Chi fu, madre?
LADY FAULCONBRIDGE - Hai rinnegato d’essere un Faulconbridge?
BASTARDO - E con la stessa fede
con cui potrei pur rinnegare il diavolo.
LADY FAULCONBRIDGE - Cuor-di-leone è stato il padre tuo.
Dopo lunga e veemente assiduità,
da lui io fui sedotta,
e m’indussi ad accoglierlo nel letto
di mio marito. Storni da me il cielo
la colpa d’una tale trasgressione.
Tu sei il frutto di quel mio peccato
che mi travolse con tanta violenza
da annullare qualunque mia difesa.
BASTARDO - Per la luce del giorno, madre mia,
ti giuro che, se dovessi rinascere,
non saprei augurarmi miglior padre!
Certi peccati scendon sulla terra
come benedizioni; e così il vostro.
Non vi fa reproba la vostra colpa,
se, costretta dalla necessità,
doveste offrire a lui il vostro cuore
come tributo d’una sudditanza
all’amore infrenabile d’un uomo
contro la cui furiosa e invitta forza
non fu in grado di sostener la lotta;
nemmeno l’imperterrito leone
riuscì a salvare il cuore
dalla possente mano di Riccardo.
Uno che strappa il cuore ad un leone
può facilmente vincere di forza
il cuore di una donna.
D’un tal padre ti debbo ringraziare,
madre, con tutto il cuore.
E chiunque tra i vivi venga a dirmi
che avete fatto male a generarmi
così come m’avete generato,
io gli spedisco l’anima all’inferno.
Venite, mia signora,
vi voglio presentare i miei parenti;
essi sicuramente vi diranno
che se vi foste negata a Riccardo
quando mi ha generato,
quello sarebbe stato, sì, peccato.
E così dico e ripeto pur io,
e chi dice il contrario è un mentitore.
(Escono)
ATTO SECONDO
SCENA I - In Francia, sotto le mura di Angers.
Entrano, da opposte parti, LIMOGES DUCA D’AUSTRIA con soldati e vessilli, e FILIPPO RE DI FRANCIA con il DELFINO LUIGI, COSTANZA, ARTURO e soldati.
FILIPPO - Bene incontrato davanti ad Angers,
nobile Austria.
(Al nipote)
Arturo, quel tuo avo
illustre che rubò il cuore a un leone
e combatté crociato in Palestina
fu per mano di questo prode Duca
sospinto innanzitempo nella tomba;
ed egli ora, a fare di ciò ammenda
in faccia alla di lui posterità,
è qui venuto a dispiegare al vento,
ragazzo, i suoi stendardi in tuo favore,
e a castigar con noi l’usurpazione
di Giovanni, tuo snaturato zio.
E dunque abbraccialo con molto affetto,
e dagli il benvenuto in mezzo a noi.
ARTURO - Dio vi perdonerà, Duca, la morte
data a Cuor-di-leone,
tanto più per la vita che ora a rendere
voi qui venite alla sua discendenza,
col proteggere il loro buon diritto
all’ombra delle vostre ali di guerra.
Io vi do’ il benvenuto
con una mano priva di potere
ma con un cuore ricolmo d’affetto
genuino e sincero. Benvenuto,
Duca, davanti alle porte di Angers.
FILIPPO - Ah, nobile ragazzo…
Chi non vorrebbe renderti giustizia?
AUSTRIA - (Baciando Arturo)
Sulla tua guancia questo caldo bacio
io depongo, a simbolico suggello
di questo impegno della mia amicizia:
ch’io non farò ritorno al mio paese
finché Angers e i tuoi diritti in Francia,
insieme a quella pallida costiera
da lungi biancheggiante la cui proda
respinge i flutti del ruggente oceano
ed i suoi isolani tien lontani
dall’altre terre, l’Inghilterra, dico,
che, cinta dalla sua marina siepe,
protetta da quel suo baluardo d’acqua
se ne sta fiduciosa e confidente
da mire forestiere; finché, dico,
quell’angolo remoto d’occidente
non t’acclami suo re, caro ragazzo,
non penserò di far ritorno a casa,
ma di seguire te dovunque, in armi.
COSTANZA - Oh, abbiatevi di questo
tutti i ringraziamenti di sua madre,
le grazie d’una vedova
che sol può darvele con le parole
nell’attesa che il vostro forte braccio
le dia la forza di contraccambiare
più degnamente la vostra amicizia.
AUSTRIA - È la pace dei cieli sol compenso
a coloro che impugnano la spada
in una sì pietosa e giusta guerra.
FILIPPO - E dunque allora, all’opera!
Sien puntate le nostre artiglierie
contro gli spalti di questa città
che oppone sì ostinata resistenza.
Chiamate i nostri uomini più esperti
a sceglier le migliori postazioni:
a costo di lasciar davanti ad essa
le regali nostre ossa,
o di guadare nel sangue francese
fino alla loro piazza del mercato
la faremo soggetta a questo giovane.
COSTANZA - Aspettate comunque la risposta
che sarà data alla vostra ambasciata,
che non abbiate sconsigliatamente
a macchiare di sangue le vostre armi.
Il signor Chatillon
potrebbe riportar dall’Inghilterra
il pacifico riconoscimento
di quel diritto che qui con la guerra
vogliam rivendicare; e in questo caso
ci dovremmo pentire amaramente
d’ogni goccia di sangue fatto spargere
ingiustamente per la troppa fretta.
Entra CHATILLON
FILIPPO - Miracolo, signora! Ecco, guardate:
ne avete appena espresso il desiderio,
e il nostro Chatillon eccolo, è qui.
(A Chatillon)
Beh, che dice Inghilterra?
Brevemente, gentile signor mio,
noi siamo tutt’orecchi ad ascoltarti
serenamente. Parla Chatillon.
CHATILLON - Allora distogliete i vostri eserciti
da questo assedio di scarsa importanza
ed avviateli a più grossa impresa:
Giovanni d’Inghilterra,
intollerante alle vostre richieste,
è sceso in armi. Per gli avversi venti
la cui bonaccia ho dovuto aspettare
per il ritorno, egli ha avuto il tempo
di far sbarcare qui le sue legioni
contemporaneamente al mio arrivo;
ed ora si dirige a grandi marce
sopra questa città con un esercito
forte, di baldanzosi combattenti.
Con lui è la regina-madre, un’Ate
che lo incita al sangue ed alla strage;
insieme con costei è la nipote
Lady Bianca di Spagna, ed è con loro
anche un bastardo del defunto re
e tutti i tipi più scavezzacolli
del paese, spregiudicati, rudi,
focosi volontari pronti a tutto:
facce di donna con milze di drago…
Si son venduti le loro fortune
nella casa paterna
e vengon qui portando sulle spalle
con gran baldanza i diritti di nascita
alla ricerca di nuove fortune.
