In nostra assenza,
conferiamo l’incarico a zio York
di Lord Governatore d’Inghilterra,
perché è probo e ci volle sempre bene.
Venite, mia regina:
domani sarà forza separarci.
Allegra, ci rimane poco tempo.
(Escono il Re, la Regina, Aumerle, Bushy, Bagot e Green)
NORTHUMBERLAND -
Così, signori, Lancaster è morto.
ROSS -
E vivo a un tempo, ché duca è suo figlio.
WILLOUGHBY -
Per il titolo; per gli averi, no.
NORTHUMBERLAND -
Lo sarebbe per l’una e l’altra cosa,
se la giustizia avesse lungo corso.
ROSS -
Ho il cuore gonfio; ma, povero cuore,
sarà costretto a crepare in silenzio
prima di liberarsi dal suo peso
e mandar la mia lingua in libertà.
NORTHUMBERLAND -
Aprilo, invece; di’ quello ch’hai dentro;
e si secchi la lingua
a chi riferirà le tue parole
per farti danno.
WILLOUGHBY -
Se quel che vuoi dire
è cosa che riguarda il Duca di Hereford,
coraggio, parla pure con franchezza
e senza remore, perché al mio orecchio
non par vero di udire finalmente
qualcuno che gli parla in suo favore.
ROSS -
Favori, in verità, non posso fargliene,
salvo che non prendiate come tale
la pietà che m’ispira la sua sorte,
defraudato e spogliato dei suoi beni.
NORTHUMBERLAND -
È una vergogna, dico, avanti a Dio,
che noi si debba star passivamente
a subir l’onta di tanti soprusi
a un principe del sangue come egli è,
e a tanti altri di nobile lignaggio,
in questo nostro paese in sfacelo.
Il re non è più lui.
È pervertito dal maligno influsso
di bassi adulatori: tutta gente,
che per nient’altro che perché ci odia,
ci potrebbe accusar di ciò che vuole
e il re, senza alcun dubbio, a secondarli
ci punirebbe assai pesantemente
nella vita, nei figli e loro eredi.
ROSS -
Ha già spogliato con odiose tasse
il popolo, alienandosi del tutto
il cuore della gente.
È
andato a rivangare antiche cause
per far pagare ammende a molti nobili,
perdendone del tutto l’amicizia.
WILLOUGHBY -
E ogni giorno si vanno escogitando
nuovi prelievi, come assegni in bianco,(39)
benevolenze,(40) e non so più che cosa.
Ma nel nome di Dio, questo denaro
si può sapere dove va a finire?
NORTHUMBERLAND -
Non certo a finanziare nuove guerre,
perché di guerre non ne ha fatte più,
preferendo con vili compromessi,
cedere tutto quanto i suoi degni avi
avevan conquistato combattendo.
ROSS -
E ha dato il regno in affitto a Wiltshire.
WILLOUGHBY -
Un re che ha dichiarato fallimento
come un ignobile bancarottiere!
NORTHUMBERLAND -
Rovina e infamia gli pendon sul capo.
ROSS -
Ora, per questa sua guerra in Irlanda,
malgrado le pesanti tassazioni,
non ha saputo trovare altri mezzi
che derubarli al duca che ha bandito.
NORTHUMBERLAND -
Che, per giunta, è suo nobile parente.
O re degenere!… Però, signori,
noi ce ne stiamo tutti qui, tranquilli,
a udire il sibilar della tempesta
che s’approssima, e non facciamo nulla
per cercarci un riparo.
Vediamo il vento sbatacchiar le vele
con paurosa violenza, e stiamo fermi,
senza togliere l’acqua dallo scafo,(41)
andando incontro a sicuro naufragio.
ROSS -
Che ci attenda il naufragio, lo sappiamo;
ma come fare a scampare il pericolo,
se siamo stati noi a provocarlo,
per aver tollerato le sue cause?
NORTHUMBERLAND -
Beh, direi proprio che non è così;
ché dalle cupe occhiaie della morte
intravvedo spuntare ancor la vita.
Ma non m’arrischio a fare previsioni
sul tempo della nostra redenzione.
WILLOUGHBY -
Parla, Northumberland, liberamente!
Perché noi tre non siamo che un sol uomo,
e parlando fra noi,
le tue parole restano segrete,
come nella tua mente i tuoi pensieri.
Su, non aver paura, parla franco!
NORTHUMBERLAND -
Ecco, allora: m’è giunta informazione
da Port le Blanc, una baia in Bretagna,
che il duca d’Hereford, con altri nobili
- Lord Rinaldo di Cobham,
Tomaso figlio del conte di Arundel
e suo erede, che or non è molto
aveva rotto con il Duca di Exeter
suo fratello, Arcivescovo di Canterbury;
Sir Thomas Erpingham, Sir Thomas Ramston,
Sir John Norbery, Sir Robert Waterton,
e Francis Quoint ed altri grossi nomi -
tutti questi, dal Duca di Bretagna
ben riforniti di otto grosse navi
e di tremila armati, fanno rotta
a tutta vela verso queste coste
e contan di toccar la nostra terra
tra breve su una spiaggia a settentrione;
e sarebbero forse già sbarcati,
se non che vogliono prima aspettare
la partenza del re verso l’Irlanda.
