Entrano, con tamburi e bandiere, BOLINGBROKE, YORK, NORTHUMBERLAND, con soldati.
BOLINGBROKE -
Dunque, secondo quanto è scritto qui,
i gallesi si son tutti sbandati,
e incontro al re, sbarcato qui da presso
su questa costa, è andato solo Salisbury
con un manipolo di fedelissimi.
NORTHUMBERLAND -
Mi pare una notizia confortante.
Riccardo dunque è qui poco lontano,
a nascondersi il capo.
YORK -
Lord Northumberland,
per voi Riccardo è ancora “Re Riccardo”!
Fareste meglio a chiamarlo così.
Infausti tempi quelli in cui un re
si vede stretto a nascondersi il capo.
NORTHUMBERLAND -
Vostra grazia mi deve aver frainteso:
ho omesso il titolo per brevità.
YORK -
C’è stato un tempo in cui se aveste usata
anche con lui la vostra brevità,
sarebbe stato anch’egli tanto breve
con voi, da raccorciare il vostro corpo
di tutta la lunghezza della testa,
per aver voi accorciato il suo titolo.
BOLINGBROKE -
Non prendete le cose pel malverso
più di quanto dovreste, caro zio.
YORK -
E tu, mio buon nipote,
non intendere più di quanto devi,
che non abbia a fraintendere anche il cielo
che sta sul nostro capo.
BOLINGBROKE -
Lo so, zio,
ed io non vado contro i suoi disegni.
Entra Enrico PERCY
Oh, ma chi vedo qui! Salute, Enrico!
Dunque, s’arrende o no, questo castello?
PERCY -
È guardato dagli uomini del re,
che ne sbarran l’accesso, monsignore.
BOLINGBROKE -
Del re?… Là dentro non c’è nessun re!
PERCY -
Uno ce n’è, signore: è Re Riccardo,
che dentro quelle mura ha preso alloggio;
e son con lui Lord Aumerle, Lord Salisbury,
Sir Stephen Scroop ed un alto prelato
del quale non potei sapere il nome.
NORTHUMBERLAND -
Probabilmente il vescovo di Carlisle.(71)
BOLINGBROKE -
Northumberland, andate con l’araldo
ai piedi del rupestre contrafforte
dell’antico castello,
e con lo squillo d’una bronzea tromba
mandate nelle sue dirute orecchie
il segnale d’invito a parlamento,
accompagnato da queste parole:
“Enrico Bolingbroke, inginocchiato,
“bacia la mano a Riccardo suo re,
“e rivolge all’augusta sua persona
“i sensi della sua sottomissione
“e della sua sincera fedeltà.
“Egli è pronto a deporre ai piedi suoi
“armi ed armati, a patto che il suo bando
“si revochi, e gli sian rese le terre
“libere e senza vincoli di sorta.
“Diversamente, si vedrà costretto
“ad usare il vantaggio della forza
“ed a bagnare questa estiva polvere
“col sangue che sarà versato a pioggia
“dalle ferite degli inglesi uccisi.
“Ma quanto sia lontano dal suo animo
“di far che un tal rossigno temporale
“abbia a inondare il fresco grembo verde
“della terra del biondo re Riccardo(72)
“Enrico Bolingbroke lo vuol provare
“rendendo a lui il suo devoto omaggio”
Andate e proclamate quest’annuncio.
Noi proseguiamo la nostra avanzata
sull’erboso tappeto della piana.
(Northumberland, con un trombettiere,
avanza fin sotto le mura del castello)
Marciamo senza fragor di tamburi,
ch’essi possano scorger da lontano,
dagli spalti diruti del castello,
lo scintillio delle nostre armature.
Mi pare come se Riccardo ed io
dovessimo scontrarci
con la stessa terribile veemenza
degli elementi del fuoco e dell’acqua
allor che il loro cozzo rimbombante
squarcia del ciel l’annuvolata faccia.
Sia egli il fuoco, io l’arrendevol acqua,
sia sua la rabbia, mentr’io non su di lui,
ma sulla terra pioverò benigna.
In marcia, dunque, andiamo ad osservare
con che piglio ci accoglie Re Riccardo.
Tromba a parlamento - Risposta dal castello.
