Aveva voglia Susy di ricordargli venti volte al giorno che ormai era fatta e che quindi non serviva più a niente preoccuparsi. Anche alla luce della lungimirante intelligenza di sua moglie, nonché della felicità da cui lui si sentiva attualmente pervaso, sapeva perfettamente che il futuro non avrebbe retto a un esame fatto con mente disincantata. Quindi, seduto nel chiar di luna estivo, con la testa di Susy su un ginocchio, cercò di ricapitolare la successione dei passi che lo avevano portato sul terrazzo a lago di Streffy.
A suo modo di vedere, tutto risaliva senza dubbio al momento stesso in cui se n’era andato da Harvard con la forte determinazione di non perdersi niente. Vedeva davanti a sé il sempreverde Albero della Vita, dal cui piede sgorgano i Quattro Fiumi; su ciascuno dei loro flussi intendeva lanciare la sua barchetta. In due casi non era arrivato molto lontano; al terzo si era quasi andato a impantanare nella mota; ma il quarto lo aveva portato nel cuore della meraviglia. Era il flusso della sua immaginazione vivente, del suo inesauribile interesse per ogni forma di bellezza, stranezza e follia. Su tale flusso, assiso nel robusto piccolo scafo della sua povertà, insignificanza e indipendenza, aveva compiuto alcuni viaggi notevoli… Quindi, quando Susy Branch, in cui, durante un’intera stagione newyorchese aveva riconosciuto la giovane più graziosa e divertente del giro, lo aveva sorpreso con la contraddittoria rivelazione di quanto fosse moderno il suo senso delle convenienze e, al contrario, antiquato il livello della sua buona fede, aveva provato un desiderio irresistibile di partire per un’ulteriore navigazione nell’ignoto.
Per l’avventura era tuttavia stato fondamentale che, dopo la unica e breve visita della giovane al suo alloggio, lui avesse mantenuto la promessa di non cercare di rivederla. Anche se la franchezza di Susy non aveva suscitato il suo spirito di emulazione, lo aveva però mosso a pietà la comprensione delle difficoltà da lei incontrate. Sapeva quanto è fragile il filo a cui sta appeso chi non ha un centesimo, e quanto penosamente una giovane come Susy fosse in balia degli umori e ghiribizzi altrui. Rientrava nell’ambito dei problemi che incontrava lui stesso, come di quelli che incontrava lei, il fatto che per ottenere ciò che a loro piaceva dovessero molto spesso fare ciò che invece a loro non piaceva affatto. Ma mantenere la promessa si era rivelato un fastidio molto peggiore di quanto pensasse. Susy Branch era diventata un’abitudine squisita in una vita dove la stragrande maggioranza dei dati fissi era di una tetraggine mortale, sicché la di lei scomparsa gli aveva bruscamente fatto capire che le sue risorse si stavano facendo sempre più limitate. Molte cose che un tempo lo divertivano immensamente ora lo divertivano meno, se non niente del tutto: una buona parte del suo mondo delle meraviglie si era ridotto a uno spettacolino da villaggio rurale. Mentre le cose che avevano mantenuto il loro potere di stimolo – i lunghi viaggi, il godimento dell’arte, il contatto con nuovi ambienti e società bizzarre – si stavano facendo sempre meno accessibili. Lui non aveva mai posseduto più di quattro soldi, di cui aveva speso una parte discretamente eccessiva per effettuare il primo tuffo nella vita, sicché il massimo cui poteva aspirare era una mezza età di lavoro monotono e mal pagato, mitigata da qualche vacanza breve quanto frugale. Sapeva di essere più intelligente della media, ma era arrivato ormai da un pezzo alla conclusione che il suo talento non aveva mercato. Del sottile volume di sonetti pubblicatogli da un editore compiacente erano state vendute soltanto settanta copie; il suo saggio circa « Gli influssi cinesi sull’arte greca » aveva creato un interesse effimero, cui erano seguiti soltanto un breve scambio polemico di missive e qualche invito a cena, ma nessun beneficio più concreto. Non sembrava dunque avere alcuna prospettiva di poter mai arrivare a guadagnare un