Nel frattempo voi, signori,

andate a reclutare i vostri uomini,
e raggiungetemi immediatamente
al Castello di Berkeley.
Dovrei passare, invero, pure a Plashy,
ma il poco tempo non me lo consente.
È tutto uno sconquasso,
ciascuna cosa è in balia di se stessa.
(Esce con la regina)

 

BUSHY -

In mare il vento spira favorevole
all’invio di dispacci per l’Irlanda,
ma non ce ne riporta di ritorno.
Per noi mettere insieme grandi forze
da tener fronte a quelle del nemico
è impossibile.

 

GREEN -

In più l’essere noi
sì vicini alle simpatie del re,
ci fa per questo tanto più vicini
all’odio di coloro che lo avversano.

 

BAGOT -

E chi son questi? Il volubile volgo
che sa nutrire solo simpatia
per la sua borsa; e chi quella gli vuota
riempie, in proporzione, i loro petti
di mortale rancore.

 

BUSHY -

E così il re è da tutti condannato.

 

BAGOT -

Ah, condannati lo saremo tutti,
se tal potere cada in mano al popolo,
noi che al re siamo stati più vicini.

 

GREEN -

Stando così le cose,
io vado a rifugiarmi in tutta fretta
al castello di Bristol.(48)
Il conte di Wiltshire è già là.(49)

 

BUSHY -

Ed io vengo con te,
perché dal popolo, che già ci ha in odio,
c’è da aspettarsi ben pochi riguardi,
se non ci sbraneranno come cani.
E tu Bagot, che fai? Vieni con noi?

 

BAGOT -

No, io raggiungo sua maestà in Irlanda.
Se i presagi del cuore non son vani,
ho il sentimento, amici,
che questa volta noi ci separiamo
per non vederci più.

 

BUSHY -

Dipende dal successo che avrà York
nel ricacciare indietro Bolingbroke.

 

GREEN -

Il successo di York?… Povero Duca!
S’è sobbarcato a un compito impossibile.
È come se volesse far la conta
dei granelli di sabbia sulla spiaggia,
o prosciugare gli oceani a sorsate.
Per ciascun uomo che gli resta al fianco
altri mille da lui diserteranno.
E quindi, amici, diciamoci addio
per una volta, per tutte, per sempre.

 

BUSHY -

Forse ci rivedremo…

 

BAGOT -

Mai più, temo.
(Escono)

 

 

SCENA III

 

Campagna nella contea di Gloucester

 

Entrano BOLINGBROKE, NORTHUMBERLAND e soldati

 

BOLINGBROKE -

Northumberland, quanto cammino c’è
fino a Berkeley?

 

NORTHUMBERLAND -

Mio nobile signore,
credetemi, io qui, nel Gloucestershire,(50)
sono quel che si dice uno straniero.
Queste alture così rudi e selvagge,
queste strade sassose e sgarrupate
fan più lunghe le miglia da percorrere
e le rendono assai più faticose;
per mia fortuna ho voi come compagno,
il cui parlare è per me come zucchero
che ha convertito il nostro duro andare
in un dolce e piacevole percorso.
Ma penso come sarà stato lungo
e massacrante per Ross e per Willoughby
da Ravenspurgh alle alture di Castwold;(51)
manca loro la vostra compagnia
che, v’assicuro, ha molto mitigato
il tedio e la lunghezza del mio viaggio.
Che renda almeno dolce quello loro
la speranza d’avere presto anch’essi
a goder dello stesso mio piacere:
la speranza d’un gaudio che ci aspetta
è godimento non molto minore
del suo appagamento.
E con siffatto godimento in cuore,
i suddetti affannati gentiluomini
troveranno più breve il lor cammino;
come abbreviato è stato quello mio
dalla vista di ciò che ho qui davanti:
la vostra eletta compagnia, signore.

 

BOLINGBROKE -

Oh, credo ch’essa valga molto meno
di queste vostre amabili parole.
Ma chi viene?

 

Entra Enrico PERCY

 

NORTHUMBERLAND -

È mio figlio, Enrico Percy,
mandato qui da mio fratello Worcester,
monsignore, non so però da dove.
Ebbene, Enrico, come sta tuo zio?

 

PERCY -

Mi sarei aspettato, mio signore,
che foste voi a darmene notizia.

 

NORTHUMBERLAND -

Perché, non è con la regina a corte?

 

PERCY -

No, se n’è bruscamente allontanato,
ha spezzato la mazza del suo ufficio
e disperso la servitù del re.

 

NORTHUMBERLAND -

Com’è? Non era risoluto a tanto
l’ultima volta che ci siamo visti.

 

PERCY -

È che v’han proclamato traditore,
signore; ed egli se n’è andato a Ravenspurgh
a offrire i suoi servigi al Duca d’Hereford
ed ha spedito me a Berkeley Castle
per scoprir quali forze vi ha raccolto
il Duca(52); ed io ho l’ordine
di far ritorno a Ravenspurgh.

 

NORTHUMBERLAND -

Ragazzo,
hai tu dimenticato il Duca d’Hereford?

 

PERCY -

Dimenticato? Come lo potrei,
mio buon signore, se non l’ho mai visto?
Ch’io sappia, mai l’ho visto in vita mia.

 

NORTHUMBERLAND -

Allora impara a conoscerlo adesso.
Questo è il Duca.