Appaiono sugli spalti RE RICCARDO, il VESCOVO DI CARLISLE, AUMERLE, SCROOP, SALISBURY
PERCY -
Guardate, toh, Re Riccardo in persona
che appare di lassù simile al sole
quando si leva, rosso di corruccio,
dall’infuocato portale d’oriente
e s’accorge che le invidiose nuvole
s’accingono a offuscare il suo splendore
e a macchiare la luminosa traccia
del suo pellegrinaggio ad occidente.
YORK -
Eppure ha sempre l’aspetto d’un re.
Guarda il suo occhio, com’è luminoso,
come quello d’un’aquila,
e dardeggia imperiosa maestà.
Ah, che pena, che sì bella visione
debba patire d’essere offuscata
dalla macchia della cattiva sorte!
RICCARDO –
(A Northumberland)
Siamo stupiti; a lungo abbiamo atteso,
che flettessi il ginocchio innanzi a noi,
in atto di timore e riverenza,
credendoci il legittimo tuo re.
Se è vero che lo siamo, qual motivo
fa tanto ardite quelle tue giunture
da non renderci il doveroso ossequio?
Se poi credi che non lo siamo più,
additaci la mano
con la quale la volontà di Dio
ci dispensò da questo ministero;
ma noi sappiamo che nessuna mano
di sangue e d’ossa può tenere in pugno
il sacro nostro scettro
se non in forza d’un’usurpazione
profanatrice, o d’una ruberia.
Se pur tu pensi che, sul tuo esempio,
tutti han da noi strappato le loro anime,
lasciandoci impotenti e senza amici,
sappi, però, che Dio Onnipotente,
mio signore e padrone,
va reclutando per me tra le sue nuvole
interi eserciti di pestilenze
ed esse colpiranno i vostri figli
non ancor nati, e neppur concepiti,
di voi che osate alzar contro il mio capo
le vostre mani d’umili vassalli
per attentare alla regal maestà
ed alla gloria della mia corona.
Fa’ sapere pertanto a Enrico Bolingbroke,
perché immagino sia laggiù in attesa,
ch’ogni suo passo su questa mia terra
è un tradimento, gravido di rischi.
Egli viene ad aprire il testamento
vermiglio(73) d’una guerra sanguinosa;
ma prima che potrà godersi in pace
l’agognata corona sul suo capo,
la “corona”(74) di diecimila teste
sanguinolente di figli di madre
avrà ridotto secco ed avvizzito
il bel fiore del volto d’Inghilterra,
e tinto di vermiglia indignazione
il virgineo pallor della sua pace,
ed irrorato l’erba dei suoi pascoli
di devoto e fedele sangue inglese.
NORTHUMBERLAND -
Non voglia il Re dei cieli
che s’abbatta sul re nostro signore
una sì barbara civil contesa!
Il tuo nobil cugino Enrico Bolingbroke
ti bacia supplice l’augusta mano
e ti giura, sull’onorata tomba
che serra l’ossa del vostro grande avo;
sulla regalità del vostro sangue,
comune all’uno e all’altro, scaturigine
da una stessa purissima sorgente;
sulla mano del suo sepolto padre,
l’ardimentoso Gaunt;
sul suo stesso valore e sul suo onore
- giuramento che tutti gli altri assomma -,
ch’altro scopo non ha, venendo qui,
che reclamar gli aviti suoi diritti
e chiedere in ginocchio a Vostra altezza
la revoca immediata del suo bando;
che tutto ciò una volta garantitogli
dalla sovrana vostra autorità,
consegnerà alla ruggine
tutte le sue sfolgoranti armature,
alle lor stalle i bardati destrieri,
ed il suo cuore al leale servizio
della vostra maestà. Giura da principe,
che tutto questo è giusto e sacrosanto,
ed io, da gentiluomo, lo confermo.
RICCARDO -
Northumberland, così risponde il re:
gli dirai: il suo nobil cugino
è benvenuto, ed ogni suo diritto
troverà incontrastato accoglimento.
Con tutto il garbo di cui sei capace
da’ al suo nobile orecchio il mio saluto.