In breve, mai nella Cristianità
una più baldanzosa selezione
di gente temeraria e scatenata
simile a quella che le stive inglesi
han vomitato sulle nostre coste
ha navigato il ribollente flutto
per andare a recare offesa e danno.
(Rullo di tamburi in lontananza)
Eccoli, son già qua. I lor tamburi
mi risparmiano ormai di dir di più.
Per trattare o combattere, non so.
Tenetevi comunque preparati.
FILIPPO - Davvero una volata! Inaspettata.
AUSTRIA - Quanto più inaspettata,
tanto più svegli e pronti alla difesa
saremo noi; è lievito al coraggio
improvvisa bisogna: vengan pure
daremo loro il nostro benvenuto.
Entrano RE GIOVANNI, ELEONORA, BIANCA, il BASTARDO,
PEMBROKE e seguito
GIOVANNI - Pace alla Francia, se in pace la Francia
permette il nostro legittimo ingresso
in quel che è nostro per avito titolo.
Se no, di guerra sanguini la Francia,
e ascenda al ciel la pace, mentre noi,
ministri della collera di Dio,
castigheremo l’orgoglio insolente
di chi respinge al cielo la sua pace.
FILIPPO - E pace all’Inghilterra,
se questo suo apparato di guerra
ritorni dalla Francia in Inghilterra.
L’Inghilterra ci è cara,
ed è per amor suo che qui sudiamo
appesantiti da questa armature.
Questa fatica spetterebbe a te
e non a noi di assolvere; ma tu
sei sì lontano dall’aver a cuore
l’Inghilterra, da non avere scrupolo
di rovesciarne il legittimo re,
interrompendone la naturale
linea di discendenza alla corona,
sfidandone l’infante maestà,
stuprandone la virginal virtù.
(Additando Arturo)
Guarda questo sembiante:
è quello di Goffredo, tuo fratello:
questi occhi, queste ciglia, questi tratti
son modellati sopra quelli suoi:
un insieme che riassume, in piccolo,
quello più grande morto con Goffredo;
e questo abbozzo la mano del tempo
svilupperà in eguali proporzioni
a quelle di suo padre. Quel Goffredo
era il fratello tuo maggiore, e questo
è suo figliolo. Nel nome di Dio,
come puoi tu chiamarti allora re,
se sangue vivo pulsa in queste tempie
che dovrebbero cinger la corona
della quale ti sei impossessato?
GIOVANNI - Da chi ti viene, Francia,
l’alto incarico di chiamare me
a rispondere di tutte queste accuse?
FILIPPO - Da quel Supremo Giudice
che infonde in petto ad ogni alto potere
di questa terra il generoso stimolo
a riparare gli sfregi e le offese
fatti al diritto. Quello stesso Giudice
ha istituito me ora guardiano
del buon diritto di questo ragazzo;
ed è per Suo mandato ch’io t’accuso
dei tanti torti a lui da te recati,
e, col Suo aiuto intendo castigarli.
GIOVANNI - Ahimè, tu usurpi questa autorità.
FILIPPO - Se pur fosse, sarebbe per abbattere
un’altra usurpazione.
ELEONORA - Chi chiami tu usurpatore, Francia?
COSTANZA - Consentite che le risponda io:
tuo figlio, è lui l’usurpatore!
ELEONORA - Zitta,
insolente! Per te dev’esser re
il tuo bastardo, e tu esser regina
e pretendere di governare il mondo!
COSTANZA - Un bastardo mio figlio? Miserabile!
Il mio letto s’è sempre mantenuto
sì fedele a tuo figlio,
almeno quanto il tuo a tuo marito;
e questo mio ragazzo è somigliante
nelle fattezze a suo padre Goffredo
più che non siate alle buone maniere
tu e Giovanni, tanto siete simili
l’uno all’altra come la pioggia all’acqua,
o il diavolo a sua madre.
Un bastardo! Non credo che suo padre,
sia stato onestamente concepito
come lo è stato lui, per la mia anima!,
essendo tu sua madre.
ELEONORA - (Ad Arturo)
Ecco, ragazzo,
la buona madre che insulta tuo padre.
COSTANZA - Ecco, ragazzo, la buona nonnetta
che invece insulta te, suo nipotino.
AUSTRIA - Pace, pace!
BASTARDO - Ascoltiamo il banditore!
AUSTRIA - Tu, chi diavolo sei?
BASTARDO - Uno che il diavolo
farà con voi, signore, se da soli
c’incontreremo voi e quella pelle
che vi portate bellamente addosso:
ché voi siete la volpe del proverbio
di cui tutto il coraggio si spiegò
nel tirare la barba ad un leone,
che però era morto. Quella pelle,
se mi capiterete tra le mani,
vi ci darò una bella spolverata.
Attento a voi, messere… in fede mia,
ve lo farò, ci potete contare!
BIANCA - Oh, sì, certo una pelle di leone
s’addice addosso a chi di quella pelle
derubò il leone!
BASTARDO - Addosso a lui
ci sta come a vedere il grande Alcide
in groppa ad un somaro.
Ma io, somaro, vi libererò,
siatene certo, d’un siffatto peso,
o ve ne metto sulle spalle uno
che ve le farà bene scricchiolare.
AUSTRIA - Chi sarà mai questo scricchiolatore
che si diverte a intronarci le orecchie
con tanto spreco d’inutile fiato?
Allora, Re Filippo,
decidete quello che s’ha da fare.
FILIPPO - Donne e buffoni, basta con le chiacchiere!
Re Giovanni, il mio discorso, in sintesi,
è questo: io rivendico da te,
nel diritto di Arturo, l’Inghilterra,
l’Irlanda, la Turenna, l’Angiò, il Maine.
Sei tu disposto a ceder quelle terre
e deporre le armi?
GIOVANNI - La mia vita, piuttosto, re di Francia!
Io ti sfido, Arturo di Bretagna,
affidati in mia mano, e avrai da me,
per il tenero affetto che ti porto,
più di quanto potrà mai conquistarti
con l’imbelle sua mano il re di Francia.
Riconosci la mia maestà, ragazzo.
ELEONORA - (Ad Arturo)
Vieni dalla tua nonna, bimbo, vieni.
COSTANZA - (c.s.)
Sì, corri, bimbo, corri da tua nonna,
e regalale un regno.
E la tua nonna ti darà in compenso
una ciliegia, un fico, una susina…
Che brava questa nonna!
ARTURO - Buona madre, sta’ zitta. Mi vien voglia
di giacermi in fondo alla mia tomba.
Non val proprio la pena
di fare tanto strepito per me!