E dunque se vogliamo liberarci
dal giogo che ci opprime come schiavi;
se vogliamo infoltir di nuove penne
l’ala ferita della nostra patria;
riscattar la corona sfigurata
dal marchio dell’ignobile ipoteca;
forbire il regal scettro dalla polvere
che ne offusca l’avita lucentezza,
e fare che l’augusta maestà
abbia a riprendere il suo vero volto,
non c’è più da indugiare: tutti insieme
con me, di corsa, verso Ravenspurgh!
Ma se sentite che vi manca il cuore,
restate e zitti! Ci vado da solo.
ROSS -
Macché, nessun indugio! Via, a cavallo!
Questi tuoi dubbi, mio caro Northumberland,
sollevali soltanto a chi ha paura.
WILLOUGHBY -
Io sarò là per primo,
se il mio cavallo reggerà lo sforzo.
(Escono)
SCENA II
Il castello di Windsor
Entrano la REGINA, BUSHY e BAGOT
BUSHY -
Vi vedo d’umor triste, mia signora.
Quando v’accomiataste da Sua Grazia
gli prometteste di metter da parte
l’opprimente mestizia,
umore che fa male alla salute,
e di serbare un umore piacevole.
REGINA -
Lo promisi per compiacere al Re;
per compiacere a me stessa, non posso.
E del resto non vedo altro motivo
per dare il benvenuto a un tal ospite
com’è questa tristezza,
se non l’aver da poco detto addio
ad un ospite dolce, al mio Riccardo.
Eppure sento avvicinarsi a me
una pena che non è ancora nata,
ma è già matura in grembo alla Fortuna,
perché l’anima mia intimamente,
trasale, trepida, per un nonnulla.
C’è qualche cosa che l’affligge più
del distacco dal suo signore, il re.
BUSHY -
L’oggetto d’ogni pena ha mille ombre
che sembrano dolore, ma non sono.
È che l’occhio di chi soffre una pena,
attraverso le lacrime che accecano,
scompone una visione in più soggetti,
come succede di certe pitture
che se sono guardate di prospetto
non offrono che immagini indistinte,
mentre presentano netti contorni
se guardate di sghembo o di traverso.(42)
Così la vostra dolce maestà,
guardando tra le lacrime
la partenza del re, vostro signore,
scopre forme che, viste senza lacrime,
son ombre di qualcosa che non c’è.
Quindi, tre volte graziosa regina,
più di quanto richieda la partenza
del re, vostro signore, non piangete.
Non si vede altra causa;
o, se mai si vedesse, non è altro
che l’effetto ingannevole dell’occhio
che piange come vere certe cose
che sono invece solo immaginarie.
REGINA -
Sarà così, ma il cuore, nel mio intimo,
insiste a dire ch’è tutt’altra cosa.
Sia come sia, mi sento tutta presa
da una tristezza a tal punto opprimente,
che se pur mi proponga, ragionando,
di non farmi venir pensieri tristi,
basta un niente per ritornar depressa,
e mancare.
BUSH -
Non è che fantasia,
questa vostra, graziosa mia signora.
REGINA -
No, non è questo; l’idea del dolore
deriva sempre da un dolore vero,
se pur remoto; il mio non è così:
non c’è nulla di cui io possa dire
che ha generato in me quel qualche cosa
che m’affligge; e nemmeno c’è qualcosa
ch’io possa dire ch’abbia generato
quel nulla. Cosa sia poi questo nulla,
non lo so, non riesco a dargli un nome.
So solo ch’è una pena senza nome.
Entra GREEN
GREEN -
Dio salvi la maestà della regina!
E ben trovati a voi, cari signori!
Spero che il re non sia salpato ancora
per l’Irlanda.
REGINA -
Perché speri tu questo?
Meglio sperare invece che lo sia:
rapidità esigono i suoi piani;
nella rapidità sta la speranza.
Ma perché speri che non sia partito?
GREEN -
Perché, quale unica nostra speranza,
potrebbe richiamare le sue truppe,
e render disperata la speranza
di un nemico che ha messo saldo piede
su questa terra. Lo sbandito Bolingbroke
s’è revocato il bando da se stesso
e con armi brandite a dar battaglia
è approdato felicemente a Ravenspurgh.
REGINA -
Oh, non lo voglia il cielo!
GREEN -
Ahimè, signora,
purtroppo è proprio vero; e quel che è peggio
Northumberland col suo giovane figlio,
Enrico Percy e i Lord Beaumont e Ross,
e Willoughby con tutti i loro amici,
son corsi ad un suo cenno.
BUSHY -
Perché non proclamaste traditori
Northumberland e tutti gli altri nobili
del gruppo dei ribelli?
GREEN -
L’abbiam fatto;
ma sopra quel decreto il conte Worcester
spezzò la mazza,(43) rassegnò la carica
di siniscalco,(44) ed accorse da Bolingbroke
insieme a tutti i servi della casa.
REGINA -
Allora, Green, se è vero quel che dici,
tu sei l’ostetrico della mia pena,
e Bolingbroke ne è l’orrido parto.(45)
L’anima mia ha partorito il mostro,
ed io, novella puerpera in affanno,
aggiungo pena a pena, doglia a doglia.