 

PERCY -

Grazioso mio signore,
onorato di offrirvi i miei servigi,
quali vi possa dar l’età mia giovane,
ancora troppo tenera ed acerba,
ma che gli anni faranno maturare,
sì da darvene più e di maggior merito.

 

BOLINGBROKE -

Grazie, gentile Percy, e sta’ sicuro
che in nulla mi ritengo fortunato
come nel possedere un cuore memore
dei buoni amici; e se la mia fortuna
fiorirà anche grazie all’amor tuo,
troverà sempre in essa ricompensa
questo tuo sentimento.
Questo è il patto che fa con te il mio cuore,
e così lo suggella la mia mano.
(Gli stringe la mano)
Dimmi un po’, quanto c’è da qui a Berkeley?
E quali mosse va facendo là
il bravo vecchio York con le sue truppe?

 

PERCY -

Eccolo là, il castello:
in mezzo a quel lontano ciuffo d’alberi,
difeso, a quanto ho potuto sapere,
da trecento soldati,
e son là dentro York, Berkeley e Seymour;
nessun altro di fama o d’alto rango.

Entrano ROSS e WILLOUGHBY

 

NORTHUMBERLAND -

Arrivano i signori Ross e Willoughby,
imbrattati del sangue dei cavalli
menati a tutto sprone, accesi in viso
per l’affannosa corsa.

 

BOLINGBROKE -

Benvenuti,
miei lords. È il vostro amore che vi spinge,
n’ho coscienza, a seguire un traditore
ch’è messo al bando. Tutto il mio tesoro
consiste ora nei ringraziamenti,
solo parole, nulla di tangibile;
ma se sarà ch’io diventi più ricco,
sarò largo d’idonea ricompensa
al vostro affetto, alle vostre fatiche.

 

ROSS -

Ci fa già ricchi la vostra presenza
in mezzo a noi, mio nobil signore.

 

WILLOUGHBY -

Essa ci compensa largamente
d’ogni fatica fatta per raggiungerla.

 

BOLINGBROKE -

In ogni tempo la riconoscenza
fu il tesoro del povero;(53) e per ora
essa dovrà sostituire in me
ogni forma di liberalità,
finché la mia fortuna, ancora infante,
non si sia maturata e fatta adulta.
Ma chi viene?

Entra BERKELEY

 

NORTHUMBERLAND -

Lord Berkeley, se non sbaglio.

 

BERKELEY -

Ho un messaggio per voi, Duca di Hereford…

 

BOLINGBROKE -

…“di Lancaster”, “di Lancaster”, signore!(54)
Io rispondo soltanto a questo nome;
e questo nome son venuto qui,
a riscattar per me, in Inghilterra;
e questo nome dalla vostra bocca
voglio udir pronunciato
prima di darvi qualsiasi risposta
a tutto ciò che possiate annunciarmi.

 

BERKELEY -

Non mi fraintenda la signoria vostra.
Non è assolutamente mia intenzione
sottrarvi un solo titolo d’onore;
io vengo solo a voi, signor… signor…
del titolo qualunque che volete,
da parte di Sua grazia il Lord Reggente
di questo regno, il buon Duca di York,
per sapere che cosa v’abbia spinto
a profittar dell’assenza del re
per venire a sconvolgere la pace
in questa terra con armi impugnate
dagli stessi suoi figli.

Entra, con scorta, il DUCA DI YORK

 

BOLINGBROKE -

Non avrò più necessità di voi,
per far sapere la mia risposta al Duca.
Ecco infatti Sua grazia, di persona,
(Inginocchiandosi al Duca di York)
Nobile zio…

 

YORK -

L’umiltà del tuo cuore
devi mostrarmi, non del tuo ginocchio,
il cui omaggio è falso ed insincero!

 

BOLINGBROKE -

Grazioso zio!…

 

YORK -

Poh… Poh… Va’ là, sta’ zitto!
Intanto graziami di quel “grazioso”,
e soprattutto non chiamarmi “zio”:
io non sono lo zio d’un traditore,
e la parola “grazia”
in bocca senza grazia è profanata.
Ma come hanno potuto le tue gambe
di fuori legge venire a calcare
per un istante un sol grano di polvere
del suolo d’Inghilterra?…
E - più grave “perché” - come han potuto
attraversare in armi miglia e miglia
di queste sue pacifiche contrade,
spaventando i suoi pavidi villaggi
col terrore d’un apparato bellico
da lor tenuto da gran tempo in spregio?
Vieni perché il legittimo suo re
è via? Sciocco ragazzo! Il re sta qui,
e qui, sopra il mio petto, a lui fedele,
riposa intera la sua potestà.
Fossi ancor io l’ardente giovinetto
del tempo quando, insieme al padre tuo,
il coraggioso mio fratello Gaunt,
riuscimmo a togliere il “Principe Nero”,(55)
quell’autentico Marte giovinetto,
da un cerchio di migliaia di francesi,
oh, allora, come rapido il mio braccio,
or prigioniero della ria paralisi,
ti avrebbe già punito
col castigo dovuto alla tua colpa.

 

BOLINGBROKE -

La mia colpa? Ch’io sappia, zio, qual è?
E in che cosa consiste?
E dove e quando e come l’ho commessa?

