Credevano tutti appassionatamente a « movimenti », « cause » e « ideali » ed erano sempre in compagnia di qualche esponente delle loro ultimissime convinzioni, sempre lì a chiedere di assistere a conferenze di certe scialbe damazze in peplo o a farsi fare il ritratto da certi personaggi folli perennemente incapaci di diventare di moda.
Un tempo tutto ciò avrebbe accresciuto il suo disprezzo, ora invece Susy si era scoperta ad apprezzare gli Hicks soprattutto per i loro insuccessi. Era commossa dalla loro semplice buona fede, dall’isolamento in cui vivevano in mezzo a tutti i loro strambi apostoli e parassiti, dal modo in cui vagolavano in un mondo estraneo e indifferente in un gruppo serratamente compatto, di cui Eldorada Tooker, il medico e i due segretari formavano la frangia esterna, e dal modo in cui si consideravano una sorta di reincarnazione collettiva di un trascorso stadio di cultura principesca, simbolizzato da quella che la signora Hicks definiva « la corte del Rinascimento ». Naturalmente la loro principale profetessa era Eldorada; ma anche i « brillanti » e moderni giovani segretari, il signor Beck e il signor Buttles, mostravano una toccante tendenza a condividere le opinioni della signora Hicks, di cui parlavano nei termini di una « protettrice delle arti », nello spirito di un Pandolfini che celebrasse la munificenza dei Medici.
« Mi sto veramente affezionando agli Hicks; credo che sarei gentile con loro persino se fossero scesi al Danieli », disse Susy a Strefford.
« E persino se il panfilo appartenesse a voi? » ribatté lui; e una volta tanto la punzecchiatura le parve fuori luogo.
Durante le interminabili giornate di giugno l’Ibis li portò qua e là ad ampio raggio lungo quelle coste incantate; fecero escursioni nei Colli Euganei, visitarono Aquileia, Pomposa e Ravenna. I loro ospiti sarebbero stati felici di portarli anche più lontano, sull’altra sponda dell’Adriatico e nel dorato reticolo di isole dell’Egeo, ma Susy si era opposta a una simile infrazione delle regole di Nick, e lui aveva preferito rimanere attaccato al suo lavoro. Però adesso scriveva di mattino presto, di modo che quasi tutti i giorni potevano salpare prima di mezzogiorno e tornare a tutto vapore la sera tardi verso la bassa striscia di luci che si levava sulla laguna. Il suo lavoro continuava a progredire e, a mano a mano che le pagine si andavano ammucchiando l’una sull’altra, Susy avvertiva oscuramente ma con sicurezza che ciascuna di esse corrispondeva a una nascosta secrezione di energia, al graduale formarsi nell’intimo di Nick di un qualcosa che avrebbe potuto finire con il modificare la vita di entrambi. In quale senso non riusciva a congetturare: avvertiva semplicemente che il fatto che Nick si fosse assunto un impegno e lo rispettasse, se pure per poche rosee settimane d’estate, gli aveva già conferito un nuovo modo di pronunciare le espressioni «Sì» e «No».
7.
Anche Nick Lansing era parimenti consapevole dell’agire nel suo intimo di qualche fermento nuovo. Del libro che stava cercando di scrivere era un giudice migliore sia di Susy sia di Strefford, ne conosceva i punti deboli, le trappole, la tendenza a sfuggirgli tra le dita proprio quando era convinto di avere definitivamente serrato la presa; ma sapeva anche che, proprio nel momento in cui sarebbe parso essergli scappato di mano, lo avrebbe improvvisamente visto tornare a lui, sbattendogli rumorosamente in faccia le ali.
Non nutriva illusioni circa il suo valore commerciale, e quando Susy aveva tirato fuori la citazione di Marius, più che esultare si era accigliato. Il titolo del libro sarebbe stato Il corteggio di Alessandro. La sua immaginazione era affascinata dall’idea di raffigurare l’avanzata del giovane conquistatore nei favolosi paesaggi dell’Asia: gli piaceva scrivere descrizioni e avvertiva vagamente che, camuffandola da intreccio narrativo, avrebbe potuto sviluppare la sua teoria circa gli influssi orientali sull’arte occidentale, seppure in maniera meno erudita che se tali idee le avesse esposte attraverso un saggio. Conosceva abbastanza l’argomento per sapere che tale conoscenza non era sufficiente per scriverne, ma si consolava rammentando che il Wilhelm Meister era sopravvissuto a molti ponderosi volumi di estetica; tra i vari momenti di sfiducia in se stesso si aggrappava dunque al giudizio positivo di Susy, scoprendo una gioia totale nella propria impresa.