BUSHY -
Signora, non dovete disperarvi.
REGINA -
Chi mai potrà impedirmelo, oramai?
Vo’ darmi preda alla disperazione,
vo’ dichiarare guerra alla speranza,
questa guardiana adulatrice e ipocrita,
sempre pronta a respingere la morte,
che invece scioglierebbe nobilmente
i lacci della vita,
ch’essa, la parassita, tiene stretti.
Entra il DUCA DI YORK
GREEN -
Ecco il duca di York.
REGINA -
Con le insegne di guerra(46) al vecchio collo.
Oh, che gravi pensieri nel suo sguardo!
Zio, per l’amor di Dio,
ditemi una parola di conforto.
YORK -
Se lo facessi, falserei, regina,
il mio pensiero. Conforto è solo in cielo,
e noi siam sulla terra,
dove son solo croci, affanni e triboli.
Vostro marito è voluto partire
per salvare a sé terre assai lontane;
altri vengono qui,
a far ch’egli ne perda in casa sua;
e a fargli da puntello qui, nel regno,
non è rimasto alcuno eccetto me,
che, debole e spossato dall’età,
non so nemmeno puntellar me stesso.
È arrivata per lui l’ora del vomito,
dopo tanti bagordi;
e di mettere a prova le amicizie
che l’hanno lusingato fino ad oggi.
Entra un SERVO
SERVO -
Monsignor Duca, il re vostro nipote
era già in mare. Non ha fatto in tempo.
YORK -
Già?… Vada allora tutto come vada!
I nobili fuggiti…
il popolo che gli si è fatto ostile,
pronto anch’esso, ho paura, alla rivolta,
ed a passare tutto a Enrico d’Hereford…
Corri a Plashy, da mia cognata Gloucester,
chiedile che mi mandi per tuo mezzo
mille sterline. Toh, prendi il mio anello.(47)
SERVO -
Oh, signore, a proposito…
non ve l’ho detto: oggi, al mio ritorno,
m’ero fermato appunto là, signore,…
ma vi darò cordoglio a dirvi il resto.
YORK -
Quale resto, gaglioffo, che hai da dire?
SERVO -
La Duchessa, signore, era già morta,
un’ora prima ch’io giungessi là.
YORK -
Pietà di Dio! Che marea di sciagure
si sta abbattendo tutta in una volta
su questa triste, tormentata terra!
Non so che fare. Avesse Dio voluto
che il re - pur senza mia infedeltà
verso di lui a dargliene motivo -
m’avesse fatto mozzare la testa,
insieme a mio fratello!… Come mai!
Non ci sono corrieri per l’Irlanda?
Come faremo a trovare il denaro
per questa guerra?…
(Alla regina)
Vi prego, cognata,
- nipote dovrei dire - perdonatemi.
(Al servo)
Senti ragazzo, corri a casa mia,
vedi di procurarti qualche carro,
e porta via le armature che trovi.
(Esce il servo)
Signori, vi volete dar lo scomodo
d’andar in giro a reclutar soldati?
Se vi dicessi che so come fare
per districarmi nel grosso garbuglio
degli affari che sono in mano mia,
non credetemi. L’uno come l’altro
son miei parenti: uno è il mio sovrano
che il mio dovere ed il mio giuramento
m’impongon di difendere;
ma l’altro è anch’egli mio parente, e il re
gli ha fatto grave torto
a cui coscienza e vincoli di sangue
anche m’impongono di rimediare.
Bene, qualcosa si dovrà pur fare.
(Alla regina)
Intanto m’occupo di voi, nipote:
venite. Nel frattempo voi, signori,
andate a reclutare i vostri uomini,
e raggiungetemi immediatamente
al Castello di Berkeley.
Dovrei passare, invero, pure a Plashy,
ma il poco tempo non me lo consente.
È tutto uno sconquasso,
ciascuna cosa è in balia di se stessa.
(Esce con la regina)
BUSHY -
In mare il vento spira favorevole
all’invio di dispacci per l’Irlanda,
ma non ce ne riporta di ritorno.
Per noi mettere insieme grandi forze
da tener fronte a quelle del nemico
è impossibile.
GREEN -
In più l’essere noi
sì vicini alle simpatie del re,
ci fa per questo tanto più vicini
all’odio di coloro che lo avversano.
BAGOT -
E chi son questi? Il volubile volgo
che sa nutrire solo simpatia
per la sua borsa; e chi quella gli vuota
riempie, in proporzione, i loro petti
di mortale rancore.
BUSHY -
E così il re è da tutti condannato.
BAGOT -
Ah, condannati lo saremo tutti,
se tal potere cada in mano al popolo,
noi che al re siamo stati più vicini.
GREEN -
Stando così le cose,
io vado a rifugiarmi in tutta fretta
al castello di Bristol.(48)
Il conte di Wiltshire è già là.(49)
BUSHY -
Ed io vengo con te,
perché dal popolo, che già ci ha in odio,
c’è da aspettarsi ben pochi riguardi,
se non ci sbraneranno come cani.
E tu Bagot, che fai? Vieni con noi?
BAGOT -
No, io raggiungo sua maestà in Irlanda.
Se i presagi del cuore non son vani,
ho il sentimento, amici,
che questa volta noi ci separiamo
per non vederci più.