 

YORK -

Oh, gravissima colpa, la più grave!
Aperta ribellione e tradimento!
Tu sei un uomo bandito dal regno,
e torni prima che scada il tuo termine,
e in più sfidando in armi il tuo sovrano.

 

BOLINGBROKE -

Quando da quel sovrano fui bandito,
io fui bandito come Enrico d’Hereford;
ora ritorno come Enrico Lancaster;
e supplico la grazia vostra, zio,
di riguardare con un occhio equanime
i torti di cui sono stato vittima.
Io vi considero come mio padre,
perché rivedo in voi il vecchio Gaunt.
Allora, padre, come è mai possibile
che tolleriate ch’io resti costretto
ad andare girovago pel mondo,
e che dal mio blasone siano avulsi
i diritti, le rendite, ogni cosa,
per essere sperperati, scialacquati
da una genia di villani rifatti?(56)
Ero nato per questo?
Se mio cugino ha il trono d’Inghilterra,
si deve ammettere, allo stesso titolo,
che a me competa il ducato di Lancaster.
Voi pure avete un figlio, il duca d’Aumerle,
mio beneamato e nobile cugino;
se voi foste mancato, e i suoi diritti
calpestati, come lo sono i miei,
egli avrebbe trovato in suo zio Gaunt
un altro padre pronto a levar alta
la protesta pei torti ricevuti,
e ne sarebbe ben venuto a capo.(57)
A me si nega, appunto, qui il diritto
di esigere il possesso del mio titolo,
con tutto che le lettere patenti
m’autorizzino a far tale rivendica.
I beni posseduti da mio padre
son tutti confiscati ed alienati,
e male usati, come tutto il resto.
Che vorresti ch’io faccia? Sono un suddito
ed invoco la legge a mio favore;
e poiché mi si negan gli avvocati,
son costretto a venire di persona
a perseguir la mia giusta pretesa
di riottenere quello che mi spetta
per diritto di piena successione.

 

NORTHUMBERLAND -

Troppi e gravi soprusi ha sopportato
questo nobile Duca, Vostra grazia.

 

ROSS -

A Vostra grazia di fargli giustizia.

 

WILLOUGHBY -

Dei suoi beni si sono rimpinguati
e fatti grandi bassi personaggi.

 

YORK -

Consentitemi, pari d’Inghilterra,
di dirvi questo: ho piena comprensione
dei torti fatti a questo mio nipote,
e ho fatto tutto ch’era in mio potere
per ottener per lui piena giustizia.
Ma presentarsi in patria in questa guisa,
in armi, a farsi giustizia da sé,
con la pretesa di aprirsi la via
a conquistar un diritto col torto…
tutto questo non può trovar ragione.
E voi tutti che l’istigate a tanto
non fate che nutrir la ribellione,
e ribelli perciò lo siete tutti.

 

NORTHUMBERLAND -

Il Duca ha formalmente dichiarato
che viene solo per riavere il suo;
e per il giusto di questa pretesa
noi tutti abbiam fatto giuramento
di dargli il nostro aiuto;
e non s’abbia più gioia chi l’infrange.

 

YORK -

Bene, bene, ora vedo chiaramente
a quale mira son tese quell’armi.
Né posso porvi io alcun rimedio;
esigua è la mia forza militare,
e affatto inadeguata a questo compito.
Ma giuro, per Colui che m’ha creato,
che se potessi, v’arresterei tutti,
e vi costringerei, proni in ginocchio,
ad implorar la clemenza del re.
Ma dal momento che non m’è possibile,
vi sia palese ch’io resto neutrale.
E così vi saluto… ammenoché
non vi piaccia venire nel castello,
e riposare là per questa notte.

 

BOLINGBROKE -

Questa è un’offerta che accettiamo, zio.
Ma dobbiamo convincer Vostra Grazia
a venir poi al castello di Bristol,
dove si dice siano rifugiati
Bushy, Bagot ed altri lor compari.
Costoro sono i veri parassiti
della nazione, e ho fatto giuramento
di schiacciarli e di sterminarli tutti.

 

YORK -

Forse verrò; ma converrà rifletterci,
perché sento una certa ripugnanza
a violare le leggi del paese.
Voi non siete né amici, né nemici
per me; siete soltanto benvenuti;
ed è inutile ch’io mi prenda cura
delle cose di cui non c’è più cura.(58)
(Escono)

 

 

SCENA IV

 

Un accampamento nel Galles

 

Entrano il Conte di SALISBURY e un CAPITANO gallese

 

CAPITANO -

Lord Salisbury, son già dieci giorni
che a stento stiamo a trattenere qui
un certo numero di gente in armi,
e del re ancora nessuna notizia.
Perciò ci scioglieremo. Vi saluto.

 

SALISBURY -

Aspettiamo, aspettiamo ancora un giorno,
fedel gallese, il re ripone in te
tutta la sua fiducia. Ancora un giorno!

