E se non si fosse fidata della propria imparzialità, a rassicurarla ci sarebbe sempre stato il giudizio di Strefford. In simili materie, nella loro cerchia di amici passava per maestro: nel tracciare il suo profilo, i suoi panegiristi aggiungevano sempre: « E come sapete, scrive ». In realtà il pubblico pagante era rimasto piuttosto freddo nei confronti delle poche pagine che aveva pubblicato, ma viveva in mezzo al tipo di persone che confondono il gusto con il talento e che si fanno impressionare dai tentativi di espressione letteraria più elementari; e sebbene Strefford affettasse di non tenere in nessun conto il loro giudizio, nonché le proprie fatiche, Susy sapeva che non gli dispiaceva affatto che di lui si dicesse: « Oh, magari Streffy avesse deciso… ».

Il giudizio che aveva dato del romanzo filosofico l’aveva convinta che era valsa la pena di rimanere a Venezia per il bene di Nick; se soltanto Ellie fosse tornata e si fosse portata Clarissa a St. Moritz o a Deauville, lo sgradevole episodio da cui si dipendeva la loro felicità si sarebbe dissolto come una nuvola, lasciandoli a un godimento totale.

Ellie non arrivava, ma arrivarono Mortimer Hicks e famiglia, con il risultato che Nick venne preso dagli scrupoli che sua moglie aveva previsto. Strefford, di ritorno una sera dal Lido, aveva riferito di avere riconosciuto l’immenso profilo dell’Ibis tra gli scafi da diporto all’ormeggio nel porto esterno; e la sera immediatamente successiva, mentre gli ospiti di palazzo Vanderlyn stavano godendosi il loro gelato al Florian, sullo sfondo della piazza ecco delinearsi gli Hicks.

Susy aveva perorato invano con il marito in difesa della sua privacy. « Ricordati che sei qui per scrivere, carissimo; è tuo dovere non consentire che nessuno vi interferisca. Perché non dire loro che stiamo per partire? »

« Perché non servirebbe a niente: continueremo di sicuro a incontrarli. Inoltre, che io sia impiccato se cercherò di evitarli. Ho passato cinque mesi interi sul loro Ibis e, se di quando in quando mi hanno annoiato, non mi ha certamente annoiato l’India. »

« Comunque ci faremo portare da loro ad Aquileia », intervenne filosoficamente Strefford; un attimo più tardi gli Hicks si abbattevano sul loro indifeso terzetto.

Presentavano un fronte formidabile, non soltanto per questioni di stazza fisica – i signori Hicks erano entrambi egualmente e maestosamente tridimensionali –, ma perché non andavano mai all’estero senza la scorta di due segretari privati (uno per le lingue straniere), del medico di lui, di un’attempata zitella denominata Eldoradder Tooker, cugina di lei e stenografa, e per finire di loro figlia Coral.

L’ultima volta che Susy li aveva visti tutti assieme, Coral Hicks era una scolaretta grassa e occhialuta, sempre al seguito dei genitori con un riluttante barboncino appeso al guinzaglio. Ora il barboncino era scomparso e a guidare la processione era la sua padroncina. La scolaretta grassa si era trasformata in una giovane dama di profilo, se non precisamente grazioso, perlomeno compatto; gli occhiali erano stati sostituiti da un unico occhialetto a manico lungo, attraverso cui, invece di uno sguardo sbarrato e ottuso, la signorina Coral Hicks ne proiettava sul mondo uno al tempo stesso sicuro di sé e critico. Aveva un tale tono di energia e disinvoltura che Susy, presele le misure in un lampo, capì che la sua posizione in testa al corteo non era casuale, al punto che mormorò tra sé: « Meno male che non è anche carina! ».

Ma se non era carina era però ben vestita; e se era eccessivamente colta, sembrava in grado, come aveva lasciato intendere Strefford, di sopperire anche a questo determinante svantaggio. In ogni modo si guardava bene dal dissimularlo; il gruppo non aveva ancora preso posto da cinque minuti davanti a un rinnovato rifornimento di gelati (con Eldorada e i segretari seduti a un tavolo leggermente sullo sfondo) che già stava affrontando con Nick la questione dell’esplorazione della Mesopotamia.

«Bizzarra ragazzina, Coral», disse quella sera Nick a Susy mentre fumavano l’ultima sigaretta sul balcone. « Oggi pomeriggio mi ha detto che ricorda un sacco di cose che mi ha sentito dire in India. Ai tempi mi sembrava che si preoccupasse soltanto di caramelle e di giochi di pazienza, invece a quanto pare ascoltava tutto e leggeva tutti i libri su cui riusciva a mettere le mani; le è venuta una tale mania dell’archeologia orientale che l’anno passato ha seguito un corso a Bryn Mawr. La prossima primavera ha intenzione di andare a Bagdad, tornando indietro attraverso l’altipiano persiano e il Turkestan. »

Susy rise di gusto: era seduta con la destra stretta in quella di Nick, mentre l’ultima luna – sempre la loro – faceva scorrere il suo splendore ramato sopra il campanile di San Giorgio.

«Povera Coral! Che noia», mormorò.

« Noia? Perché? Secondo me un viaggio del genere è una cosa del massimo interesse. »

« Oh, intendevo dire che noia farlo senza te e me », rise Susy, alzandosi pigramente per rientrare. Un’ampia striscia di chiar di luna, che divideva la sua camera in due buie metà, attraversava il letto veneziano con il lenzuolo ripiegato, la vecchia coperta di damasco e i cuscini con il bordo in pizzo. Si sentì cingere dal calore del braccio di Nick e sollevò il viso al suo.

Gli Hicks conservavano il più caro ricordo del soggiorno di Nick sull’Ibis, e Susy, commossa dal loro genuino piacere nel rivederlo, era contenta che lui non avesse seguito il suo consiglio, cercando di evitarli. Aveva sempre ammirato lo spietato talento di Strefford nell’usare e poi gettare il materiale umano che incontrava sulla sua strada, ma ora cominciava a sperare che Nick si fosse dimenticato che lei gli aveva consigliato di applicare tale criterio agli Hicks. Anche se fosse stato meno piacevole avere un grosso panfilo alla porta durante i lunghi giorni dorati e le infuocate notti d’argento, la loro ammirazione per lui le avrebbe imposto di sopportarli volentieri. Cominciò persino a rendersi conto che le stava crescendo nell’animo una certa simpatia per loro, ispirata proprio dalle caratteristiche che un tempo avrebbero provocato la sua disapprovazione. Aveva alle spalle un lungo addestramento a farsi piacere gente ordinaria con il borsello gonfio; in simili casi la sua riserva di tolleranza e scusanti era inesauribile. Doveva però essere gente ordinaria ma di successo, mentre purtroppo, secondo i suoi parametri, gli Hicks non ne avevano alcuno. Non erano soltanto ridicoli; il cielo sapeva quanti dei loro rivali lo erano. Oltre a essere ridicoli, non avevano nessun successo. Avevano resistito con tenacia agli sforzi degli esperti consiglieri che per primi li avevano avvistati sull’orizzonte, cercando di aiutarli nell’ascesa. Continuavano a mescolarsi con gente sbagliata, a dare il tipo sbagliato di ricevimenti, a spendere milioni di dollari per cose che non rivestivano nessun interesse per nessuno che contasse.