BUSHY -
Dipende dal successo che avrà York
nel ricacciare indietro Bolingbroke.
GREEN -
Il successo di York?… Povero Duca!
S’è sobbarcato a un compito impossibile.
È come se volesse far la conta
dei granelli di sabbia sulla spiaggia,
o prosciugare gli oceani a sorsate.
Per ciascun uomo che gli resta al fianco
altri mille da lui diserteranno.
E quindi, amici, diciamoci addio
per una volta, per tutte, per sempre.
BUSHY -
Forse ci rivedremo…
BAGOT -
Mai più, temo.
(Escono)
SCENA III
Campagna nella contea di Gloucester
Entrano BOLINGBROKE, NORTHUMBERLAND e soldati
BOLINGBROKE -
Northumberland, quanto cammino c’è
fino a Berkeley?
NORTHUMBERLAND -
Mio nobile signore,
credetemi, io qui, nel Gloucestershire,(50)
sono quel che si dice uno straniero.
Queste alture così rudi e selvagge,
queste strade sassose e sgarrupate
fan più lunghe le miglia da percorrere
e le rendono assai più faticose;
per mia fortuna ho voi come compagno,
il cui parlare è per me come zucchero
che ha convertito il nostro duro andare
in un dolce e piacevole percorso.
Ma penso come sarà stato lungo
e massacrante per Ross e per Willoughby
da Ravenspurgh alle alture di Castwold;(51)
manca loro la vostra compagnia
che, v’assicuro, ha molto mitigato
il tedio e la lunghezza del mio viaggio.
Che renda almeno dolce quello loro
la speranza d’avere presto anch’essi
a goder dello stesso mio piacere:
la speranza d’un gaudio che ci aspetta
è godimento non molto minore
del suo appagamento.
E con siffatto godimento in cuore,
i suddetti affannati gentiluomini
troveranno più breve il lor cammino;
come abbreviato è stato quello mio
dalla vista di ciò che ho qui davanti:
la vostra eletta compagnia, signore.
BOLINGBROKE -
Oh, credo ch’essa valga molto meno
di queste vostre amabili parole.
Ma chi viene?
Entra Enrico PERCY
NORTHUMBERLAND -
È mio figlio, Enrico Percy,
mandato qui da mio fratello Worcester,
monsignore, non so però da dove.
Ebbene, Enrico, come sta tuo zio?
PERCY -
Mi sarei aspettato, mio signore,
che foste voi a darmene notizia.
NORTHUMBERLAND -
Perché, non è con la regina a corte?
PERCY -
No, se n’è bruscamente allontanato,
ha spezzato la mazza del suo ufficio
e disperso la servitù del re.
NORTHUMBERLAND -
Com’è? Non era risoluto a tanto
l’ultima volta che ci siamo visti.
PERCY -
È che v’han proclamato traditore,
signore; ed egli se n’è andato a Ravenspurgh
a offrire i suoi servigi al Duca d’Hereford
ed ha spedito me a Berkeley Castle
per scoprir quali forze vi ha raccolto
il Duca(52); ed io ho l’ordine
di far ritorno a Ravenspurgh.
NORTHUMBERLAND -
Ragazzo,
hai tu dimenticato il Duca d’Hereford?
PERCY -
Dimenticato? Come lo potrei,
mio buon signore, se non l’ho mai visto?
Ch’io sappia, mai l’ho visto in vita mia.
NORTHUMBERLAND -
Allora impara a conoscerlo adesso.
Questo è il Duca.
PERCY -
Grazioso mio signore,
onorato di offrirvi i miei servigi,
quali vi possa dar l’età mia giovane,
ancora troppo tenera ed acerba,
ma che gli anni faranno maturare,
sì da darvene più e di maggior merito.
BOLINGBROKE -
Grazie, gentile Percy, e sta’ sicuro
che in nulla mi ritengo fortunato
come nel possedere un cuore memore
dei buoni amici; e se la mia fortuna
fiorirà anche grazie all’amor tuo,
troverà sempre in essa ricompensa
questo tuo sentimento.
Questo è il patto che fa con te il mio cuore,
e così lo suggella la mia mano.
(Gli stringe la mano)
Dimmi un po’, quanto c’è da qui a Berkeley?
E quali mosse va facendo là
il bravo vecchio York con le sue truppe?
PERCY -
Eccolo là, il castello:
in mezzo a quel lontano ciuffo d’alberi,
difeso, a quanto ho potuto sapere,
da trecento soldati,
e son là dentro York, Berkeley e Seymour;
nessun altro di fama o d’alto rango.
Entrano ROSS e WILLOUGHBY
NORTHUMBERLAND -
Arrivano i signori Ross e Willoughby,
imbrattati del sangue dei cavalli
menati a tutto sprone, accesi in viso
per l’affannosa corsa.
BOLINGBROKE -
Benvenuti,
miei lords. È il vostro amore che vi spinge,
n’ho coscienza, a seguire un traditore
ch’è messo al bando. Tutto il mio tesoro
consiste ora nei ringraziamenti,
solo parole, nulla di tangibile;
ma se sarà ch’io diventi più ricco,
sarò largo d’idonea ricompensa
al vostro affetto, alle vostre fatiche.