 

CAPITANO -

Qui son tutti convinti
che il re è morto. Non aspetteremo.
I verdi allori ormai su questa terra
sono tutti avvizziti,
le meteore atterriscono le stelle
fisse nel cielo; pallida, la luna
getta sguardi sanguigni sulla terra,
e profeti dal volto scheletrito
van sussurrando tremende catastrofi;
i ricchi han tutti facce ammusonite,
i malfattori danzano ed esultano:
gli uni perché pervasi dal terrore
di perder tutto quello di cui godono,
gli altri per l’allettante prospettiva
di profittar dell’ira e della guerra.
Sono i tipici segni annunciatori
della caduta e la morte di re.(59)
Addio signore, i nostri cittadini
han preso tutti il volo,
certi che il loro re Riccardo è morto.
(Esce)

 

SALISBURY -

Ah, Riccardo, ch’io guardo alla tua gloria
con gli occhi d’una mente addolorata,
come una stella che dalla sua sfera
precipita su questa vile terra!
Il sole cala basso sull’occaso
e piange nel veder l’approssimarsi
di tempeste, sciagure, sedizioni.
Gli amici t’hanno tutti abbandonato
per correre a dar mano ai tuoi nemici,
e la fortuna ti sta tutta contro.(60)
(Esce)

 

 

ATTO TERZO

 

 

 

SCENA I

 

Il campo di Bolingbroke davanti a Bristol

 

Entrano BOLINGBROKE, YORK, NORTHUMBERLAND; soldati conducono prigionieri BUSHY e GREEN

 

BOLINGBROKE -

Conduceteli qui, davanti a me.
Bushy e Green, io non voglio tormentare
l’anime vostre - che dovran ben presto
separarsi dai corpi - incrudelendo
contro le vostre vite perniciose
e infami. Non sarebbe carità.
Eppure per aver monde le mani
del vostro sangue, avanti a questi uomini
convien ch’io dica alcuni dei motivi
che vi fan meritevoli di morte.
Voi siete responsabili in comune
d’aver corrotto e pervertito un principe,
un sovrano regale, un gentiluomo,
per nobiltà di nascita e lineamenti,
e avete fatto di lui un bastardo,
sfigurando la limpida sua vita.
Con le immonde vostre ore di lascivia
avete cagionato, virtualmente,
un divorzio tra lui e la regina,
rotto l’uso del talamo regale,
e macchiata la venustà del viso
d’una radiosa, splendida regina
con le lacrime scorse dai suoi occhi
a causa delle vostre turpi pratiche.
Io stesso, nato principe regale,
vicino al re nel sangue e nell’affetto
- almeno fino a tanto che voi due
non mi metteste in falsa e odiosa luce -
fui obbligato a piegare la testa
sotto il peso delle calunnie vostre,
e ad andar per il mondo,
a sospirare a nuvole straniere
il mio alito inglese
mangiando il pane amaro dell’esilio,
mentre voi facevate osceno strame
dei miei dominii, abbattevate i boschi,
sradicavate dalle mie finestre
gli stemmi di famiglia,
cancellavate ovunque la mia impresa,(61)
facendo che di me nessuna traccia
di me restasse se non l’altrui stima
ed il mio sangue. Tutto questo ed altro,
assai più che due volte tutto questo,
vi condanna. Portateli al patibolo,
lasciateli alle mani del carnefice.

 

BUSHY -

Vien più gradito a me
il colpo della scure del carnefice
che all’Inghilterra Bolingbroke. Addio.

 

GREEN -

Il Cielo prenderà le nostre anime,
e dannerà all’inferno l’ingiustizia.

 

BOLINGBROKE -

Northumberland, vogliate provvedere
a che sian giustiziati, senza indugio.
(Escono Northumberland coi soldati e coi due prigionieri)
(A York)
Mi dicevate, zio, che la regina
è a casa vostra. Nel nome di Dio,
che sia trattata come si conviene.
Ditele che le mando il mio saluto
e abbiate cura che le sian trasmessi
i miei migliori e più devoti ossequi.

 

YORK -

Ho appunto già spedito un gentiluomo
del mio seguito con una mia lettera
che le ricorda tutto il tuo riguardo.

 

BOLINGBROKE -

Grazie, gentile zio.
Signori, avanti, ad affrontar Glendower
e i suoi complici. Un altro sforzo ancora,
e poi sarà la festa!

(Escono)

 

 

SCENA II

 

La costa del Galles

 

Rulli di tamburi e squilli di tromba.

 

Entrano RE RICCARDO, il VESCOVO DI CARLISLE, AUMERLE e soldati

 

RICCARDO -

È quello che si vede laggiù in fondo
il Castello di Barkloughly?

 

AULERLE -

Sì, mio signore. Non ha vostra grazia
sollievo all’aria, dopo il tramestio
del mare grosso?

RICCARDO -

Oh, sì, mi piace molto.
E mi viene da piangere
per la gioia di stare nuovamente
coi piedi sul mio regno. Cara terra,
ti saluto col gesto della mano
sebbene ti feriscan dei ribelli
con gli zoccoli dei loro cavalli.
Come una madre stata troppo tempo
lungi dal suo bambino, al rivederlo
gioca con lui tra lacrime e sospiri,
colmo il cuore d’immensa tenerezza,
così pur io, piangendo e sorridendo,
ti saluto, mia terra, e t’accarezzo
col tocco delle mie mani regali.(62)
Non fornire, gentile terra mia,
nutrimento al nemico del tuo re,
né confortare con le tue dolcezze
l’ingordigia dei suoi sensi bestiali;
ma fa che siano intralcio al traditore
suo piede che con passo usurpatore
ti calpesta, i tuoi ragni
tumidi di veleno, e i traballanti
tardigradi tuoi rospi.
Offri pungenti ortiche ai miei nemici
e se colgano un fiore dal tuo grembo
metti a guardia, ti prego di quel fiore,
una vipera occulta che col tocco
mortale della biforcuta lingua
dia lor subita morte.
Non ridete di questo mio scongiuro
a cose prive d’anima,(63) signori.
Questo suolo avrà sensi ed intelletto,
queste pietre saran tanti soldati
prima che il loro legittimo re
sia scrollato o vacilli sotto l’urto
d’una vile obbrobriosa sedizione.