(Northumberland si ritira)
(Ad Aumerle)
Cugino, ci abbassiamo, non è vero,
a mostrarci così condiscendenti
e ad esprimerci in così dolci termini?
Che dici, richiamiamo qui Northumberland,
e mandiamo una sfida al traditore,
per poi morire?
AUMERLE -
No, mio buon sovrano.
Combattiamo a parole di dolcezza,
fin che il tempo ci porti degli amici,
e con essi il soccorso delle spade.
RICCARDO -
Ahimè, mio Dio, che proprio questa lingua
che pronunciò il verdetto dell’esilio
contro quel tracotante traditore
si debba trovar ora a ritrattarlo,
ed anche con parole di lusinga!
Oh, foss’io grande come la mia ambascia
o più piccolo del mio nome!… Ahimè,
poter dimenticar chi sono stato,
o poter cancellarmi dalla mente
quell’io che ora sono costretto ad essere!
Orgoglioso mio cuore, ti fai gonfio?
Ed io ti lascio libero di battere;
tanto i nostri nemici sono liberi
di batterci ambedue, sia me che te.
AUMERLE -
Ecco Northumberland che torna, Sire;
ci porterà la risposta di Bolingbroke.
RICCARDO -
Che cosa dovrà fare adesso il re?
Chinare il capo? Ebbene, lo farà.
Farsi deporre? Si rassegnerà.
Devo perdere il titolo di re?
Vada anche quello, nel nome di Dio!
I miei splendidi ori
per un filo di grani di rosario;
la mia ricca dimora
per un’umile cella da eremita;
la mia veste fastosa
per un saio di frate zoccolante;
i miei sfarzosi calici
per una rozza ciotola di legno;
il mio scettro da re,
per un umil bordone da palmiere;(75)
la massa dei miei sudditi
per un paio di statue di santi;
ed il mio vasto regno,
per un’oscura, minuscola fossa!…
O meglio, no: mi farò seppellire
sotto il selciato d’una via maestra,
una di quelle strade più battute,
dove i piedi dei sudditi, ad ogni ora,
calpestino la testa al loro re:
perché se adesso, mentre sono vivo,
mi calpestano il cuore,
perché non devon calpestarmi il cranio,
una volta sepolto?…
(Ad Aumerle che si asciuga una lacrima)
Tu piangi, mio sensibile cugino.
Ma con le dileggiate nostre lacrime
faremo strame delle messi estive,
tanto da provocar la carestia
su questa terra di gente ribelle;
o potremo magari divertirci,
burlandoci di tutti i nostri guai,
a gareggiar tra noi a chi è più bravo
a versar lacrime. Così, ad esempio:
farle cadere sullo stesso punto,
per terra, fino a scavare due fosse,
e su di noi, lì seppelliti, scritto:
“In questo luogo giaccion due cugini
che si scavarono da sé la tomba
con le lacrime uscite dai loro occhi”.
Un tal dolore non farebbe colpo?
Eh, ma m’accorgo di parlare a vanvera
e tu ridi di me… Mio Lord Northumberland,
potentissimo principe,
che dice allora il nostro Enrico Bolingbroke?
La sua maestà concederà a Riccardo
la licenza di vivere,
finché Riccardo muoia di sua morte?
Fategli un bell’inchino,
e Bolingbroke a voi dirà di sì.
NORTHUMBERLAND -
V’aspetta di persona, monsignore,
giù nella bassa corte,
per parlarvi. Degnatevi di scendere.
RICCARDO -
Scenderò, scenderò,
come un Fetone tutto sfavillante,
ma incapace di trattenere le briglie
a una pariglia di cavalli brocchi.
Giù nella bassa corte: già, la corte
dove i re si riducon tanto in basso
da accorrere solleciti all’appello
dei traditori a render loro omaggio!
Giù nella bassa corte?
Sì, giù corte, giù re! Perché lassù
dove dovrebbero cantar le allodole
ormai non stridono che le civette!
(Si ritira con gli altri dagli spalti)
BOLINGBROKE -
(A Northumberland)
Che dice sua maestà?
NORTHUMBERLAND -
Dolore e ambascia lo fanno parlare
come uno che farnetica. Ma eccolo.