(Piange)
ELEONORA - Ecco, piange! Ha vergogna di sua madre,
povero figlio!
COSTANZA - Di sua madre o no,
se c’è una che deve vergognarsi
sei tu, qui. Sono i torti di sua nonna
e non già le vergogne di sua madre
a spremergli dagli occhi quelle perle
che muovono a pietà perfino il cielo;
e voglia il cielo accoglier quelle lacrime
come offerta votiva.
Ah, sì, da quelle stille di cristallo
vogliano i cieli sentirsi obbligati
a far di lui vendetta su di voi!
ELEONORA - Oh, orribile mostro di calunnia
del cielo e della terra!
COSTANZA - Oh, orribile mostro d’insolenza
verso il cielo e la terra!
Tu, accusare di calunnia me,
tu che insieme coi tuoi stai usurpando
il possesso, le rendite e i diritti
di questo povero ragazzo oppresso!
Questo è il figlio di tuo figlio Goffredo,
il fratello maggiore di Giovanni,
di nient’altro infelice
che dell’avere te come sua nonna:
in lui, in questo povero ragazzo
trovano il lor castigo i tuoi peccati;
su lui ricade l’antica sanzione
del canone, essendo egli soltanto
distanziato di due generazioni
dal tuo grembo fattore di empietà.
GIOVANNI - Smettila, dissennata!
COSTANZA - Questo solo
voglio aggiungere: ch’egli non soltanto
del peccato di lei ha da soffrire,
ma Dio ha riversato quel peccato
e tutto il male della sua condanna
su questo suo lontano discendente;
il peccato di lei a lui malanno,
il malanno di lei a lui castigo,
pel peccato di lei.
Tutto sul capo di questo ragazzo,
e per causa di lei, peste la colga!
ELEONORA - Tu mi biasimi sprovvedutamente,
perch’io posso stilare un testamento
che cancella i diritti di tuo figlio.
COSTANZA - Oh, chi ne dubita? Un testamento!
Un testamento di nessun valore,
il testamento fatto da una donna,
una barbogia nonna incancrenita.
FILIPPO - Basta, signora! Vogliate star zitta,
o parlare con più moderazione!
È sconveniente che voi diate sfogo
a simili sguaiate querimonie
alla presenza nostra. Un trombettiere
chiami questi di Angers sui loro spalti
a parlamento: ascoltiamo da loro
quale titolo voglion riconoscere,
quello d’Arturo o quello di Giovanni.
Tromba. Sulle mura della città appaiono alcuni CITTADINI di Angers.
PRIMO CITTADINO - Chi ci chiama alle mura?
FILIPPO - Il Re di Francia
a nome anche del Re d’Inghilterra.
GIOVANNI - Inghilterra presente qui in persona,
cittadini d’Angers, miei cari sudditi.
FILIPPO - Voi, beneamati uomini di Angers,
ad Arturo soggetti,
il nostro trombettiere vi ha chiamati
a cordial parlamento…
GIOVANNI - (Interrompendolo)
… a nostro nome.
Perciò ascoltate noi prima di loro.
I vessilli di Francia
qui spiegati davanti agli occhi vostri
ed alla vista di questa città
sono venuti marciando fin qui
per recarvi rovina; i lor cannoni
hanno le viscere gonfie di rabbia
e son già preparati a vomitare
tutto il loro metallico corruccio
contro le vostre mura;
avanti agli occhi di questa città
e avanti a quelli dalle ciglia chiuse
di queste vostre porte
questi Francesi si sono apprestati
per un crudele e sanguinoso assedio;
e se non fosse stato il nostro arrivo,
codeste vostre sonnolente pietre
che vi fanno da solida cintura
già sarebbero state scardinate
dai loro fissi letti di calcina
dalle lor devastanti batterie,
e un’ampia breccia avrebbe aperto il varco
ad una truppa assetata di sangue
per irrompere sulla vostra pace.
Ma alla vista di noi,
vostro legittimo signore e re,
che a gran fatica, con marce forzate,
ci siam portati a far da contrappeso
avanti a queste porte,
per proteggere le minacciate guance
della vostra città dai lor graffi,
ora questi Francesi, impressionati
e stupiti della presenza nostra,
vi chiedon di venire a parlamento
e in luogo di proiettili infuocati
che dessero a codeste vostre mura
una tal febbre da squassarle tutte,
sparano solo tranquille parole
avviluppate di fumosi veli
per infondere nelle vostre orecchie
ingannevole errore; a tutto questo
date però il credito che merita,
cortesi cittadini, e in buona pace
lasciate entrar noi, vostro sovrano,
le cui stanche energie, messe alla prova
dalla rapidità di questa azione,
avrebbero bisogno di trovare
necessario ricovero e riposo
entro le vostre mura cittadine.
FILIPPO - (Ai cittadini di Angers)
Risponderete a entrambi
dopo che avrete ascoltato anche me.
(Prende la mano di Arturo)
Ecco, stretta la sua nella mia destra
che ha fatto sacrosanto giuramento
di farsi protettrice del diritto
di colui che la stringe, innanzi a voi
sta qui il giovane Plantageneto
figlio ed erede del fratel maggiore
di quest’uomo, e re sopra di lui
(Indica Re Giovanni)
e sopra tutto quanto egli si gode.
Per questo calpestato suo diritto
noi calpestiamo, con marce di guerra,
i campi avanti alla vostra città,
senza con ciò sentirci a voi nemici
più che non chieda l’ospitale zelo
di recare cristianamente aiuto
a questo giovane principe oppresso.
Vi piaccia quindi render quell’omaggio,
che legittimamente voi dovete,
alla persona cui esso compete,
a questo giovin principe.
Se questo adempirete, le nostre armi,
al par di un orso con la museruola,
non più offensive fuor che nell’aspetto,
terranno chiusa in loro ogni minaccia
e la potenza dei nostri cannoni
sarà volta a colpir con vani colpi
le invulnerabili nuvole in cielo;
e noi, felici e indenni ritirandoci,
con le spade rimaste inintaccate
e gli elmi intatti, torneremo a casa,
riportando quel sangue vigoroso
ch’eravamo venuti qui a versare
contro questa città,
e lasceremo in pace i vostri figli,
le vostre mogli e voi.
Ma se foste così sconsiderati
da rifiutare questa nostra offerta,
non sarà certo questa vostra cinta
d’antiche mura a fornirvi un riparo
dai nostri messaggeri di sterminio,
fossero pure stati questi Inglesi
acquartierati tutti, armi e bagagli,
all’interno della lor rozza cerchia.
Diteci dunque: la vostra città
ci riconosce suo signore e re
nel nome e nel legittimo interesse
di colui per il quale siamo in armi?