 

CARLISLE -

Non dovete temere, mio signore:
l’alto Potere che v’ha fatto re
può conservarvi re, malgrado tutto.
E i mezzi che offre il cielo per difenderci
van sempre accolti, giammai rifiutati;
se il ciel vuole una cosa
e noi non siam disposti ad accettarla
è come rifiutare la sua offerta
dei mezzi di soccorso e di salvezza.

 

AUMERLE -

Ei vuol significare, mio signore,
che noi ce ne restiamo troppo inerti
su quel che s’ha da fare, mentre Bolingbroke
profitta della nostra negligenza
per rafforzarsi d’uomini e di mezzi.

 

RICCARDO -

Sconfortante cugino!
Non sai che quando l’occhio indagatore
del cielo(64) si nasconde dietro al globo
a illuminare il sottostante mondo(65)
quaggiù si sfrenano spavaldamente
orde di ladri e d’altri malfattori
protetti dal favore della notte
a compiere omicidi e ruberie,
ma quando, uscendo dalle prode australi
della terrestre sfera esso risorge
a infiammar l’orgogliose cime a oriente,
sfavillando i suoi raggi tutt’intorno
a illuminare ogni buco del crimine,
allora gli assassinii, i tradimenti,
gli esecrati delitti d’ogni specie,
una volta che il manto della notte
sia stato tolto dalle loro spalle
appaiono alla vista spogli e nudi,
e tremanti alla vista di se stessi?
Così quando quel ladro traditore
di Bolingbroke, che in tutto questo tempo
ha fatto i suoi bagordi nella notte
mentre noi eravamo cogli antipodi,(66)
ci vedrà sorgere ancora ad oriente
sul nostro trono, allora i suoi delitti
gli appariranno nel rossor del viso;
e, non potendo sostener lo sguardo
del giorno, sarà còlto da tremore,
sgomentato dalla sua stessa colpa.
Tutta l’acqua del burrascoso mare
non lava il sacro crisma dell’unzione
dalla fronte d’un consacrato re.
Né vale umano fiato a dir parola
che deponga chi fu scelto da Dio
ad esser suo vicario sulla terra.
Per ciascun uomo costretto da Bolingbroke
a sollevar il suo perverso acciaio
contro la nostra dorata corona,
Iddio Signore, per il suo Riccardo
ha reclutato, al soldo celestiale,
un angelo della gloriosa schiera.
E quando gli angeli scendono in campo,
i deboli mortali han da soccombere,
ché sempre il cielo vigila sul giusto.

Entra SALISBURY

 

Salute a voi, signore.
Quanto ancora è lontano il vostro esercito?

 

SALISBURY -

Lontano, più o meno,
ma lo sconforto muove la mia lingua
e mi fa dir parole disperate.
L’aver tu ritardato d’un sol giorno
ha oscurato, ho paura, mio signore,
i tuoi giorni radiosi sulla terra.
Oh, se potessi richiamare indietro
il giorno che fu ieri,
e comandare al tempo di arretrare,
e poter riavere, come ieri,
dodicimila uomini
pronti a combattere; ma oggi, oggi,
troppo tardivo sciagurato giorno,
distrugge la tua gioia, i tuoi amici,
le tue fortune, la tua potestà;
perché tutti i gallesi,
dando credito a chi ti dice morto,
sono passati a Bolingbroke,
e si sono dispersi, o son fuggiti.

 

AUMERLE -

Animo, Sire! Fatevi coraggio!
Perché è impallidita vostra grazia?

 

RICCARDO -

Ancora poco fa,
sulla mia guancia trionfava il sangue
di ventimila uomini…
e son fuggiti. Fino a che altrettanto
non torni a rifluirvi,
non ha forse ragione la mia faccia
d’apparirti così pallida e smorta?
Tutti quelli che vogliono scamparla
fuggono dal mio fianco, perché il tempo
ha gettato una macchia sul mio orgoglio.

 

AUMERLE -

Coraggio, Sire! Pensate a chi siete!

 

RICCARDO -

È vero, ho perso coscienza di me.
Svegliati, trasognata maestà! Tu dormi.
E che! Non sono il re? E questo nome
non vale forse ventimila uomini?
Su, àrmati, mio nome!
Armati! Un meschinello di tuo suddito
tenta colpire la tua grande gloria.
Non ve ne state lì con gli occhi bassi,
favoriti d’un re! Non siamo in alto?
E dunque in alto i cuori!
So che zio York ha forze sufficienti
per servire all’impresa…

Entra Sir STEPHEN SCROOP

Ma chi viene?

 

SCROOP -

Felicità e salute al mio sovrano,
più di quanto gli annunci la mia voce
affannata.