Entra RE RICCARDO, uscendo dal Castello col seguito
BOLINGBROKE -
Fate largo, e mostrate a sua maestà
il dovuto rispetto…
(Inginocchiandosi a Riccardo)
Mio grazioso sovrano…
RICCARDO -
Bel cugino,
tu umilii il principesco tuo ginocchio
e lasci insuperbir la bassa terra
nel permettere ad essa di baciarlo.
Avrei più caro che fosse il mio cuore
a sentire il tuo affetto,
non il mio occhio a vedere questo ossequio
ch’esso non può gradire.
(Rialzandolo)
Su, su, cugino, che il tuo cuore è su,
lo so. Sta in alto almeno fino qui,
(Si tocca la fronte)
anche se il tuo ginocchio tocca terra.
BOLINGBROKE -
(Alzandosi)
Vengo soltanto a chieder quel che è mio.
RICCARDO -
Il tuo è tuo, e tuo son pure io,
e tuo è tutto.
BOLINGBROKE -
Voi sarete mio,
mio signore, per quanto i miei servigi
abbiano a meritarmi il vostro affetto.
RICCARDO -
Tu meriti già molto.
Sono ben meritevoli di avere,
quelli che sanno il modo più deciso
per ottenere.
(A York)
Zio, le vostre mani.
(Gli prende le mani)
Asciugatevi gli occhi, via le lacrime!
Le lacrime son mostra d’affezione,
ma non rimedio a ciò che le produce.
(A Bolingbroke)
Io sono troppo giovane, cugino,
per essere tuo padre,
mentre tu sei maturo quanto basta
per essere mio erede.
E quel che brami io te lo darò,
ed anche volentieri;
dobbiamo fare ciò che forza vuole,
e forza vuole che si vada a Londra.
Non è così, cugino?
BOLINGBROKE -
Sì, signore.
RICCARDO -
Se per te è sì, non posso io dire “no”.
(Escono)
SCENA IV
Il giardino del Duca di York
Entra la REGINA con due DAME
REGINA -
Che gioco inventeremo, qui in giardino,
per divagare la mente
dall’ansioso pensiero che l’opprime?
DAMA -
Si può giocare alle bocce, signora.
REGINA -
Questo gioco mi fa tornare in mente
che la mia vita è cosparsa d’intoppi,(76)
e che la mia fortuna va sbilenca,
correndo obliqua, come contro un peso.(77)
DAMA -
Si può danzare, allora.
REGINA -
No, nemmeno;
le mie gambe non trovano diletto
in nessuna misura, (78) quando il cuore
non conosce misura nella pena.
Perciò, fanciulla cara, niente danza.
Pensa a qualche altro gioco.
DAMA -
Ci raccontiamo qualche storia, allora?
REGINA -
Triste o gioiosa?
DAMA -
L’uno e l’altro genere.
REGINA -
No, nessuno dei due, ragazza mia;
perché quelle che parlano di gioia,
poiché di questa son del tutto priva,
tanto più mi ricordan la mia pena,
mentre quelle che parlan di dolore,
poiché solo dolore m’è rimasto
servirebbero solo ad aggravarlo.
Quello che ho già non voglio raddoppiarlo,
quel che mi manca, non voglio compiangerlo.
DAMA -
Signora, allora canterò. Va bene?
REGINA -
Son felice che tu n’abbia motivo;
ma più gradito sarebbe al mio cuore,
se ti mettessi a piangere.
DAMA -
Posso anche piangere, se vi fa bene.
REGINA -
E io, se mi facesse ben piangere,
canterei, senza mai chiedere in prestito
da te una sola lacrima…
Entra un GIARDINIERE con due SERVITORI
Ma zitta!
Vengono i giardinieri.
Entriamo sotto l’ombra di questi alberi.
La mia miseria contro qualche spillo
che quelli parleranno di politica:
ne parlan tutti, quando nello Stato
s’annuncia qualche grosso cambiamento.
Un malanno precede sempre un altro.
(La regina e le dame si ritirano sotto gli alberi)
GIARDINIERE -
(A uno dei suoi uomini)
Va’, lega i rami di quell’albicocco
che come tanti indocili monelli
fanno piegar la schiena al loro padre
con tutto il peso della lor grandezza.
Metti un puntello a quei rami pendenti.