po’ di soldi, per cui il suo limitato futuro gli aveva fatto attribuire un valore sempre crescente a un’amicizia come quella che gli aveva offerto Susy Branch. A parte il piacere di guardarla e ascoltarla – di godere di lei ciò che altri apprezzavano con meno discernimento ma con uguale liberalità –, aveva la sensazione che fra loro due esistesse una sorta di massoneria di precoce tolleranza e ironia. Avevano entrambi fino dalla prima gioventù preso le misure del mondo in cui avevano la ventura di vivere: sapevano che cosa avesse valore ai loro occhi e per quali motivi; era stata proprio la comunanza di tali motivi a dare l’ultimo squisito tocco alla loro intimità. E ora, a causa del ghiribizzo di gelosia di una cretina insoddisfatta, nei cui confronti non si sentiva più colpevole di qualsiasi altro giovane avesse ripagato con le buone maniere una serie di buone cene, gli sarebbe toccato privarsi dell’unica compagnia completa che avesse mai avuto…
I pensieri correvano. Gli venne in mente la lunga, torpida primavera passata a New York dopo la rottura con Susy, lo stanco sgobbare sugli ultimi articoli, le svagate ipotesi circa il modo meno costoso e noioso di trascorrere l’estate; e poi la straordinaria fortuna di essere andato, con riluttanza e all’ultimo momento, a passare una domenica con il povero Nat Fulmer e sua moglie nelle sperdute lande boscose del New Hampshire, e di trovarci Susy. Quella Susy che non aveva mai nemmeno sospettato potesse conoscere qualcuno nel giro dei Fulmer.
Si era comportata alla perfezione – e anche lui –, ma erano evidentemente contentissimi entrambi di essersi visti. E poi era stato inquietante trovarsi con lei in un ambiente come quello dei Fulmer, lontano dal vasto apparato di lusso cui erano abituati, nella zeppa casetta dove il padrone di casa aveva lo studio sulla veranda, la padrona faceva pratica con il violino in sala da pranzo e cinque onnipresenti bambini si stendevano pancia a terra, urlavano, suonavano trombette e gettavano girini nei serbatoi dell’acqua, e dove il pranzo di mezzogiorno veniva servito con due ore di ritardo – oltre a essere adeguatamente cattivo – perché la cuoca italiana era occupata a posare per Fulmer. Il suo primo pensiero era stato che incontrare Susy in simili circostanze avrebbe potuto costituire il mezzo più rapido per guarirli entrambi dai loro rimpianti. I Fulmer costituivano un terribile esempio di ciò che può succedere ai giovani che vanno fuori di testa; il povero Nat, i cui quadri non venivano comperati da nessuno, era andato irrimediabilmente declinando, mentre Grace, a ventinove anni, non sarebbe mai stata altro se non la tipica donna di cui si dice: « Me la ricordo quando era bella ».
Ma il guaio era che Nat non era mai stato una compagnia così divertente come in quei giorni, né Grace era mai stata così priva di attenzioni e ricca di musica; e che, nonostante il disordine e lo scompiglio, il cibo cattivo e il tremendo disagio generale, dal loro insieme si poteva trarre più divertimento di quanto se ne potesse derivare da qualsiasi ricevimento casalingo, messo in scena con la massima opulenza, cui Susy e lui avessero dovuto dedicare tutti i loro sbadigli dall’inizio alla fine.
Era dunque stato quasi un sollievo quando, il secondo pomeriggio, la signorina Branch lo aveva attirato nell’angusto ingresso per dirgli: « Non ne posso veramente più del violino di Grace con l’accompagnamento del clacson del piccolo Nat. Tagliamo la corda finché non concludono il duetto ».
« Chissà come faranno a sopportarlo loro? » le aveva ignobilmente fatto eco, seguendola sul sentiero nel bosco dietro la casa.
«Potrebbe valere la pena di scoprirlo», aveva ribattuto lei con un sorriso pensoso.
Ma lui era rimasto risolutamente scettico. « Oh, date loro ancora un paio di anni e crolleranno!… Sapete, i suoi quadri non si venderanno mai. Non riuscirà mai nemmeno a fare una mostra. »
«Temo proprio di no.
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