Non gli era mai capitato – no, mai! – di essere così illimitatamente, fiduciosamente felice. Il suo tedioso lavoro gli aveva dato l’abitudine all’applicazione, e ora l’abitudine era sormontata dalla luce dell’ispirazione. I suoi precedenti tentativi letterari erano stati timidi e incerti; se questo stava invece crescendo e irrobustendosi nelle sue mani doveva essere perché le condizioni erano profondamente diverse. Si sentiva a suo agio, tranquillo, appagato; inoltre, per la prima volta dagli albori della gioventù, quando sua madre era ancora in vita, avvertiva il senso di avere qualcuno da accudire, una persona affidata alle sue particolari cure e a cui doveva rispondere di se stesso e delle proprie azioni, come non gli era mai capitato nei confronti della gente frettolosa e indifferente tra cui aveva scelto di vivere.
Susy aveva gli stessi criteri di questa gente: parlava la loro lingua anche se ne capiva altre, ne richiedeva i favori anche se non ne riveriva le divinità. Ma dal momento in cui aveva cominciato ad appartenergli si era formato la convinzione che rispondesse a un suo bisogno intimo di venerazione. Era sua, l’aveva scelta lui, aveva occupato il suo posto nella lunga sequela di Lansing donne che erano state amate, onorate e probabilmente ingannate da altrettanti Lansing maschi ormai scomparsi. Non fingeva di capirne la logica, ma il fatto che fosse sua moglie conferiva un senso e una continuità ai suoi impulsi dispersi, oltre che una misteriosa luce di sacralità al suo lavoro.
Un paio di volte, nei primi giorni del matrimonio, si era chiesto con un vago brivido che cosa sarebbe successo se Susy avesse cominciato ad annoiarlo. Gli era successo con altre donne nei cui confronti le sue prime emozioni non erano state diverse per intensità da quelle che gli ispirava lei. Il ruolo che aveva recitato in queste precedenti relazioni sentimentali si sarebbe veramente potuto riassumere nel memorabile detto: « Sono il cacciatore e al tempo stesso la preda », dal momento che aveva invariabilmente cessato di essere il primo soltanto per riconoscersi nella condizione della seconda. Una simile esperienza non aveva mai terminato di provocargli il dolore più acuto, dal momento che la comprensione che sentiva per la cacciatrice era assai poco meno viva della commiserazione che provava per se stesso; ma, pur trovandosi ogni volta un po’ più dispiaciuto per sé, aveva sempre finito con lo sfuggire all’inseguitrice.
Ma ora tutte queste esperienze prenatali non sembravano valere più per il nuovo uomo che era diventato. Non poteva concepire di annoiarsi di Susy, né tanto meno di cercare di scappare se ciò fosse accaduto. Non poteva pensare a lei nei termini di una nemica e nemmeno di una complice, dal momento che i complici sono potenziali nemici: era una persona con cui, per un inaudito miracolo, gli sarebbe stato dato di gustare infinite gioie di amicizia, ma che, anche attraverso simili fuggevoli momenti di estasi, rimaneva semplicemente e saldamente sua amica.
Tali nuovi sentimenti non toccavano il suo atteggiamento generale nei confronti della vita: confermavano semplicemente la fiducia che aveva nella sua fondamentale « gaiezza ». Mai aveva goduto più a fondo delle cose di cui godeva da sempre. Una buona cena non gli era mai apparsa così buona, né un bel tramonto così bello; godeva in continuità di accorgersi che li apprezzava entrambi con uguale intensità. Era orgoglioso come sempre dell’acume di Susy e della sua libertà dai pregiudizi: adesso che era sua non sarebbe mai potuta essere troppo « moderna ». Condivideva appieno il modo appassionato in cui godeva del presente e tutta la sua febbrile ansia di farlo durare. Sapeva quando stava elaborando qualche modo per ampliare le loro dorate opportunità e in segreto ci pensava con lei, chiedendosi quali nuovi strumenti avrebbero potuto escogitare. Era contento che Ellie Vanderlyn protraesse la sua assenza e cominciava a sperare che potessero avere a loro disposizione il palazzo per tutto il resto dell’estate. Se così fosse stato, lui avrebbe avuto il tempo di finire il suo libro e Susy quello di far maturare un po’ di interessi sui loro assegni matrimoniali, con la conseguenza che il loro anno incantato avrebbe potuto prolungarsi a due.
Essendo la stagione ormai avanzata, la loro presenza e quella di Strefford a Venezia aveva già attirato diversi esponenti girovaghi del loro ambiente. Era tipico di simili personaggi distratti ma agglutinanti che non potessero mai rimanere separati a lungo senza soffrire una vaga sensazione di disagio.
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