O dobbiamo noi dar libero sfogo
all’ira, e aprirci la strada nel sangue,
per aver quel che è nostro? Decidete.
PRIMO CITTADINO - In breve, questa è la nostra risposta:
noi siamo sudditi del re inglese;
per lui e in suo diritto
teniamo in carico questa città.
GIOVANNI - Riconoscete allora il vostro re
nella nostra persona,
e lasciateci entrare.
PRIMO CITTADINO - Questo no,
non è possibile, per il momento.
Colui che proverà d’essere il re,
si avrà la nostra piena lealtà.
Ma fino allora terremo sprangate
le nostre porte in faccia a chicchessia.
GIOVANNI - Non basta la corona d’Inghilterra
a provare chi è re?
E se non quella, sono qui con me
a testimoni trentamila cuori
inglesi puro sangue….
BASTARDO - (A parte)
Anche bastardi…
GIOVANNI - … pronti ad assicurare con la vita
questo nostro diritto.
FILIPPO - Ed altrettanti
e di non meno nobiltà di sangue…
BASTARDO - (c.s.)
Bastardi pure inclusi…
FILIPPO - … sono qui,
cittadini di Angers, di fronte a lui,
a contrastarne le ingiuste pretese.
PRIMO CITTADINO - Fino a che non avrete stabilito
chi tra di voi è più degno del titolo,
noi lo terremo in sospeso ad entrambi,
per riconoscerlo a chi spetterà.
GIOVANNI - Perdoni allora Iddio i lor peccati
a tutte quelle anime che oggi,
prima che la rugiada della sera
si sia posata al suolo,
s’involeranno alla dimora eterna
nella paurosa giostra che dirà
chi dev’essere il re di questo regno.
FILIPPO - Amen! In sella cavalieri! All’armi!
BASTARDO - Voglia ora San Giorgio,
che seppe sbattacchiar ben bene il drago,
e che da allora se ne sta a cavallo
sulla porta della mia taverniera
istruirci a menare un po’ di scherma…
(Al duca d’Austria)
Bene, amico, vi giuro, che se adesso
mi trovassi da voi, in casa vostra,
sì, dico, amico, nella vostra tana
insieme con la vostra leonessa,
su quella vostra pelle di leone
ci pianterei una testa di bove,
e vi farei un mostro.
AUSTRIA - Basta adesso!
BASTARDO - Oh, oh, tremate, il leone ha ruggito!
GIOVANNI - Attestiamoci sopra quell’altura;
là disporremo i nostri reggimenti
in miglior posizione.
BASTARDO - Presto, allora:
ci assicuriamo il vantaggio del campo.
FILIPPO - E sia pure così. Sull’altra altura
noi faremo attestare a nostra volta
le nostre forze. Dieu et mon droit.
(Escono, da parti opposte, i due re col loro seguito)
Allarme di guerra e scorrerie di soldati francesi e inglesi.
Entra l’ARALDO FRANCESE con trombettiere
ARALDO FRANCESE - (Dopo lo squillo del trombettiere)
Cittadini di Angers,
potete spalancar le vostre porte
e far entrare Arturo di Bretagna
che oggi, per la man del re di Francia,
è stato causa a molte madri inglesi
d’assai lacrime; sparsi in tutto il campo
giacciono i loro figli in mezzo al sangue;
con loro giacciono riversi al suolo
come abbracciando in un gelido amplesso
la scolorita terra anche i mariti
di molte spose diventate vedove;
e la vittoria che alla nostra parte
trascurabili perdite è costata,
va giocando col vento
sui danzanti vessilli dei francesi,
che son qui presso schierati in trionfo
per fare ingresso da trionfatori
nella vostra città,
e proclamare Arturo di Bretagna
re d’Inghilterra e vostro.
Entra l’ARALDO INGLESE con trombettiere
ARALDO INGLESE - (Dopo lo squillo del trombettiere)
Esultate, voi uomini di Angers!
Suonate a stormo le vostre campane!
Giovanni d’Inghilterra e vostro re,
giunge a voi vittorioso
di questa ardente e tremenda giornata.
Le armature che mossero da qui
rutilanti d’argento ora ritornano
indorate dal sangue dei francesi:
non una piuma di cimiero inglese
è stata avulsa da picca francese;
le nostre insegne tornano impugnate
da quelle stesse mani
che già le avevano spiegate al vento
quando marciammo prima alla battaglia
e insieme ad esse fanno a voi ritorno,
come un gruppo di allegri cacciatori
i nostri baldi combattenti inglesi,
le mani di ciascuno imporporate
nella strage mortale dei nemici.
Aprite, e fate entrare i vincitori!
PRIMO CITTADINO - Araldi, noi da queste nostre torri
abbiam potuto, dall’inizio al termine
della battaglia, osservar chiaramente
dei vostri due eserciti, a vicenda,
il prevalere e quindi l’arretrare
ed anche l’occhio più acuto dei nostri
non ha saputo rilevar tra loro
che parità: sangue ha chiamato sangue
colpo ha risposto a colpo, forza a forza,
e potenza a potenza, pari entrambi
e parimenti da noi apprezzati.
A noi serve veder chi è il più forte;
finché il lor peso sarà così uguale,
noi non consegneremo la città
a nessuno dei due,
pur tenendola pronta per entrambi.
Rientrano, da parti opposte, RE GIOVANNI con ELEONORA, BIANCA e il BASTARDO; RE FILIPPO, con il DELFINO LUIGI e il Duca d’AUSTRIA; nobili e soldati da entrambe le parti.
GIOVANNI - Francia, hai ancora sangue da buttare?
Di’, dunque, dovrà o no scorrere libera
la corrente del nostro buon diritto?
Perché se al suo libero passaggio
sarà da te frapposto impedimento,
se non lascerai scorrere tranquille
fino all’oceano l’acque sue d’argento,
dovrà lasciare il natural suo alveo
e riversare il suo turbato flusso
oltre le sponde in cui tu vuoi restringerlo.
FILIPPO - Inghilterra, tu in questa accesa prova
non hai salvato una goccia di sangue
meno di noi francesi.
Anzi ne avrai perdute anche di più.
Ed io ti giuro sopra questa mano
che regge questa parte della terra
sulla quale s’inarca questo cielo
che noi non deporremo più quest’armi
impugnate per una causa giusta
prima d’avere rovesciato te,
contro cui le portiamo;
o aver aggiunto al numero dei morti
quello d’un re, con esso dando lustro
all’albo dei caduti in questa guerra
la cui carneficina, nella storia,
sarà associata al nome di due re.
BASTARDO - (A parte)
Come troneggia alta la tua gloria,
maestà, quando s’accende di furore
il preziosissimo sangue d’un re!