ROSS -
Ci fa già ricchi la vostra presenza
in mezzo a noi, mio nobil signore.
WILLOUGHBY -
Essa ci compensa largamente
d’ogni fatica fatta per raggiungerla.
BOLINGBROKE -
In ogni tempo la riconoscenza
fu il tesoro del povero;(53) e per ora
essa dovrà sostituire in me
ogni forma di liberalità,
finché la mia fortuna, ancora infante,
non si sia maturata e fatta adulta.
Ma chi viene?
Entra BERKELEY
NORTHUMBERLAND -
Lord Berkeley, se non sbaglio.
BERKELEY -
Ho un messaggio per voi, Duca di Hereford…
BOLINGBROKE -
…“di Lancaster”, “di Lancaster”, signore!(54)
Io rispondo soltanto a questo nome;
e questo nome son venuto qui,
a riscattar per me, in Inghilterra;
e questo nome dalla vostra bocca
voglio udir pronunciato
prima di darvi qualsiasi risposta
a tutto ciò che possiate annunciarmi.
BERKELEY -
Non mi fraintenda la signoria vostra.
Non è assolutamente mia intenzione
sottrarvi un solo titolo d’onore;
io vengo solo a voi, signor… signor…
del titolo qualunque che volete,
da parte di Sua grazia il Lord Reggente
di questo regno, il buon Duca di York,
per sapere che cosa v’abbia spinto
a profittar dell’assenza del re
per venire a sconvolgere la pace
in questa terra con armi impugnate
dagli stessi suoi figli.
Entra, con scorta, il DUCA DI YORK
BOLINGBROKE -
Non avrò più necessità di voi,
per far sapere la mia risposta al Duca.
Ecco infatti Sua grazia, di persona,
(Inginocchiandosi al Duca di York)
Nobile zio…
YORK -
L’umiltà del tuo cuore
devi mostrarmi, non del tuo ginocchio,
il cui omaggio è falso ed insincero!
BOLINGBROKE -
Grazioso zio!…
YORK -
Poh… Poh… Va’ là, sta’ zitto!
Intanto graziami di quel “grazioso”,
e soprattutto non chiamarmi “zio”:
io non sono lo zio d’un traditore,
e la parola “grazia”
in bocca senza grazia è profanata.
Ma come hanno potuto le tue gambe
di fuori legge venire a calcare
per un istante un sol grano di polvere
del suolo d’Inghilterra?…
E - più grave “perché” - come han potuto
attraversare in armi miglia e miglia
di queste sue pacifiche contrade,
spaventando i suoi pavidi villaggi
col terrore d’un apparato bellico
da lor tenuto da gran tempo in spregio?
Vieni perché il legittimo suo re
è via? Sciocco ragazzo! Il re sta qui,
e qui, sopra il mio petto, a lui fedele,
riposa intera la sua potestà.
Fossi ancor io l’ardente giovinetto
del tempo quando, insieme al padre tuo,
il coraggioso mio fratello Gaunt,
riuscimmo a togliere il “Principe Nero”,(55)
quell’autentico Marte giovinetto,
da un cerchio di migliaia di francesi,
oh, allora, come rapido il mio braccio,
or prigioniero della ria paralisi,
ti avrebbe già punito
col castigo dovuto alla tua colpa.
BOLINGBROKE -
La mia colpa? Ch’io sappia, zio, qual è?
E in che cosa consiste?
E dove e quando e come l’ho commessa?
YORK -
Oh, gravissima colpa, la più grave!
Aperta ribellione e tradimento!
Tu sei un uomo bandito dal regno,
e torni prima che scada il tuo termine,
e in più sfidando in armi il tuo sovrano.
BOLINGBROKE -
Quando da quel sovrano fui bandito,
io fui bandito come Enrico d’Hereford;
ora ritorno come Enrico Lancaster;
e supplico la grazia vostra, zio,
di riguardare con un occhio equanime
i torti di cui sono stato vittima.
Io vi considero come mio padre,
perché rivedo in voi il vecchio Gaunt.
Allora, padre, come è mai possibile
che tolleriate ch’io resti costretto
ad andare girovago pel mondo,
e che dal mio blasone siano avulsi
i diritti, le rendite, ogni cosa,
per essere sperperati, scialacquati
da una genia di villani rifatti?(56)
Ero nato per questo?
Se mio cugino ha il trono d’Inghilterra,
si deve ammettere, allo stesso titolo,
che a me competa il ducato di Lancaster.
Voi pure avete un figlio, il duca d’Aumerle,
mio beneamato e nobile cugino;
se voi foste mancato, e i suoi diritti
calpestati, come lo sono i miei,
egli avrebbe trovato in suo zio Gaunt
un altro padre pronto a levar alta
la protesta pei torti ricevuti,
e ne sarebbe ben venuto a capo.(57)
A me si nega, appunto, qui il diritto
di esigere il possesso del mio titolo,
con tutto che le lettere patenti
m’autorizzino a far tale rivendica.
I beni posseduti da mio padre
son tutti confiscati ed alienati,
e male usati, come tutto il resto.