 

RICCARDO -

Il mio orecchio è aperto
ed il mio cuore preparato a tutto.
Il peggio che tu possa rivelarmi
non sarà che una perdita terrena.
È perduto il mio regno?
Ebbene il regno era la mia croce.
Quale perdita è mai
venire scaricati di una croce?
Bolingbroke si vuol far come noi grande?
Non sarà mai più grande.
Se serve Dio, anche noi lo serviamo,
e in questo siamo pari, lui ed io.
Sono in rivolta alcuni nostri sudditi?
A questo non abbiamo alcun riparo:
rompon, prima che a noi, la fede a Dio.
Annunciami sciagure, distruzione,
rovina, decadenza dal mio regno…
La morte è sempre il peggio
ed essa saprà sceglier la sua ora.

 

SCROOP -

Ho piacere a vedere vostra altezza
così ben corazzata
a ricever notizie di sventura.
Simile ad uno di quei temporali
che si scatenano fuori stagione,
e fanno straripar gli argentei fiumi
e sommerger le rive,
quasi il mondo si sciolga tutto in lacrime,
tale straripa, traboccando gli argini,
l’ira gonfia di Bolingbroke,
coprendo la sgomenta vostra terra
di lampi di corrusco, duro acciaio,
e di cuori di questo ancor più duri.
Contro la tua maestà
hanno ferrato i lor canuti crani
esili vecchi dalla barba bianca;
ragazzi imberbi e di femminea voce
si rinforzano di far la voce grossa
e insaccano le lor femminee membra
dentro pesanti rigide armature,
contro la tua corona.
Perfino i pregatori a pagamento(67)
hanno imparato a tender i loro archi
d’infausto tasso,(68) contro il tuo regime.
Perfin le donne, all’aspo solo aduse,
hanno imbracciato picche arrugginite
contro il tuo soglio. I giovani ed i vecchi
sono in rivolta e tutto va assai peggio
di quanto io sappia dire con parole.

 

RICCARDO -

Oh, l’hai detta fin troppo bene, invece,
una sì brutta storia!
Dov’è il conte di Wiltshire? Dov’è Bagot?
E Bushy? E Green?… Dov’erano costoro
per lasciar che un nemico insidioso
misurasse con passo indisturbato
il nostro territorio in lungo e in largo?
Se prevarremo, con la loro testa
pagheranno per questo. Sono certo
che han fatto pace con Enrico Bolingbroke.

 

SCROOP -

Pace con lui, sì, certo, mio signore.

 

RICCARDO -

Ah, scellerati, vipere, dannati,
senza speranza più di redenzione!
Cagnacci pronti a far festa a chiunque!
Serpenti riscaldati col mio sangue,
che m’hanno morso il cuore!
Tutti e tre Giuda, e ciascuno dei tre
tre volte peggio! Hanno fatto la pace?
Per questa infamia, il tenebroso inferno,
faccia guerra alle lor anime perse!

 

SCROOP -

Il più tenero amore, cambiando natura,
si converte nell’odio più mortale;
come vedo, ma le maledizioni
testé scagliate sulle loro anime,
potete rimangiarvele, signore:
perché quelli la pace l’hanno fatta
colle lor teste, non con le lor mani.
Quelli che avete or ora maledetto
han ricevuto la peggior ferita
che morte possa infliggere ad un uomo;
e il loro posto è al fondo d’una fossa.

 

AUMERLE -

Come! Bushy, Green morti?
E anche morto il conte di Wiltshire?

 

SCROOP -

Tutti han lasciato le lor teste mozze
a Bristol, mio signore.

 

AUMERLE -

Dov’è il duca mio padre con le truppe?

 

RICCARDO -

Ormai più non m’importa di saperlo.
Nessun più mi parli di conforto.
Di tombe è tempo di parlare, adesso,
di epitaffi, di vermi e di nient’altro;
sia nostra carta ormai solo la polvere
della terra, e scriviamoci “dolore”.
Non ci resta che sceglierci il notaio
a cui dettare i nostri testamenti.
Anzi, nemmeno questo: un re deposto
lascia solo il suo corpo, steso a terra:
le nostre proprietà, le nostre vite
tutto è ora di Bolingbroke;
nulla c’è più che possiamo dir nostro
tranne la morte, e quel pugno di terra
che servirà da calco e da coperchio
alle tristi ossa nostre. Per l’amor di Dio,
sediamo in terra(69) a raccontarci storie
della morte di re… e come alcuni
furon deposti, ed altri uccisi in guerra,
altri perseguitati dai fantasmi
di quelli ch’essi avevano deposto;
alcuni avvelenati dalle mogli,
altri uccisi nel sonno:
tutti scomparsi per morte violenta…
Perché nel cerchio di quella corona
che d’un re cinge le mortali tempie
Madonna Morte tiene la sua corte,
e lì siede, grottesca commediante,
a farsi scherno della sua maestà,
a sogghignar a tutta la sua pompa,
concedendogli un alito di vita,
una piccola parte sulla scena,
perch’egli possa, in veste di monarca,
signoreggiare, incutere timore
col fulminante sguardo;
infondendogli boria e vanità,
come se questa frale nostra carne
che ci cinge la vita come un muro
fosse fatta di bronzo inespugnabile;
e, dopo averci così lusingato,
arriva lei e, con un spillino,
perfora, tic, il muro, ed addio re!…
Signori, gente, copritevi il capo,
e non beffate con solenni inchini
uno ch’è forma sol di carne e sangue.
Gettate via rispetto, tradizione,
cerimoniale e bassa sudditanza!
Fino ad oggi m’avete mal compreso
scambiandomi per quello che non sono;
mentr’io vivo di pane come voi,
ho i bisogni che avete tutti voi,
assaporo il dolore come voi,
necessito di amici come voi.
Se dunque son soggetto a tutto questo,
come potete voi chiamarmi re?