Ah, la morte ora fodera d’acciaio
le fere sue mascelle; denti e zanne
sono ad esse le spade dei soldati;
e con esse artigliando umana carne,
banchetterà alla grande
in questa incerta contesa di re.
Ma perché stanno ancor sì titubanti
queste fronti regali? Urlate: “A morte!”,
o re, tornate al campo di battaglia,
ancora caldo del recente sangue,
voi, anime infiammate di rancore,
d’egual potenza entrambe. E la disfatta
d’uno sancisca la pace dell’altro.
Fino ad allora, colpi, sangue e morte!
GIOVANNI - (A quelli di Angers sugli spalti)
Quale delle due parti, cittadini,
siete dunque disposti a riconoscere?
FILIPPO - (c.s.)
Parlate. Dite chi, per l’Inghilterra
è il vostro re?
PRIMO CITTADINO - Sarà il re d’Inghilterra,
quando conosceremo chi n’è re.
FILIPPO - Riconoscetelo pertanto in noi
che qui rappresentiamo i suoi diritti.
GIOVANNI - In noi, che sia qui davanti a voi
l’augusto vicario di noi stessi,
e rechiamo, con la presenza nostra,
testimonianza della signoria
di noi stessi, d’Angers e di voi tutti.
PRIMO CITTADINO - Un potere che sta sopra di noi
ci vieta tutto questo; e fino a quando
non sia stato rimosso ogni dubbio,
conserveremo in noi il nostro scrupolo,
re dei nostri timori, ben serrato
entro le nostre ben sprangate porte,
finché questi timori
non siano stati per sempre dissolti,
e il nostro scrupolo detronizzato
dalla certezza di chi è nostro re.
BASTARDO - (Ai due re)
Perdio, vostre maestà, questi furbastri,
si fan gioco di noi. Stan lì al sicuro,
come a teatro, su quei loro merli,
a seguire dall’alto, a bocca aperta,
le ben rappresentate vostre scene,
i vostri atti di morte.
Si lascino le vostre maestà
guidare dal mio umile consiglio:
fate come i ribelli in Palestina;
stringete un’alleanza provvisoria
e rivolgete, con le forze unite,
contro questa città la vostra collera
nelle più crude sue dimostrazioni.
Da est a ovest, Francia ed Inghilterra
puntino i lor cannoni micidiali
fino alla bocca carichi di polvere
finché col loro orribile sconquasso
non abbian diroccato e raso al suolo
la pietrosa cintura
di questa altezzosissima città.
Ci avrei sinceramente un gusto matto
a bersagliare questi ruffianacci,
fino a ridurli a tal desolazione
che, venuta lor meno ogni difesa,
li lasci spogli e nudi come l’aria.
Una volta compiuta tal rovina,
potrete nuovamente separare
gli uniti vostri eserciti,
riprendervi ciascuno i suoi vessilli
ed azzuffarvi ancora, faccia a faccia,
punta di spada a punta, sangue a sangue;
e sia pur la Fortuna allora a scegliere,
tra le due parti, in un solo momento,
il suo ben fortunato beniamino
al quale vorrà dare la vittoria,
nel bacio della gloria.
Che vi pare, potenti maestà
di questo mio avventato consiglio?
Non credete che sappia alquanto bene
di politica astuzia?
GIOVANNI - Ebbene sì,
per il cielo che su di noi s’inarca,
il consiglio non mi dispiace affatto!
Francia, vogliamo unir le nostre forze,
e, una volta rasa al suolo Angers,
vedercela di nuovo tra noi due
a chi appartenga d’essere il suo re?
BASTARDO - (Al re di Francia)
Anche tu come noi sei stato offeso
dall’insolenza di questa città,
e dunque se di re hai tu la tempra,
punta anche tu le tue artiglierie,
come faremo noi con quelle nostre,
su queste sue impertinenti mura,
e, dopo che le avremo rase al suolo,
sfidiamoci fra noi al meglio-peggio,
per il cielo o l’inferno.
FILIPPO - Mi sta bene.
Voi da che parte volete attaccare?
GIOVANNI - Noi faremo piombare la distruzione
al cuor della città da occidente.
AUSTRIA - Io lo farò da nord.
FILIPPO - I nostri tuoni
faranno allora piovere da sud
pioggia di fuoco su questa città.
BASTARDO - (A Re Giovanni)
Sagace strategia! Da nord a sud,
opposti l’uno all’altro, Austria e Francia
si spareranno addosso. Incoraggiamoli!
PRIMO CITTADINO - Ascoltate, possenti maestà.
Concedetevi un attimo di sosta,
ed io v’indicherò la giusta via
per una pace e un’intesa leale,
sì che possiate aver questa città
senza colpo ferire,
e permettere a tutti questi vivi
qui venuti a sacrificar sul campo
la vita, di morir nel proprio letto.
Non ostinatevi, possenti re,
ma date ascolto a me.
GIOVANNI - Ebbene, parla.
Siamo qui ben disposti ad ascoltare.
PRIMO CITTADINO - Quella figlia del re di Spagna, là,
Lady Bianca, nipote d’Inghilterra.
Considerate l’età del Delfino
e di codesta leggiadra ragazza.
Un amore sensuale
che andasse in cerca solo di beltà
dove ne troverebbe di più splendida?
Un amor castigato
che andasse in cerca solo di virtù
dove ne troverebbe di più casta?
Un amore ambizioso
che sol cercasse nobiltà di sangue
nelle vene di quale altra fanciulla
ne potrebbe trovare di più nobile
che in Lady Bianca? E così come in lei
è vera perfezione di virtù,
di natali e di giovanil bellezza,
perfetto è anche il giovane Delfino;
e se qualcosa si può dir che manchi
alla sua più completa perfezione,
è di non esser lei; così se a lei
si vuol dir che qualcosa sia mancante
è di non esser lui.
In conclusione, si potrebbe dire
ch’egli sia in se stesso la metà
dell’uomo pieno d’ogni perfezione,
che troverebbe in lei l’altra metà,
ed ella un’incompiuta perfezione
che avrebbe in lui il suo completamento.
Oh, quando unissero le loro acque
due argentee correnti come queste,
farebbero il decoro delle sponde
che le contengono; e quelle sponde,
letto alle due correnti unificate,
sareste voi due re, per questi principi,
se consentiste al loro matrimonio.
Potrebbe più un’unione di tal specie
contro le nostre ben sprangate porte,
che non possa un’intera batteria;
perché al solo brillar di quella miccia,
noi qui, con più sollecita premura
che non possa la forza della polvere
spalancheremmo a voi le nostre porte
e vi daremmo ingresso alla città.
Ma senza questa unione,
non è sì sordo l’oceano in tempesta,
non sì fermo ed impavido il leone,
non così inesorabile
la furia distruttrice della morte,
come noi a difender queste mura.