Che vorresti ch’io faccia? Sono un suddito
ed invoco la legge a mio favore;
e poiché mi si negan gli avvocati,
son costretto a venire di persona
a perseguir la mia giusta pretesa
di riottenere quello che mi spetta
per diritto di piena successione.
NORTHUMBERLAND -
Troppi e gravi soprusi ha sopportato
questo nobile Duca, Vostra grazia.
ROSS -
A Vostra grazia di fargli giustizia.
WILLOUGHBY -
Dei suoi beni si sono rimpinguati
e fatti grandi bassi personaggi.
YORK -
Consentitemi, pari d’Inghilterra,
di dirvi questo: ho piena comprensione
dei torti fatti a questo mio nipote,
e ho fatto tutto ch’era in mio potere
per ottener per lui piena giustizia.
Ma presentarsi in patria in questa guisa,
in armi, a farsi giustizia da sé,
con la pretesa di aprirsi la via
a conquistar un diritto col torto…
tutto questo non può trovar ragione.
E voi tutti che l’istigate a tanto
non fate che nutrir la ribellione,
e ribelli perciò lo siete tutti.
NORTHUMBERLAND -
Il Duca ha formalmente dichiarato
che viene solo per riavere il suo;
e per il giusto di questa pretesa
noi tutti abbiam fatto giuramento
di dargli il nostro aiuto;
e non s’abbia più gioia chi l’infrange.
YORK -
Bene, bene, ora vedo chiaramente
a quale mira son tese quell’armi.
Né posso porvi io alcun rimedio;
esigua è la mia forza militare,
e affatto inadeguata a questo compito.
Ma giuro, per Colui che m’ha creato,
che se potessi, v’arresterei tutti,
e vi costringerei, proni in ginocchio,
ad implorar la clemenza del re.
Ma dal momento che non m’è possibile,
vi sia palese ch’io resto neutrale.
E così vi saluto… ammenoché
non vi piaccia venire nel castello,
e riposare là per questa notte.
BOLINGBROKE -
Questa è un’offerta che accettiamo, zio.
Ma dobbiamo convincer Vostra Grazia
a venir poi al castello di Bristol,
dove si dice siano rifugiati
Bushy, Bagot ed altri lor compari.
Costoro sono i veri parassiti
della nazione, e ho fatto giuramento
di schiacciarli e di sterminarli tutti.
YORK -
Forse verrò; ma converrà rifletterci,
perché sento una certa ripugnanza
a violare le leggi del paese.
Voi non siete né amici, né nemici
per me; siete soltanto benvenuti;
ed è inutile ch’io mi prenda cura
delle cose di cui non c’è più cura.(58)
(Escono)
SCENA IV
Un accampamento nel Galles
Entrano il Conte di SALISBURY e un CAPITANO gallese
CAPITANO -
Lord Salisbury, son già dieci giorni
che a stento stiamo a trattenere qui
un certo numero di gente in armi,
e del re ancora nessuna notizia.
Perciò ci scioglieremo. Vi saluto.
SALISBURY -
Aspettiamo, aspettiamo ancora un giorno,
fedel gallese, il re ripone in te
tutta la sua fiducia. Ancora un giorno!
CAPITANO -
Qui son tutti convinti
che il re è morto. Non aspetteremo.
I verdi allori ormai su questa terra
sono tutti avvizziti,
le meteore atterriscono le stelle
fisse nel cielo; pallida, la luna
getta sguardi sanguigni sulla terra,
e profeti dal volto scheletrito
van sussurrando tremende catastrofi;
i ricchi han tutti facce ammusonite,
i malfattori danzano ed esultano:
gli uni perché pervasi dal terrore
di perder tutto quello di cui godono,
gli altri per l’allettante prospettiva
di profittar dell’ira e della guerra.
Sono i tipici segni annunciatori
della caduta e la morte di re.(59)
Addio signore, i nostri cittadini
han preso tutti il volo,
certi che il loro re Riccardo è morto.
(Esce)
SALISBURY -
Ah, Riccardo, ch’io guardo alla tua gloria
con gli occhi d’una mente addolorata,
come una stella che dalla sua sfera
precipita su questa vile terra!
Il sole cala basso sull’occaso
e piange nel veder l’approssimarsi
di tempeste, sciagure, sedizioni.
Gli amici t’hanno tutti abbandonato
per correre a dar mano ai tuoi nemici,
e la fortuna ti sta tutta contro.(60)
(Esce)
ATTO TERZO
SCENA I
Il campo di Bolingbroke davanti a Bristol
Entrano BOLINGBROKE, YORK, NORTHUMBERLAND; soldati conducono prigionieri BUSHY e GREEN
BOLINGBROKE -
Conduceteli qui, davanti a me.
Bushy e Green, io non voglio tormentare
l’anime vostre - che dovran ben presto
separarsi dai corpi - incrudelendo
contro le vostre vite perniciose
e infami. Non sarebbe carità.
Eppure per aver monde le mani
del vostro sangue, avanti a questi uomini
convien ch’io dica alcuni dei motivi
che vi fan meritevoli di morte.
Voi siete responsabili in comune
d’aver corrotto e pervertito un principe,
un sovrano regale, un gentiluomo,
per nobiltà di nascita e lineamenti,
e avete fatto di lui un bastardo,
sfigurando la limpida sua vita.
