« Ehi, che cosa diamine stai facendo con i sigari di Streffy? »

« Li metto nei bagagli, no? Non crederai che li abbia lasciati qui per quest’altra gente. » E gli scoccò un’occhiata carica di un franco stupore.

« Non so per chi li abbia lasciati qui… ma non sono nostri… » Lei continuò a guardarlo con un’espressione perplessa. « Non capisco che cosa ci sia da inquietarsi tanto. Questi sigari non sono nemmeno di Streffy… puoi essere sicuro che li avrà sottratti a qualche cafone. E niente gli darebbe più fastidio che saperli trasferiti a un altro. »

« Sciocchezze. Se non sono di Streffy, ancora meno sono miei. Per favore, lasciali lì, cara. »

«Come vuoi. Ma mi sembra veramente uno spreco; e ovviamente quei tali non ne consumeranno mai nemmeno uno. Ci penseranno il giardiniere e l’amante di Giulietta! »

Lui distolse lo sguardo da lei, spostandolo sulle onde di pizzo e mussola da cui emergeva come una rosea Nereide. « Quante scatole ne sono rimaste? »

« Solamente quattro. »

« Tirale fuori dai bagagli, per favore. »

Prima che Susy si muovesse ci fu una pausa così carica di tensione che Lansing ebbe il tempo di provare un esasperato senso della sproporzione tra il modo in cui era irritato e la causa dell’irritazione. E questo lo fece irritare ancora di più.

Susy gli porse una scatola. « Le altre sono nella tua valigia, di sotto. E chiusa a chiave e con la cinghia. »

« Dammi la chiave, allora. »

« Potremmo rispedirle qui da Venezia, no? Quella serratura è tremenda: ci metterai mezz’ora. »

« Dammi la chiave, per favore. » E finalmente lei cedette.

Lansing andò al pianterreno a battagliare con la serratura per la prevista mezz’ora, sotto lo sguardo perplesso di Giulietta e il sorriso sardonico dell’autista che di quando in quando, dalla soglia, gli rammentava con cortesia il tempo che ci sarebbe voluto per arrivare a Milano. Ma finalmente la chiave girò e lui, con le unghie spezzate e tutto sudato, tirò fuori i sigari dalla valigia, portandoli nel salotto deserto. I grandi fasci di rose dorate che Susy e lui avevano raccolto il giorno prima stavano lasciando cadere i petali sul ricamo marmoreo del pavimento, pallide camelie galleggiavano in alcune tazze di alabastro tra le finestre, dal giardino la brezza del lago soffiò verso di lui alcuni profumi inebrianti. Mai la casetta di Streffy gli era parsa più simile a un nido di piaceri. Posò le scatole di sigari su una console e corse di sopra a prendere le ultime cose. Quando ridiscese, sua moglie, con gli occhi sfavillanti per il felice esito dell’impresa, era già seduta nella vettura che avevano preso a prestito, con il bagaglio abilmente stivato; il giardiniere e Giulietta le stavano baciando la mano, piangendo il loro inconsolabile addio.

«Chissà che cosa gli ha dato! » pensò, mentre montava al suo fianco e il motore turbinava a trasportarli al cancello attraverso i folti pieni di usignoli.

4.

Se la villa di Charlie Strefford sembrava un nido in un roseto, il palazzo di Nelson Vanderlyn imponeva similitudini di più elevata natura.

Ma a Susy, nel confronto, la sua vastità e il suo splendore erano risultati opprimenti. L’approdo, dopo il calare del buio, ai piedi della grande scalinata piena di ombre, la cena al tavolo scarsamente illuminato, sotto un soffitto gravato di figure olimpiche, la gelida serata trascorsa in un angolo di un salotto dove si sarebbe dovuti danzare minuetti davanti a un trono, era in netto contrasto con le liete intimità di Como così come il loro improvviso disaccordo contrastava con la mutua fiducia del giorno prima.

Il viaggio era stato molto allegro: avevano entrambi un’esperienza troppo lunga nell’arte di appianare i problemi da non dover fare uno sforzo particolare per nascondersi a vicenda le devastazioni del primo disaccordo. Ma, profondo e invisibile, il disaccordo sussisteva; e il pentimento per esserne stata la causa bruciava in petto a Susy, seduta nella sua camera da letto, tutta tappezzerie e volte, a spazzolarsi i capelli davanti a uno specchio annerito.

« Credevo che la grandiosità mi piacesse, ma questo posto è veramente fuori scala », rifletté guardando il riflesso di una mano pallida che si muoveva negli oscuri recessi dello specchio.

« Eppure », continuò, « Ellie Vanderlyn è più alta di me sì e no di un centimetro; e non è di sicuro più imponente… Chissà se questo posto mi sembra così orrendamente grande perché questa sera mi sento tremendamente meschina. »

Il lusso le piaceva, le cose bellissime la facevano sempre sentire bella e i soffitti alti altera; non ricordava di essersi mai sentita opprimere da un’esibizione smaccata della ricchezza.

Posò la spazzola e appoggiò il mento sulle mani giunte… Ancora adesso non riusciva a capire come potesse esserle venuto in mente di prendere quei sigari. Aveva sempre avuto ben presente il valore degli scrupoli innati: i suoi ragionamenti erano di una libertà inusitata, ma per quanto concerne le cose su cui non si ragiona era assolutamente incrollabile.