(Ad un altro)
E tu va’ a fare il boia agli altri rami
che svettano, cresciuti troppo in fretta,
taglia loro la testa,
che non spicchino troppo in mezzo agli altri
di questa nostra piccola repubblica.
Sotto il nostro governo, tutti eguali!
E mentre voi v’occupate di questo,
io vado a sradicare quelle erbacce
che succhiano la forza del terreno
senza dare alcun frutto, e fanno ostacolo
al crescere di fiori salutari.
PRIMO SERVO -
Perché dovrebbe poi toccare a noi,
nel breve spazio d’una staccionata,
mantener legge e ordine e misura,
quasi a esibire questo nostro fondo
come un modello di governo d’ordine,
quando il nostro giardino acqua-cintato,(79)
questa intera Inghilterra, voglio dire,
rigurgita d’erbacce, e i suoi bei fiori
son soffocati, e le siepi arruffate,
le belle aiuole tutte in gran disordine,
e le buone erbe sommerse dai bruchi?
GIARDINIERE -
Zitto. Colui che questa primavera
caotica ha permesso, è giunto anch’egli
al suo spogliante autunno. Le malerbe
cresciute sotto il largo suo fogliame
e che sembrava che lo proteggessero
mentre lo divoravano, strappate
sono state con le radici e tutto
da Bolingbroke, intendo il conte di Wiltshire,
e Bushy e Green.
PRIMO SERVO -
E che! Son tutti morti?
GIARDINIERE -
Morti; ed Enrico Bolingbroke
ha catturato il re dissipatore.
Che peccato non abbia egli curata
la sua terra, e non l’abbia coltivata
come noi questo piccolo verziere.
Noi, quand’è la stagione,
facciamo un’incisione alla corteccia
ch’è la pelle degli alberi da frutto
perché il troppo rigoglio della linfa,
che sarebbe per essi come il sangue,
può danneggiar la vita della pianta
per troppo nutrimento.
Avesse fatto lui così con gli uomini
grandi ed in crescita del suo reame,
quelli potevan seguitare a vivere
fino a dar frutti d’opere leali,
ed egli assaporarli. I rami inutili
noi li tagliamo perché vivan gli altri
che portan frutti. Avesse ei così fatto,
avrebbe ancora in testa la corona
che lo sperpero in ozio di tante ore
ha trascinato in totale rovina.
PRIMO SERVO -
Che vuoi dire, che il re sarà deposto?
GIARDINIERE -
Spodestato l’è già; che sia deposto
è probabile. Sono giunte ieri
a un caro amico del Duca di York
lettere con notizie disastrose.
REGINA -
(Uscendo dal nascondiglio)
Ah, son compressa a morte!
Soffoco dalla voglia di parlare!
(Al giardiniere)
Tu, ch’hai l’aria d’un vecchio padre Adamo
ordinato a curar questo verziere,
come osa la tua rozza e goffa lingua
dar voce a sì sgradevoli notizie?
Quale Eva, qual serpe ti ha tentato
a presagir la caduta dell’uomo
una seconda volta maledetto?
Perché dài per deposto Re Riccardo?
Osi tu, che sei poco più del fango,
predir la sua caduta?
Come ti sei imbattuto, dove, quando
in queste ciance? Parla, miserabile!
GIARDINIERE -
Perdonatemi. Provo poca gioia
a diffonder notizie come questa,
mia signora, ma quel che dico è vero.
Re Riccardo si trova già costretto
nella possente morsa di Bolingbroke.
Le lor fortune adesso si misurano
sulla stessa bilancia:
ma ormai sul piatto del signore vostro
non c’è che lui, con altre nullità
che gli fan calo al peso,
mentre sul piatto del potente Bolingbroke
ci sono tutti i pari d’Inghilterra
e ciò fa tracollare la bilancia
da questa parte. Affrettatevi a Londra,
vedrete che è così com’io vi dico;
e non è più di quanto sanno tutti.
REGINA -
O sventura, che sì veloce hai il piede,
il tuo messaggio non era per me?
E perché son io l’ultima a saperlo?
Ah, forse hai tu pensato
di servirmi per ultima ch’io serbi
più a lungo in petto tutta la mia pena.