Con le immonde vostre ore di lascivia
avete cagionato, virtualmente,
un divorzio tra lui e la regina,
rotto l’uso del talamo regale,
e macchiata la venustà del viso
d’una radiosa, splendida regina
con le lacrime scorse dai suoi occhi
a causa delle vostre turpi pratiche.
Io stesso, nato principe regale,
vicino al re nel sangue e nell’affetto
- almeno fino a tanto che voi due
non mi metteste in falsa e odiosa luce -
fui obbligato a piegare la testa
sotto il peso delle calunnie vostre,
e ad andar per il mondo,
a sospirare a nuvole straniere
il mio alito inglese
mangiando il pane amaro dell’esilio,
mentre voi facevate osceno strame
dei miei dominii, abbattevate i boschi,
sradicavate dalle mie finestre
gli stemmi di famiglia,
cancellavate ovunque la mia impresa,(61)
facendo che di me nessuna traccia
di me restasse se non l’altrui stima
ed il mio sangue. Tutto questo ed altro,
assai più che due volte tutto questo,
vi condanna. Portateli al patibolo,
lasciateli alle mani del carnefice.
BUSHY -
Vien più gradito a me
il colpo della scure del carnefice
che all’Inghilterra Bolingbroke. Addio.
GREEN -
Il Cielo prenderà le nostre anime,
e dannerà all’inferno l’ingiustizia.
BOLINGBROKE -
Northumberland, vogliate provvedere
a che sian giustiziati, senza indugio.
(Escono Northumberland coi soldati e coi due prigionieri)
(A York)
Mi dicevate, zio, che la regina
è a casa vostra. Nel nome di Dio,
che sia trattata come si conviene.
Ditele che le mando il mio saluto
e abbiate cura che le sian trasmessi
i miei migliori e più devoti ossequi.
YORK -
Ho appunto già spedito un gentiluomo
del mio seguito con una mia lettera
che le ricorda tutto il tuo riguardo.
BOLINGBROKE -
Grazie, gentile zio.
Signori, avanti, ad affrontar Glendower
e i suoi complici. Un altro sforzo ancora,
e poi sarà la festa!
(Escono)
SCENA II
La costa del Galles
Rulli di tamburi e squilli di tromba.
Entrano RE RICCARDO, il VESCOVO DI CARLISLE, AUMERLE e soldati
RICCARDO -
È quello che si vede laggiù in fondo
il Castello di Barkloughly?
AULERLE -
Sì, mio signore. Non ha vostra grazia
sollievo all’aria, dopo il tramestio
del mare grosso?
RICCARDO -
Oh, sì, mi piace molto.
E mi viene da piangere
per la gioia di stare nuovamente
coi piedi sul mio regno. Cara terra,
ti saluto col gesto della mano
sebbene ti feriscan dei ribelli
con gli zoccoli dei loro cavalli.
Come una madre stata troppo tempo
lungi dal suo bambino, al rivederlo
gioca con lui tra lacrime e sospiri,
colmo il cuore d’immensa tenerezza,
così pur io, piangendo e sorridendo,
ti saluto, mia terra, e t’accarezzo
col tocco delle mie mani regali.(62)
Non fornire, gentile terra mia,
nutrimento al nemico del tuo re,
né confortare con le tue dolcezze
l’ingordigia dei suoi sensi bestiali;
ma fa che siano intralcio al traditore
suo piede che con passo usurpatore
ti calpesta, i tuoi ragni
tumidi di veleno, e i traballanti
tardigradi tuoi rospi.
Offri pungenti ortiche ai miei nemici
e se colgano un fiore dal tuo grembo
metti a guardia, ti prego di quel fiore,
una vipera occulta che col tocco
mortale della biforcuta lingua
dia lor subita morte.
Non ridete di questo mio scongiuro
a cose prive d’anima,(63) signori.
Questo suolo avrà sensi ed intelletto,
queste pietre saran tanti soldati
prima che il loro legittimo re
sia scrollato o vacilli sotto l’urto
d’una vile obbrobriosa sedizione.
CARLISLE -
Non dovete temere, mio signore:
l’alto Potere che v’ha fatto re
può conservarvi re, malgrado tutto.
E i mezzi che offre il cielo per difenderci
van sempre accolti, giammai rifiutati;
se il ciel vuole una cosa
e noi non siam disposti ad accettarla
è come rifiutare la sua offerta
dei mezzi di soccorso e di salvezza.
AUMERLE -
Ei vuol significare, mio signore,
che noi ce ne restiamo troppo inerti
su quel che s’ha da fare, mentre Bolingbroke
profitta della nostra negligenza
per rafforzarsi d’uomini e di mezzi.
RICCARDO -
Sconfortante cugino!
Non sai che quando l’occhio indagatore
del cielo(64) si nasconde dietro al globo
a illuminare il sottostante mondo(65)
quaggiù si sfrenano spavaldamente
orde di ladri e d’altri malfattori
protetti dal favore della notte
a compiere omicidi e ruberie,
ma quando, uscendo dalle prode australi
della terrestre sfera esso risorge
a infiammar l’orgogliose cime a oriente,
sfavillando i suoi raggi tutt’intorno
a illuminare ogni buco del crimine,
allora gli assassinii, i tradimenti,
gli esecrati delitti d’ogni specie,
una volta che il manto della notte
sia stato tolto dalle loro spalle
appaiono alla vista spogli e nudi,
e tremanti alla vista di se stessi?