 

CARLISLE -

Signore, il saggio non si siede mai
a lacrimare sulle sue sciagure;
pensa piuttosto a prevenirle in tempo.
La paura che abbiamo del nemico,
indebolisce in noi la resistenza,
e dà al nemico quella maggior forza
che gli vien dalla nostra debolezza.
Ed è così che il nostro vaneggiare
ci si ritorce contro a nostro danno.
Temete, e non potrete che soccombere:
se invece combattete,
nulla di peggio vi potrà accadere;
morire combattendo,
è la morte che vince sulla morte;
morir nella paura di morire,
rende alla morte un ben servile omaggio.

 

AUMERLE -

Mio padre ha un esercito;
raggiungetelo e fate insieme a lui
un sol corpo di queste sparse membra.

 

RICCARDO -

Giusto richiamo il tuo! Borioso Bolingbroke,
ti verrò a rendere colpo per colpo,
e sarà il giorno del nostro destino!
Questo attacco febbrile di paura
m’è passato; ed è impresa da poco
riconquistare il proprio. Parla, Scroop,
dov’è mio zio York con le sue truppe?
Parla dolce, se pure dal tuo aspetto
traspare l’amarezza.

 

SCROOP -

Dall’aspetto del cielo, monsignore,
si giudica del tempo che farà.
Così dall’occhio mio smarrito e cupo
potete anticiparvi da voi stesso
le più gravi notizie
che la mia lingua ha ancora da annunciarvi;
ed io a dirvi il peggio a brano a brano,
non farei altro che il torturatore.
Dunque ecco tutto: il Duca vostro zio
è passato da Bolingbroke, signore;
tutte le vostre roccaforti a nord
si sono arrese; al sud, i vostri nobili
sono accorsi da lui, armi e bagagli.

 

RICCARDO -

Basta, hai detto abbastanza!
(Ad Aumerle)
E tu, cugino,
maledetto, che m’hai testé stornato
dal sentiero della disperazione
che avevo sì dolcemente imboccato!
Che dici adesso? Quale altro conforto
dici che ci rimane?… Per il cielo,
chiunque ormai mi parli di conforto
s’avrà il mio odio eterno! Andiamo, andiamo!
Al castello di Flint!(70) E là rinchiuso
io voglio consumare la mia angoscia:
un re ridotto schiavo del dolore!
Congedate le mie residue truppe:
che se ne tornino ad arar la terra
che almeno dà speranza d’un raccolto:
io, speranza di frutti, non ne ho più.
E dunque che nessuno apra più bocca
ad esortarmi di cambiare idea,
perché sarebbe vano ogni consiglio.

 

AUMERLE -

Una parola ancora, mio sovrano.

 

RICCARDO -

Cugino, mi fa doppiamente torto
chi voglia ancor tentare di ferirmi
con le lusinghe della propria lingua.
Mettete i miei seguaci in libertà.
Che lascino la notte di Riccardo
per il radioso mattino di Bolingbroke!

(Escono)

 

 

SCENA III

 

Entrano, con tamburi e bandiere, BOLINGBROKE, YORK, NORTHUMBERLAND, con soldati.

 

BOLINGBROKE -

Dunque, secondo quanto è scritto qui,
i gallesi si son tutti sbandati,
e incontro al re, sbarcato qui da presso
su questa costa, è andato solo Salisbury
con un manipolo di fedelissimi.

 

NORTHUMBERLAND -

Mi pare una notizia confortante.
Riccardo dunque è qui poco lontano,
a nascondersi il capo.

 

YORK -

Lord Northumberland,
per voi Riccardo è ancora “Re Riccardo”!
Fareste meglio a chiamarlo così.
Infausti tempi quelli in cui un re
si vede stretto a nascondersi il capo.

 

NORTHUMBERLAND -

Vostra grazia mi deve aver frainteso:
ho omesso il titolo per brevità.

 

YORK -

C’è stato un tempo in cui se aveste usata
anche con lui la vostra brevità,
sarebbe stato anch’egli tanto breve
con voi, da raccorciare il vostro corpo
di tutta la lunghezza della testa,
per aver voi accorciato il suo titolo.

 

BOLINGBROKE -

Non prendete le cose pel malverso
più di quanto dovreste, caro zio.

 

YORK -

E tu, mio buon nipote,
non intendere più di quanto devi,
che non abbia a fraintendere anche il cielo
che sta sul nostro capo.

 

BOLINGBROKE -

Lo so, zio,
ed io non vado contro i suoi disegni.

Entra Enrico PERCY

Oh, ma chi vedo qui! Salute, Enrico!
Dunque, s’arrende o no, questo castello?

 

PERCY -

È guardato dagli uomini del re,
che ne sbarran l’accesso, monsignore.

 

BOLINGBROKE -

Del re?… Là dentro non c’è nessun re!