BASTARDO - (A parte)
Ecco davvero un bel colpo di freno,
che viene a scrollar fuori dai suoi stracci
la putrida carcassa della morte.
Ecco un bel boccalone linguacciuto
che sputa fuori come fosse niente
morte, montagne, rocce, mari in furia,
e parla di leoni inferociti
famigliarmente, come dei lor cuccioli
le ragazzine tredicenni. Cribbio!
Qual bombardiere può aver generato
questo sangue bollente?
Il suo parlare è il tuono d’un cannone:
fuoco e fumo, con tanto di rimbombo;
con la lingua costui assesta colpi
che sono schiaffi per le nostre orecchie;
ed ogni sua parola è una ceffata
più forte del cazzotto d’un francese.
Sangue di Cristo! Mai m’era successo
d’esser pestato così di parole
da quella volta che chiamai “papà”
il padre di Roberto mio fratello!
ELEONORA - (A parte a Giovanni)
Figlio, non farti sfuggir l’occasione,
da’ il tuo consenso a questo matrimonio,
anzi assicura alla nostra nipote
una dote cospicua; questo vincolo
ti farà più sicura la corona,
così malferma ancora sul tuo capo,
e farà sì che quel ragazzo in erba
non abbia a trovar sole sufficiente
a maturare la sua fioritura,
che promette, se no, potenti frutti.
Mi par di scorgere sul viso al Francia
una certa disposizione a cedere:
guarda come parlottano tra loro….
Sollecitali mentre i loro animi
si mostran, come pare, ricettivi
a codesta ambiziosa prospettiva,
che il ferro della loro propensione,
or giunto al punto giusto di fusione,
non abbia a raffreddarsi
e irrigidirsi nuovamente al vento
di blande petizioni,
ripensamenti e pietosi rimorsi.
PRIMO CITTADINO - Perché restano mute
le due maestà davanti alla proposta
formulata con amichevol cuore
da questa nostra città minacciata?
FILIPPO - Inghilterra, rispondi tu per primo,
tu che per primo ti sei fatto avanti
a parlargli: ebbene che ne dici?
GIOVANNI - Se il principe Delfino,
tuo principesco figlio, qui presente,
saprà legger: “Io amo”
in questo libro aperto di beltà,
la di lei dote eguaglierà nel peso
quella d’una regina: l’Angiò, il Maine,
la fertile Turenna, il Poitou,
e tutto quello che di qua dal mare
ci troviamo ad avere sottoposto
alla nostra corona e autorità,
tranne questa città ora assediata,
adorneranno il suo letto nuziale,
facendola così ricca per titoli
quanto già per bellezza, educazione
e nobiltà di sangue ella sta al pari
d’ogni altra principessa della terra.
FILIPPO - (Al figlio)
Tu che dici ragazzo?
Guardala bene in viso la fanciulla.
DELFINO - È quel che sto facendo, mio signore;
e nel suo occhio scopro meraviglie,
un qualche cosa che sa di miracolo:
riflessa nel suo occhio la mia ombra,
che, pur essendo sol di vostro figlio
l’ombra, riflessa là diventa un sole
e fa di vostro figlio,
questo ch’è qui in carne ed ossa, un’ombra.
(Si apparta a conversare con Bianca)
BASTARDO - (A parte, canterellando)
“Nel quadro seducente
“dell’occhio suo dipinto;
“sospeso all’aggrottato
“di sua fronte cipiglio;
“squartato nel suo cuore,
“contempla sconsolato
“quel traditor d’Amore.
“Epperò che peccato
“che ad essere appiccato
“e poi tratto e squartato
“da una tale passione
“sia un tale minchione!”
BIANCA - (Al Delfino)
Il voler di mio zio è anche il mio
a tal riguardo. S’ei ravvisa in voi
qualcosa ch’è di suo compiacimento,
qualunque cosa ei veda che gli piaccia
io posso facilmente trasferire
nel piacimento mio; o, se volete,
a dirla con maggiore proprietà,
imporlo facilmente all’amor mio.
Non voglio star più oltre a lusingarvi
col dirvi come sia degno d’amore
tutto che in voi m’è dato di vedere.
Vi basti questo: non c’è nulla in voi
che, se pur sottoposto da mia parte
al vaglio dei più critici pensieri,
possa apparirmi tale
da meritare la minima repulsa.
GIOVANNI - Che dicon questi giovani?
Che mi dice la mia cara nipote?
BIANCA - Che sente come un obbligo d’onore
adempier di buon grado a tutto quanto
voi possiate, nella saggezza vostra,
suggerire ch’ella faccia pel suo bene.
GIOVANNI - Parlate allora, principe Delfino,
vi sentite d’amar questa signora?
DELFINO - Chiedetemi piuttosto, mio signore,
se potrei mai sentir di non amarla,
perché l’amo, del più sincero amore.
GIOVANNI - Ed io ti do, con lei, quand’è così,
il Vexin, la Turenna, il Poitiers,
l’Angiò ed il Maine: queste cinque terre,
e l’appannaggio di tremila franchi
di conio inglese. Filippo di Francia,
se tutto questo è di tuo gradimento,
ordina a questi due, tuo figlio e figlia,
d’unir le loro mani.
FILIPPO - Ci sta bene.
Giovani principi, unite le mani.
AUSTRIA - E le labbra! Perché io son sicuro
d’aver fatto così la prima volta
che m’è accaduto d’esser fidanzato.
FILIPPO - Cittadini di Angers,
ora potrete aprir le vostre porte
e lasciare che transiti per esse
l’amicizia da voi stessi saldata;
perché al più presto, con solennità,
sia celebrato il rito delle nozze
nella cappella di Santa Maria.
Lady Costanza dov’è? Non è qui?
(A parte)
So bene che non c’è lo. La sua presenza
sarebbe stato un notevole intralcio
a combinare questo matrimonio.
(Forte)
Dov’è lei con suo figlio?
Se c’è qualcuno che lo sa, lo dica.
DELFINO - Sotto la vostra tenda, Vostra altezza,
attristata e fremente di passione.
FILIPPO - Certo, non può recarle gran sollievo
l’alleanza da noi testé conclusa.
Fratello Inghilterra,
in che modo possiamo accontentarla
questa vedova? Noi siam qui venuti
per la revindica d’un suo diritto;
e abbiamo preso, Dio lo sa, altra strada
nel nostro personale tornaconto.
GIOVANNI - Troveremo rimedio a tutto questo:
faremo Arturo duca di Bretagna,
conte di Richmond, e di questa ricca
e bella e florida città signore.