Mie dame, andiamo ad incontrare a Londra
il re di Londra nella sua afflizione.
Misera me, per questo sarei nata?
Per ornare col mio volto attristato
il trionfo del vittorioso Bolingbroke?
Giardiniere, per queste dolorose
notizie che m’hai detto,
farò rivolgere preghiere a Dio
perché non faccia più crescer germoglio
da quante piante tu possa innestare.
(Esce con le dame)
GIARDINIERE -
Sventurata regina! Se valesse
questo scongiuro a non volgere in peggio
la sorte che t’attende,
pesi pur esso sulla mia perizia.
Ella ha lasciato cadere una lacrima
in questo punto; e qui voglio piantare
un bel ceppo di ruta,
l’amarissima erba della grazia.
E ruta si vedrà spuntare tra poco
in questo luogo, in segno di pietà,
a ricordo d’una regina in lacrime.(80)
(Escono)
ATTO QUARTO
SCENA I
L’aula del Parlamento a Westminster
Entrano, come per una seduta del Parlamento, BOLINGBROKE, AUMERLE, NORTHUMBERLAND, PERCY, FITZWATER, SURREY, il VESCOVO DI CARLISLE e l’ABATE DI WESTMINSTER
BOLINGBROKE -
Fate entrare Bagot.
Entra BAGOT con ufficiali
Ora, Bagot,
parla libero e di’ quello che sai
sull’uccisione del nobile Gloucester:
chi la tramò col re,
chi fu di quella morte prematura
il sanguinario vero esecutore.
BAGOT -
Mettetemi a confronto con Lord Aumerle.
BOLINGBROKE -
(Ad Aumerle)
Cugino, degnati di farti avanti,
e venire a confronto con quest’uomo.
BAGOT -
So che la tracotante vostra lingua,
Lord Aumerle, non degna di smentita
ciò che una volta ha detto.
Ma la notte in cui si tramò tra noi
la morte di Lord Gloucester, son sicuro
d’avervi udito dire queste frasi:
“Non è forse il mio braccio tanto lungo
da portarsi giù giù fino a Calais
dalla tranquilla corte d’Inghilterra
per agguantar la testa di mio zio?”
E v’udii anche dire, son sicuro,
tra molti altri discorsi, quella notte,
che avreste volentieri rinunciato
a un’offerta di centomila scudi,
pur di non far tornare Enrico Bolingbroke
sul suolo d’Inghilterra;
ed anche aggiungere che la sua morte
sarebbe una fortuna per la patria.
AUMERLE -
Quale risposta, principi e signori,
dovrò io dare a questo miserabile?
Dovrò disonorare le mie stelle(81)
al punto da dovergli dar con l’armi
da pari a pari un severo castigo?
Mi sarà forza farlo,
se l’onor mio non vuol restar macchiato
dalla nefanda accusa ch’ei mi muove.
Ecco il mio pegno,(82) sigillo di morte
che di mia man ti bolla per l’inferno.
(Gli getta in terra il segno di sfida)
Dichiaro che tu menti per la gola,
e proverò col sangue del tuo cuore,
per quanto indegno d’imbrattare il filo
di questa spada mia di cavaliere,
che è falso, tutto falso quanto hai detto.
(Bagot s’inchina e raccoglie il pegno,
ma Bolingbroke gli grida)
BOLINGBROKE -
Fermati, non raccoglierlo, Bagot!
AUMERLE -
Tranne uno,(83) di tutta quest’accolita
vorrei fosse il migliore a provocarmi.
FITZWATER -
Se proprio il tuo valore tiene tanto
all’uguaglianza di rango, Lord Aumerle,
ecco il mio pegno contro il tuo: ti sfido.
(Getta a terra il suo pegno di sfida)
Giuro per questo sole luminoso
che mi ti fa stanare dove sei,(84)
d’averti udito dire, e menar vanto,
d’esser stato tu la causa prima
dell’assassinio del nobile Gloucester.
E se pur lo negassi mille volte,
io ti dico che menti, e son pronto
a ricacciarti questa tua menzogna
nel cuore, là dov’essa è generata.
AUMERLE -
Vile, tu non vivrai fino a quel giorno!
