L’idea iniziale è di ricostruire l’avventurosa esistenza della cantante Madeleine d’Aubigny, il cui comportamento aveva fatto rumore alla fine del Seicento: travestita da cavaliere aveva sostenuto duelli, provocato innamoramenti appassionati, né aveva disdegnato le alcove femminili. Il tema è decisamente scabroso, e l’editore Renduel vi vede una buona occasione editoriale. Ma assai presto l’intreccio e la struttura della narrazione cominciano a seguire leggi proprie, e la situazione iniziale – rispettosa dei tempi e dei modi del romanzo epistolare settecentesco – esplode in un dinamico travolgimento di generi, regole e ruoli. Di Madeleine d’Aubigny resta ben poco: la vicenda si svolge in uno spazio extratemporale, e coinvolge i personaggi in un vorticoso gioco di ruoli. Sarebbe inutile cercarvi la coerenza, l’unitarietà, la verosimiglianza, la linearità... La struttura del romanzo è continuamente messa in discussione, stravolta. Neppure per un attimo Gautier ha pensato di scrivere un romanzo storico; ha invece seguito liberamente il proprio piacere di narratore e di creatore di ‘congegni d’arte’. Al centro del gioco, il mito della bellezza femminile e della suprema perfezione dell’androgino. Gautier comincia a scolpire le sue statue pagane in marmo di Paros. Ed è intorno alla bellezza fisica che si svolge un’affascinante metafora della sublimazione della vita quotidiana in una sfera di pura idealità; ma senza nessuna astrazione: la bellezza è erotica o non è. Così intorno al triangolo d’Albert, Théodore (Mademoiselle de Maupin) e Rosette, sul filo di una sessualità insofferente dei ruoli, si svolge un caleidoscopico ‘romanzo per il romanzo’, nel quale i migliori lettori del tempo vedono – come Baudelaire – un «inno alla bellezza». Ma è anche un inno alle possibilità infinite di un gioco letterario liberato da regole e modelli, e di uno stile dalle risorse infinite.

Memore delle accuse di immoralità per il suo articolo su Villon, in una polemica prefazione al romanzo Gautier attacca per primo i critici moralisti che sicuramente grideranno allo scandalo per certe scene particolarmente erotiche o scabrose. È la più ampia e vitale formulazione delle concezioni filosofiche e letterarie di Gautier. Ironico, provocatorio, impertinente, e soprattutto libero, Gautier sbeffeggia i critici che in nome del «progresso» e dell’«utile» vorrebbero limitare la libertà di creazione. Non è una prefazione, è un manifesto: «No, imbecilli, no, cretini e gozzuti che siete, un libro non fa la minestra di gelatina, un romanzo non è un paio di stivali senza cucitura, un sonetto non è uno zampillo a getto continuo, un dramma non è una strada ferrata: tutte cose estremamente civilizzatrici e che fanno camminare l’umanità lungo la via del progresso. In nome delle budella di tutti i papi passati, presenti e futuri, no, duecentomila volte no. Con una metonimia non facciamo un berretto di cotone, un paragone non lo calziamo come una pantofola, un’antitesi non può servirci da ombrello [...]. Veramente bello è soltanto ciò che non può servire a niente: tutto ciò che è utile è brutto perché è l’espressione di determinati bisogni, e quelli dell’uomo sono ignobili e disgustosi, come la sua povera e inferma natura. Il luogo più utile in una casa è il cesso. [...] Con grande letizia rinunzierei ai miei diritti di francese e di cittadino per vedere un quadro autentico di Raffaello, o una bella donna nuda: per esempio la principessa Borghese quando ha posato per Canova, o Giulia Grisi quando entra nella vasca da bagno [...]». Felicemente pagano, del tutto estraneo ai valori del cristianesimo, Gautier oppone agli squallidi paesaggi della sopravvivenza sociale l’alternativa di un estetismo consapevole della drammaticità della condizione umana: «Tre sono le cose che mi piacciono», confessa d’Albert, proiezione di Gautier, «l’oro, il marmo e la porpora: splendore, solidità, colore. Di questo sono fatti i miei sogni, e tutti i palazzi che costruisco alle mie chimere sono fatti di questi materiali».

Madeleine de Maupin. Double amour, pubblicato in due volumi (1835 e 1836), fa scandalo ma non ha successo; i critici, attaccati frontalmente, fanno terra bruciata. Renduel, deluso per il secondo insuccesso editoriale di Gautier (anche la vendita dei Jeunes-France è andata piuttosto male), gli restituisce il manoscritto di una nuova raccolta poetica, La Comédie de la mort (La Commedia della morte), cui Gautier tiene moltissimo. Si aprono tuttavia nuove possibilità: Balzac, che ha appena fondato «La Chronique de Paris» ed è rimasto colpito dallo stile di Gautier in Mademoiselle de Maupin, gli chiede di collaborare con testi narrativi; altri direttori di giornali hanno scoperto nell’autore della vivace préface delle doti di polemista che possono essere sfruttate. Si prepara una svolta decisiva nella condizione di Gautier scrittore.



«La morte amoureuse»

Dal giugno del 1836 collabora alla rivista di Balzac, su cui pubblica il racconto La morte amoureuse (La morta innamorata), e dal mese di agosto inizia a tenere – insieme con Nerval – un feuilleton di critica teatrale su «La Presse» di Emile de Girardin: è l’inizio di una sempre più gravosa attività giornalistica, da cui Gautier si sentirà presto oppresso. In questo stesso anno Gautier compie un primo viaggio all’estero, in Belgio, in compagnia di Nerval; anche in questo caso si tratta di un inizio, come inviato speciale che fornirà ai giornali francesi centinaia di reportages, innumerevoli articoli di critica artistica e letteraria. Il 1836 è anche un anno fondamentale per la vita sentimentale di Gautier: muore consumata dalla tisi la giovane amante Cidalise, e la sua morte riapre l’antica ferita della perdita della giovanissima Hélène, l’amica dell’adolescenza di Gautier. A proposito della morte di Cidalise, Nerval scrive versi accorati: «Dove sono le nostre innamorate? / Sono nella tomba. / Sono più felici / in un luogo più bello [...]».