Chiamiamo subito Lady Costanza;
vada da lei veloce un messaggero
a dirle di venire a presenziare
alla nostra solenne cerimonia:
se pur non colmeremo fino al sommo
la misura di quanto ella vorrebbe,
confido che potremo in buona parte
accontentarla; almeno per quel tanto
che basti a far cessar le sue querele.
Ora rechiamoci a disporre al meglio,
per quanto lo consentirà la fretta,
questa imprevista e improvvisata pompa.
(Escono tutti tranne il Bastardo)
BASTARDO - Mondo pazzo! Re pazzi! Patto pazzo!
Giovanni, per precludere ad Arturo
il titolo su tutto, in buon accordo
se ne spartisce con lui una parte;
il Francia, addosso al quale la coscienza
aveva fatto allacciar l’armatura,
e che pietà e carità cristiana,
da soldato di Dio, avevan tratto
sul campo di battaglia, ora distolto
e abbindolato come tutti gli altri
da quello stesso guastator d’intenti,
quell’astuto demonio, quel mezzano
capace di smezzare anche la testa
della stessa lealtà,
quel quotidiano manipolatore
di falsi giuramenti, corruttore
di tutti, re, mendichi, vecchi, giovani,
fanciulle vergini, cui, con l’inganno,
nient’altro possedendo, poverette,
di tesoro, che la verginità,
fa perdere anche quella;
sì, dico, da quel bravo gentiluomo
dal viso ben rasato, l’interesse,[69]
l’asse sghembo su cui si regge il mondo,
un mondo che sarebbe, per se stesso,
in relativo stabile equilibrio,
un mondo fatto per fluir scorrevole
su d’un terreno bene levigato,
se non ci fosse lui, il tornaconto,
questa forza d’inclinazione al basso,
questo squilibratore d’ogni moto,
a sviarlo da ogni buon criterio,
da ogni retta via o buon proposito.
Questo ruffiano, questo intermediario,
questo sconvolgitore d’ogni cosa,
avvinghiandosi all’occhio già svagato
del volubile Francia,
l’ha distolto da ogni suo proposito
di soccorrere altrui, per consigliarlo
a passare da una guerra onorevole
a una pace posticcia, di facciata,
indecorosamente combinata.
Ma perché poi son io
ad imprecare contro l’interesse?
Non sarà perché sono stato immune
finora da ogni suo adescamento?
Perché non posso dir nemmeno io
d’esser sicuro di avere la forza
di chiudere la mano,
quando ne carezzassero la palma
i suoi begli angioletti tutti d’oro;
è solo che, non ancora tentata,
la mia mano fa come il mendicante
che, povero, impreca contro i ricchi.
Mendicante come son io finora,
seguiterò a gridare e proclamare
che la ricchezza è l’unico peccato;
ma se dovessi diventare ricco,
terrò per mia virtù di proclamare
che non v’è al mondo peccato più nero
della mendicità.
Ché se perfino i re per interesse
infrangono la fede, io terrò te,
guadagno, come solo mio signore,
adorerò te solo per mio dio.
(Esce)
ATTO TERZO
SCENA I - Il campo francese; la tenda del re.
Entrano COSTANZA, ARTURO e SALISBURY
COSTANZA - Via a sposarsi! Via a giurarsi pace!
Sangue falso mischiato a sangue falso!
Eccoli dunque diventati amici!
Luigi si avrà Bianca,
e Bianca avrà per sé quelle province!
No, questo non può essere:
hai male inteso e male riferisci.
Sii preciso, ripetimelo bene.
Non è possibile quello che dici;
sei tu che me lo dici in questo modo,
ma son convinta che non è così,
e non ti credo, ché la tua parola
è vano fiato d’uno che non conta.
No, amico, credimi: a tua smentita
ho la parola giurata d’un re.
Io non ti credo. E tu sarai punito,
per avermi così turbato l’animo,
malata come sono, intimorita
continuamente, sopraffatta l’animo
da molte iniquità; vedova, e donna
proclive per natura alle paure;
tanto che s’anche tu venissi a dirmi
d’aver parlato solo per ischerzo,
questo mio spirito così agitato
seguiterebbe tutto il giorno a scuotersi
senza darmi un sol attimo di tregua…
Scuoti il capo… perché?
Perché guardi mio figlio con quell’aria
di compassione? Che cosa vuol dire
quella tua mano posata sul petto?
Perché trattengono a forza i tuoi occhi
un doloroso flusso,
come un fiume che spii di là dagli argini,
e si trattenga dallo straripare?
Son forse questi i taciti segnali
d’una conferma delle tue parole?
Parla, allora, ripeti il tuo messaggio.
Ma non tutto, mi basta una parola:
se quel ch’hai detto è vero, sì o no.
SALISBURY - Vero, per quanto falsa
voi possiate pensare ogni persona
che venga a presentarvi alcun motivo
di credere per vero quel che ho detto.
COSTANZA - Ah, Salisbury, se vero
vuoi farmi credere questo dolore,
insegna pure ad esso come uccidermi;
e fa’ che in me il creder che sia vero
quel che dici e il mio spirito vitale
confliggano con tal cieco furore
come sol possono due disperati
che al solo urtarsi stramazzano e muoiono.
Luigi sposa Bianca…
(Ad Arturo)
Oh, che sarà mai di te, ragazzo mio,
allora? Francia ed Inghilterra amici…
E io che faccio?
(A Salisbury)
Va’, vattene, amico…
La tua vista non la sopporto più.
Quest’annuncio t’ha reso agli occhi miei
il più aborrito degli esseri umani.
SALISBURY - Che male ho fatto io, buona signora,
se non che d’esservi stato latore
del male procuratovi da altri?
COSTANZA - Ma è un male in sé tanto cattivo,
da rendere cattivo chi ne parla.
ARTURO - Madre mia, vi scongiuro, rassegnatevi.
COSTANZA - Ah, se tu che m’esorti a rassegnarmi
fossi un essere bieco, repellente,
disdoro al grembo stesso di tua madre,
coperto il corpo di pustole immonde,
di schianze intollerabili alla vista,
sciocco, sbilenco, idiota, nero, mostro,
oh, allora non starei tanto in affanno
per te, starei, sì, calma e rassegnata,
perché non t’avrei certo così caro;
né tu saresti, allora, come sei,
degno dei tuoi altissimi natali
e meritevole d’una corona.
Ma tu sei bello, caro il mio ragazzo,
natura e buona stella alla tua nascita
s’allearono a fare di te un grande.
Dei doni onde Natura t’ha adornato
potresti gareggiare con i gigli
e con le rose appena mo’ sbocciate.