Così quando quel ladro traditore
di Bolingbroke, che in tutto questo tempo
ha fatto i suoi bagordi nella notte
mentre noi eravamo cogli antipodi,(66)
ci vedrà sorgere ancora ad oriente
sul nostro trono, allora i suoi delitti
gli appariranno nel rossor del viso;
e, non potendo sostener lo sguardo
del giorno, sarà còlto da tremore,
sgomentato dalla sua stessa colpa.
Tutta l’acqua del burrascoso mare
non lava il sacro crisma dell’unzione
dalla fronte d’un consacrato re.
Né vale umano fiato a dir parola
che deponga chi fu scelto da Dio
ad esser suo vicario sulla terra.
Per ciascun uomo costretto da Bolingbroke
a sollevar il suo perverso acciaio
contro la nostra dorata corona,
Iddio Signore, per il suo Riccardo
ha reclutato, al soldo celestiale,
un angelo della gloriosa schiera.
E quando gli angeli scendono in campo,
i deboli mortali han da soccombere,
ché sempre il cielo vigila sul giusto.
Entra SALISBURY
Salute a voi, signore.
Quanto ancora è lontano il vostro esercito?
SALISBURY -
Lontano, più o meno,
ma lo sconforto muove la mia lingua
e mi fa dir parole disperate.
L’aver tu ritardato d’un sol giorno
ha oscurato, ho paura, mio signore,
i tuoi giorni radiosi sulla terra.
Oh, se potessi richiamare indietro
il giorno che fu ieri,
e comandare al tempo di arretrare,
e poter riavere, come ieri,
dodicimila uomini
pronti a combattere; ma oggi, oggi,
troppo tardivo sciagurato giorno,
distrugge la tua gioia, i tuoi amici,
le tue fortune, la tua potestà;
perché tutti i gallesi,
dando credito a chi ti dice morto,
sono passati a Bolingbroke,
e si sono dispersi, o son fuggiti.
AUMERLE -
Animo, Sire! Fatevi coraggio!
Perché è impallidita vostra grazia?
RICCARDO -
Ancora poco fa,
sulla mia guancia trionfava il sangue
di ventimila uomini…
e son fuggiti. Fino a che altrettanto
non torni a rifluirvi,
non ha forse ragione la mia faccia
d’apparirti così pallida e smorta?
Tutti quelli che vogliono scamparla
fuggono dal mio fianco, perché il tempo
ha gettato una macchia sul mio orgoglio.
AUMERLE -
Coraggio, Sire! Pensate a chi siete!
RICCARDO -
È vero, ho perso coscienza di me.
Svegliati, trasognata maestà! Tu dormi.
E che! Non sono il re? E questo nome
non vale forse ventimila uomini?
Su, àrmati, mio nome!
Armati! Un meschinello di tuo suddito
tenta colpire la tua grande gloria.
Non ve ne state lì con gli occhi bassi,
favoriti d’un re! Non siamo in alto?
E dunque in alto i cuori!
So che zio York ha forze sufficienti
per servire all’impresa…
Entra Sir STEPHEN SCROOP
Ma chi viene?
SCROOP -
Felicità e salute al mio sovrano,
più di quanto gli annunci la mia voce
affannata.
RICCARDO -
Il mio orecchio è aperto
ed il mio cuore preparato a tutto.
Il peggio che tu possa rivelarmi
non sarà che una perdita terrena.
È perduto il mio regno?
Ebbene il regno era la mia croce.
Quale perdita è mai
venire scaricati di una croce?
Bolingbroke si vuol far come noi grande?
Non sarà mai più grande.
Se serve Dio, anche noi lo serviamo,
e in questo siamo pari, lui ed io.
Sono in rivolta alcuni nostri sudditi?
A questo non abbiamo alcun riparo:
rompon, prima che a noi, la fede a Dio.
Annunciami sciagure, distruzione,
rovina, decadenza dal mio regno…
La morte è sempre il peggio
ed essa saprà sceglier la sua ora.
SCROOP -
Ho piacere a vedere vostra altezza
così ben corazzata
a ricever notizie di sventura.
Simile ad uno di quei temporali
che si scatenano fuori stagione,
e fanno straripar gli argentei fiumi
e sommerger le rive,
quasi il mondo si sciolga tutto in lacrime,
tale straripa, traboccando gli argini,
l’ira gonfia di Bolingbroke,
coprendo la sgomenta vostra terra
di lampi di corrusco, duro acciaio,
e di cuori di questo ancor più duri.
Contro la tua maestà
hanno ferrato i lor canuti crani
esili vecchi dalla barba bianca;
ragazzi imberbi e di femminea voce
si rinforzano di far la voce grossa
e insaccano le lor femminee membra
dentro pesanti rigide armature,
contro la tua corona.
Perfino i pregatori a pagamento(67)
hanno imparato a tender i loro archi
d’infausto tasso,(68) contro il tuo regime.
Perfin le donne, all’aspo solo aduse,
hanno imbracciato picche arrugginite
contro il tuo soglio.
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