FITZWATER -
Ah, per l’anima mia!
Vorrei che fosse subito quell’ora!
AUMERLE -
Questa menzogna, Fitzwater,
ti condanna all’inferno.
PERCY -
Tu menti, Aumerle:
l’onore suo in quest’accusa è integro
quanto tu sei sleale nel negarla.
E che tale tu sia, ecco il mio pegno,
(Gli getta anche lui il pegno di sfida)
a dimostrartelo sulle tue carni,
fino all’ultimo anelito di vita.
Raccoglilo, se osi.
AUMERLE -
E se non oso,
mi vadano in cancrena le due mani
per non brandire più vindice acciaio
sull’elmo lucido del mio nemico.
(Raccoglie il pegno di sfida di Percy)
UN ALTRO LORD -
E la terra riceva pure il mio,
spergiuro Aumerle, ed a raccoglierlo
io ti sprono, con tutte le smentite
che possan rintronar, da un sole all’altro,(85)
il cavo del tuo orecchio traditore.
Eccoti il pegno del mio onore, Aumerle,
(Getta anch’egli a terra il pegno)
e raccogli la sfida, se hai coraggio.
AUMERLE -
Non ce n’è più che vogliano sfidarmi?
Perdio, son pronto a battermi con tutti!
Ho mille anime in corpo
per rispondere ad altri diecimila.
SURREY -
(Ironico)
Ah, sì, ricordo bene, Lord Fitzwater,
quella volta che Aumerle e voi
discorrevate insieme…
FITZWATER -
È vero, infatti,
c’eravate anche voi, ricordo bene,
e mi potete far da testimonio
che quanto affermo è pura verità.
SURREY -
Falso, falso, per quanto è vero Iddio!
FITZWATER -
Surrey, tu menti!
SURREY -
Infame ragazzaccio!
Questa smentita tua
peserà tanto sopra la mia spada,
che renderà vendetta per vendetta,
rivalsa su rivalsa,
fino a che tu, maestro di menzogne,
non giacerai con esse sottoterra,
inerte come il teschio di tuo padre.
Ed a prova di ciò, questo è il mio pegno,
e raccogli la sfida se hai coraggio.
(Butta anch’egli a terra il suo pegno di sfida)
FITZWATER -
Sciocco! Sproni un cavallo già al galoppo!
Non credo che m’occorra più coraggio
di quanto me n’occorre per mangiare,
e bere, e respirare, e stare in vita,
per affrontare uno come te,
magari in mezzo a una landa selvaggia,
e là sputargli addosso,
gridandogli: “Tu menti, menti, menti!”
Ecco qua la mia polizza di credito
che t’assicura una buona lezione.
Come è vero ch’io voglio progredire
in questo rinnovato nostro regno,
così è vero che Aumerle è colpevole
di ciò di cui l’accuso. C’è di più:
dal duca di Norfolk, ora in esilio,
ho pure udito che fosti tu, Aumerle,
a spedire a Calais due tuoi sicari
per far assassinare il nobil duca.
AUMERLE -
Non c’è tra voi un onesto cristiano(86)
che voglia farmi credito d’un pegno(87)
perch’io possa lanciar da qui a Norfolk
la mia sfida, e provargli ch’è un bugiardo?
Ecco, per ora butto a terra questo:(88)
mi proverà con l’armi l’onor suo
se mai sia richiamato dall’esilio.
BOLINGBROKE -
Tutte queste contese
rimangano in sospeso, come impegni,
finché Norfolk non sarà richiamato.
Lo sarà, infatti. E benché mio nemico,
sarà reintegrato nei dominii
e nelle signorie che sono sue.
Decideremo dunque al suo ritorno
la sua prova dell’armi contro Aumerle.
CARLISLE -
Quel giorno, allora, non si vedrà mai.
L’esiliato Norfolk ha combattuto
per la gloria di Cristo a più riprese
contro pagani turchi e saraceni
sotto l’insegna della santa croce;
poi, stanco dello sforzo della guerra,
si ritirò in Italia, e lì, a Venezia,
alla terra di quel dolce paese
affidò il corpo, e l’anima sua pura
al suo gran capitano Gesù Cristo,
sotto le cui bandiere
aveva così a lungo combattuto.