Ma la Fortuna, oh!, quella s’è corrotta,
e, mutata con te, t’ha abbandonato;
essa fornica adesso d’ora in ora,
con tuo zio Giovanni,
ed ha spinto con la sua mano d’oro
il re di Francia a far villano scempio
d’ogni rispetto alla sovranità
ed a ridurre la propria maestà
al ruolo di ruffiano: il re di Francia
mezzano tra Fortuna e Re Giovanni,
tra una puttana ed un usurpatore!
Dimmi tu, ora, se non è uno spergiuro
il re di Francia, amico. Digli tu
tali parole che siano veleno,
o vattene, e lascia solo a me,
queste ambasce ch’io sola ho da soffrire!
SALISBURY - Perdonate, signora, ma tornare
non posso dai due re senza di voi.
COSTANZA - Lo puoi, anzi lo devi.
Perch’io con te non vengo.
Voglio insegnare ad essere orgogliose
alle mie sofferenze; anche il dolore
ha un orgoglio ch’è il suo, e impone agli altri
di venirsi a inchinare a chi lo sente.
Vengano i re a riunirsi a me dinnanzi,
davanti alla maestà del mio dolore;
esso è così pesante che a sorreggerlo
non v’è altro sostegno che la terra
nell’immobile sua immensità:
(Si siede per terra)
e qui per terra io e il mio dolore
sediamo, qui è il mio trono;
e tu va’ pure ad avvisare i re
di venire a inchinarsi avanti ad esso.
(Esce Salisbury con Arturo)
Entrano RE GIOVANNI, RE FILIPPO, IL DELFINO, BIANCA, ELEONORA, IL BASTARDO, IL DUCA D’AUSTRIA e altri.
COSTANZA rimane seduta a terra.
FILIPPO - (A Bianca)
È così, figlia bella; e d’ora innanzi
questo felice giorno
sarà giorno di festa in tutta Francia.
A farlo più solenne, arresta il corso
oggi il fulgido sole,
e si diverte a fare l’alchimista
in oro luccicante trasmutando
con la luce del suo prezioso occhio
l’arido, magro fango del terreno.
Il volgere dell’anno, che puntuale
nel suo cammino lo ricondurrà
dovrà sempre veder questo giorno
santificato come dì di festa.
COSTANZA - (Alzandosi)
Altro che santo! Un giorno infame è questo!
Quali meriti insigni ha questo giorno?
Quale bene ha recato
per esser scritto a caratteri d’oro
tra le solennità del calendario?
Ah, piuttosto strappatelo
dagli altri giorni della settimana,
esso è soltanto giorno di vergogna
d’ingiustizia, di falsi giuramenti!
O, se proprio vi deve rimanere,
le donne incinte preghino il Signore
di non farle sgravare in questo giorno,
per tema che le lor belle speranze
siano mostruosamente contrariate;
in altro giorno non teman naufragio
i marinai; non sia violato patto
che non sia stato stretto in questo giorno;
tutto che in questo giorno prenda inizio
abbia per sorte rovinosa fine;
e la stessa lealtà, in questo giorno,
si muti nel più nero tradimento!
FILIPPO - Per il cielo, signora, v’assicuro
che non v’è proprio motivo, per voi,
di maledire così come fate
i lieti eventi di questa giornata:
non avete voi forse la parola
di guarentigia della mia maestà?
COSTANZA - Voi m’avete ingannata
con una falsa maestà, bugiarda,
rivelatasi al saggio di purezza
una vera patacca. Sceso in armi
col proposito di spillare il sangue
del mio nemico, adesso l’abbracciate,
rendendolo più forte.
L’ardore ed il cipiglio d’una guerra
si fanno raggelare
in un accordo di pace posticcio,
in una pace solo di facciata,
di questa vostra lega unico mastice
l’oppressione di me e di mio figlio.
Oh, cieli, armatevi, armatevi voi,
contro due re spergiuri!
Una vedova in lacrime vi grida:
“O cieli, siate voi a me marito!
Non permettete che scorrano in pace
l’ore di questo giorno sconfortato;
ma fate, prima che tramonti il sole
su di esso, che la Discordia armata
venga a porsi fra questi re spergiuri…
Oh, uditemi, o cieli!
AUSTRIA - Pace, Lady Costanza…
COSTANZA - Guerra, guerra!
Niente pace! La guerra è per me pace!
Oh, Limoges, oh, Austria,
tu copri solamente di vergogna
codesta spoglia ancora insanguinata;
tu, servo, miserabile, codardo!
Tu, uomo tanto piccolo in valore
per quanto grande in mascalzoneria!
Tu, sempre forte a fianco del più forte;
tu, campione della propizia sorte,
pronto a batterti solo se al tuo fianco
c’è la sua capricciosa Signoria
a insegnarti come scampar la pelle!
Sei spergiuro anche tu
che fai da leccapiedi alla Grandezza.
Che stolto sei - uno stolto rampante! -
a smaggiassare, a pestare per terra
giurando d’essere dalla mia parte?
Non hai tu forse, schiavo mezzosangue,
tuonato d’essere mio paladino,
ch’io m’affidassi alla tua buona stella,
alla fortuna tua, alla tua forza?
Ed ora passi con i miei nemici?
Tu, indossare una pelle di leone?
Gettala via, che ti fa sol vergogna!
E appiccaci una pelle di vitello
su quelle spalle tue di rinnegato!
AUSTRIA - Ah, se a parlarmi così fosse un uomo…
BASTARDO - (Rifacendo il verso a Lady Costanza)
“E appiccaci una pelle di vitello
su quelle spalle tue di rinnegato!”
AUSTRIA - (Mettendo mano alla spada)
Non oserai ripeterlo, furfante,
se vuoi salva la vita!
BASTARDO - “E appiccaci una pelle di vitello
su quelle spalle tue di rinnegato”.
GIOVANNI - (Al Bastardo)
Non mi piace. Dimentichi chi sei.
Entra il CARDINALE PANDOLFO
FILIPPO - Oh, ecco il santo legato del papa!
PANDOLFO - Salvete, unti vicari del Signore!
Re Giovanni, a te è indirizzato
il mio sacro messaggio. Io, Pandolfo,
della bella Milano cardinale,
e qui da Papa Innocenzo legato,
in nome della sacra sua persona
ti chiedo perché sì ricalcitrante
sei contro nostra santa madre Chiesa;
e perché mai ti opponi con la forza
a che Stefano Langhton,
arcivescovo eletto di Canterbury,
occupi questa sua divina sede.
Questo, in nome del detto santo padre,
nostro papa Innocenzo, io ti domando.
GIOVANNI - Cardinale, qual nome sulla terra
può arrogarsi il diritto
di sottoporre ad interrogatorio
d’un consacrato re il libero fiato?
Inutilmente, per trarmi a rispondere
tu tiri fuori un nome tanto futile,
e indegno ed irrisorio com’è quello
del papa.
1 comment