha in custodia nella stanza.) Questa, da cui si scende nel giardino, è la preferita, in tutte le stagioni. Ha il pavimento di mattoni laghi, quadrati, di terracotta, un po' logorati dall'uso. La carta da parato, a roselline, è un po' sbiadita, come le tende di velo, pure a roselline della finestra e della porta a vetri, da cui si scorge il pianerottolo della breve scala di legno, a collo, e la ringhierina verde e il pergolato del giardinetto incantato di luce e di silenzio. La luce filtra verde e fervida a traverso le stecche della piccola persiana della finestra, e non si soffonde nella stanza, che rimane in una fresca, deliziosa penombra, imbalsamata dalle fragranze del giardino. Che felicità, che bagno di purezza per l'anima, a stare un po' distesi su quel divano antico, dalle testate alte, coi rulli di stoffa verde, anch'essa un po' scolorita. - Giorgio! Giorgio! Chi chiama dal giardino? È nonna Rosa, che non arriva a cogliere neppure con l'ajuto della sua cannuccia i gelsomini di bella notte, or che la pianta, crescendo, s'è rampicata alta sù sù per il muretto. Piacciono tanto a nonna Rosa quei gelsomini di bella notte! Ha sù, nell'armadio a muro, una cassettina piena di spighe a ombrello di rizòmolo, seccate; ne prende una ogni mattina, prima di scendere in giardino; e quando ha raccolto i gelsomini con la sua cannuccia, siede all'ombra del pergolato, inforca gli occhiali e infilza a uno a uno quei gelsomini negli esili gambi di quella spiga a ombrello, finché non ne forma una bella rosa bianca, piena, dal profumo intenso e soave che va a deporre religiosamente in un vasetto sul piano del cassettone nella sua camera, innanzi all'immagine del suo unico figliuolo, morto da tant'anni. È così intima e raccolta, quella casetta, e paga della vita che racchiude in sé, e senz'alcun desiderio di quella che si svolge rumorosa fuori, lontano! Sta lì, come rannicchiata dietro il poggio verde, e non ha voluto neanche la vista del mare e del golfo meraviglioso. Voleva rimanere appartata, ignorata da tutti, quasi nascosta lì in quel cantuccio verde e solitario, fuori e lontana dalle vicende del mondo. C'era una volta sul pilastrino del cancello una targhetta di marmo, che recava il nome del proprietario: Carlo Mirelli. Nonno Carlo pensò di levarla, quando la morte trovò la via, la prima volta, per entrare in quella schiva casetta perduta in campagna, e si portò via il figliuolo di appena trent'anni, già padre a sua volta di due piccini. Credette forse nonno Carlo che, tolta dal pilastrino la targhetta, la morte non avrebbe trovato più la via per ritornare? Nonno Carlo era di quei vecchi, che portavano la papalina di velluto col fiocco di seta, ma sapevano leggere Orazio. Sapeva dunque che la morte, aequo pede, picchia a tutte le porte, abbiano o non abbiano il nome inciso sulla targhetta. Se non che, ciascuno, accecato da quelle che stima ingiustizie delle sorte, prova il bisogno irragionevole di rovesciar le furie del proprio cordoglio su qualcuno o su qualche cosa. Le furie di nonno Carlo, quella volta, s'abbatterono su l'innocente targhetta del pilastrino. Se la morte si lasciasse afferrare, io la avrei afferrata per un braccio e condotta davanti a quello specchio, ove con tanta limpida precisione si riflettevano nell'immobilità i due cestelli di frutta e il dietro dell'orologetto di bronzo, e le avrei detto: - Vedi? Vàttene ora! Qua deve restar tutto così com'è! Ma la morte non si lascia afferrare. Abbattendo quella targhetta, forse nonno Carlo volle significare che - morto il figliuolo - lì, di vivi, non restava più nessuno! La morte ritornò poco dopo. C'era una viva, che perdutamente ogni notte la invocava: la nuora vedova, che, appena morto il marito, si sentì come staccata dalla famiglia, straniera nella casa. Così, i due piccini orfani: Lidia, la maggiore di appena cinque anni, e Giorgetto di tre, restarono del tutto affidati ai due nonni non ancora tanto vecchi. Riprendere daccapo la vita quando già comincia a mancare, e ritrovare in sé le prime maraviglie dell'infanzia; ricomporre attorno a due rosei bimbi gli affetti più ingenui, i sogni più adatti, e ricacciare come importuna e fastidiosa l'esperienza, che di tratto in tratto sporge il viso di vecchia appassita per dire, ammiccando dietro gli occhiali: avverrà questo, avverrà quest'altro, quando ancora non è avvenuto niente, ed è così bello che non sia avvenuto niente; e fare e pensare e dire come se veramente non si sapesse altro fuor di quello che per ora sanno i due piccini che non sanno nulla: fare come se le cose non fossero riviste in un ritorno, ma con gli occhi di chi va innanzi per la prima volta e per la prima volta vede e sente: questo miracolo operarono nonno Carlo e nonna Rosa; fecero cioè per i due piccini assai più di quel che avrebbero fatto il padre e la madre, i quali, se fossero vissuti, giovani com'erano entrambi, avrebbero pur voluto godersi la vita ancora un po' per sé. Né il non averne più da godere per loro rese più facile il compito ai due vecchi, perché ai vecchi si sa che è grave il peso d'ogni cosa, che non abbia più né senso né valore per essi. I due nonni accettarono quel senso e quel valore, che i due nipotini a mano a mano, crescendo, cominciarono a dare alle cose, e tutto il mondo si ricolorò di giovinezza per loro e la vita riebbe candore e freschezza d'ingenuità. Ma che potevano sapere del mondo tanto grande, della vita tanto diversa, che s'agitava fuori, lontano, quei due giovinetti nati e cresciuti nella casa di campagna? I vecchi, quel mondo e quella vita, li avevano dimenticati, tutto per essi era ridiventato nuovo, il cielo, la campagna, il canto degli uccelli, il sapor delle vivande. Di là dal cancello, non c'era più vita. La vita partiva di qua e nuova s'irraggiava tutt'intorno; e niente s'immaginavano i vecchi che potesse venirne da fuori; e anche la morte, anche la morte avevano quasi dimenticata, che pure già due volte era venuta.