BOLINGBROKE -
Che, vescovo! Norfolk è dunque morto?
CARLISLE -
Morto, com’io son vivo, monsignore.
BOLINGBROKE -
Guidi l’anima sua la dolce pace
nel grembo del buon vecchio padre Abramo.
Quanto alle vostre sfide, miei signori,
per ora restino tutte sospese:
fisserò io le date delle prove.
Entra YORK
YORK -
Grande Duca di Lancaster,
io vengo a te da parte di Riccardo,
senza più penne, che ben volentieri
ti adotta come suo diretto erede,
e rimette nella regal tua mano
il suo augusto scettro.
Ascendi dunque al trono d’Inghilterra
come suo successore, e vivi a lungo,
Enrico, quarto re di questo nome.(89)
BOLINGBROKE -
E nel nome di Dio Onnipotente,
io m’accingo a salire al regal seggio.
CARLISLE -
Dio non lo voglia!… Di tutti il più umile
in mezzo a tanta regal compagnia,
io son però colui che più s’addice
di parlare e di dir la verità.
Dio volesse che alcuno dei presenti
in questo nobilissimo consesso
trovasse in sé abbastanza nobiltà
per levarsi, sereno ed imparziale,
a giudice del nobile Riccardo:
quella sua nobiltà gli detterebbe
di astenersi da un tale empio sopruso.
Ma a qual suddito è dato
di pronunziar sentenza sul suo re?
E di quanti son qui
chi non è suddito di re Riccardo?
Nemmeno i ladri sono giudicati
senz’essere ascoltati,
per manifesta che sia la lor colpa.
Ed un re, ch’è l’immagine vivente
della maestà di Dio Onnipotente,
il suo primo soldato sulla terra,
il suo luogotenente, il suo vicario
unto dall’olio santo, incoronato,
da tanti anni insediato nel trono,
come può, dico, venir giudicato
dal subalterno accento d’un suo suddito,
e in sua assenza?… Dio Onnipotente,
non permettere che in cristiana terra
anime battezzate faccian mostra
d’una sì empia, odiosa, oscena azione!
Io parlo a sudditi, io stesso suddito,
sì arditamente per il mio sovrano
perché mi sento ispirato da Dio.
Questo Enrico, che voi chiamate re,
è un turpe traditore del suo re
ch’è anche re dell’orgoglioso Hereford.
E se a questo darete la corona,
questa è la predizione ch’io vi faccio:
sangue inglese concimerà la terra
per questa turpe azione, e gemeranno
per tale crimine le età future.
La pace andrà a dormire il proprio sonno
tra i turchi e gl’infedeli,
e in questa terra già nido di pace
una serie di guerre tumultuose
metterà contro fratelli a fratelli,
e famiglie a famiglie d’un sol sangue.(90)
Qui siederanno allora la rivolta,
lo scompiglio, l’orrore, la paura,
e faranno di questa terra un Golgota,
campo dei teschi degli inglesi uccisi.
Oh, se solleverete questa casa
contro quest’altra casa,
sarà la più funesta spaccatura
che mai colpì questa dannata terra.
Impeditelo, non lo permettete!
Fate del tutto perché non accada,
che i vostri figli ed i figli dei figli
non vi gridino la maledizione!
NORTHUMBERLAND -
Bella perorazione, monsignore!
E noi, in compenso di tanta fatica,
vi arrestiamo per alto tradimento.
A voi, signor Abate di Westminster
l’incarico di prenderlo in custodia
fino al dì del processo.
Signori, ora vogliate compiacervi
di accoglier la richiesta dei Comuni.(91)
BOLINGBROKE -
Voglio che sia condotto qui Riccardo
a confermar la sua abdicazione
avanti a tutti,
che non rimanga più alcun sospetto.
YORK -
Vado a prenderlo ed a scortarlo qui.
(Esce)
BOLINGBROKE -
Signori, che qui siete sotto arresto,
procuratevi una malleveria
che v’assista nel giorno del processo.
Poco dobbiamo noi al vostro affetto
così come ben poco affidamento
abbiamo sempre fatto su di voi.
Rientra YORK con RE RICCARDO e ufficiali che recano la corona e lo scettro
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