 

PERCY -

Uno ce n’è, signore: è Re Riccardo,
che dentro quelle mura ha preso alloggio;
e son con lui Lord Aumerle, Lord Salisbury,
Sir Stephen Scroop ed un alto prelato
del quale non potei sapere il nome.

 

NORTHUMBERLAND -

Probabilmente il vescovo di Carlisle.(71)

 

BOLINGBROKE -

Northumberland, andate con l’araldo
ai piedi del rupestre contrafforte
dell’antico castello,
e con lo squillo d’una bronzea tromba
mandate nelle sue dirute orecchie
il segnale d’invito a parlamento,
accompagnato da queste parole:
“Enrico Bolingbroke, inginocchiato,
“bacia la mano a Riccardo suo re,
“e rivolge all’augusta sua persona
“i sensi della sua sottomissione
“e della sua sincera fedeltà.
“Egli è pronto a deporre ai piedi suoi
“armi ed armati, a patto che il suo bando
“si revochi, e gli sian rese le terre
“libere e senza vincoli di sorta.
“Diversamente, si vedrà costretto
“ad usare il vantaggio della forza
“ed a bagnare questa estiva polvere
“col sangue che sarà versato a pioggia
“dalle ferite degli inglesi uccisi.
“Ma quanto sia lontano dal suo animo
“di far che un tal rossigno temporale
“abbia a inondare il fresco grembo verde
“della terra del biondo re Riccardo(72)
“Enrico Bolingbroke lo vuol provare
“rendendo a lui il suo devoto omaggio”
Andate e proclamate quest’annuncio.
Noi proseguiamo la nostra avanzata
sull’erboso tappeto della piana.

(Northumberland, con un trombettiere,
avanza fin sotto le mura del castello)

Marciamo senza fragor di tamburi,
ch’essi possano scorger da lontano,
dagli spalti diruti del castello,
lo scintillio delle nostre armature.
Mi pare come se Riccardo ed io
dovessimo scontrarci
con la stessa terribile veemenza
degli elementi del fuoco e dell’acqua
allor che il loro cozzo rimbombante
squarcia del ciel l’annuvolata faccia.
Sia egli il fuoco, io l’arrendevol acqua,
sia sua la rabbia, mentr’io non su di lui,
ma sulla terra pioverò benigna.
In marcia, dunque, andiamo ad osservare
con che piglio ci accoglie Re Riccardo.

 

Tromba a parlamento - Risposta dal castello.
Appaiono sugli spalti RE RICCARDO, il VESCOVO DI CARLISLE, AUMERLE, SCROOP, SALISBURY

 

PERCY -

Guardate, toh, Re Riccardo in persona
che appare di lassù simile al sole
quando si leva, rosso di corruccio,
dall’infuocato portale d’oriente
e s’accorge che le invidiose nuvole
s’accingono a offuscare il suo splendore
e a macchiare la luminosa traccia
del suo pellegrinaggio ad occidente.

 

YORK -

Eppure ha sempre l’aspetto d’un re.
Guarda il suo occhio, com’è luminoso,
come quello d’un’aquila,
e dardeggia imperiosa maestà.
Ah, che pena, che sì bella visione
debba patire d’essere offuscata
dalla macchia della cattiva sorte!

 

RICCARDO –

(A Northumberland)
Siamo stupiti; a lungo abbiamo atteso,
che flettessi il ginocchio innanzi a noi,
in atto di timore e riverenza,
credendoci il legittimo tuo re.
Se è vero che lo siamo, qual motivo
fa tanto ardite quelle tue giunture
da non renderci il doveroso ossequio?
Se poi credi che non lo siamo più,
additaci la mano
con la quale la volontà di Dio
ci dispensò da questo ministero;
ma noi sappiamo che nessuna mano
di sangue e d’ossa può tenere in pugno
il sacro nostro scettro
se non in forza d’un’usurpazione
profanatrice, o d’una ruberia.
Se pur tu pensi che, sul tuo esempio,
tutti han da noi strappato le loro anime,
lasciandoci impotenti e senza amici,
sappi, però, che Dio Onnipotente,
mio signore e padrone,
va reclutando per me tra le sue nuvole
interi eserciti di pestilenze
ed esse colpiranno i vostri figli
non ancor nati, e neppur concepiti,
di voi che osate alzar contro il mio capo
le vostre mani d’umili vassalli
per attentare alla regal maestà
ed alla gloria della mia corona.
Fa’ sapere pertanto a Enrico Bolingbroke,
perché immagino sia laggiù in attesa,
ch’ogni suo passo su questa mia terra
è un tradimento, gravido di rischi.
Egli viene ad aprire il testamento
vermiglio(73) d’una guerra sanguinosa;
ma prima che potrà godersi in pace
l’agognata corona sul suo capo,
la “corona”(74) di diecimila teste
sanguinolente di figli di madre
avrà ridotto secco ed avvizzito
il bel fiore del volto d’Inghilterra,
e tinto di vermiglia indignazione
il virgineo pallor della sua pace,
ed irrorato l’erba dei suoi pascoli
di devoto e fedele sangue inglese.

 

NORTHUMBERLAND -

Non voglia il Re dei cieli
che s’abbatta sul re nostro signore
una sì barbara civil contesa!
Il tuo nobil cugino Enrico Bolingbroke
ti bacia supplice l’augusta mano
e ti giura, sull’onorata tomba
che serra l’ossa del vostro grande avo;
sulla regalità del vostro sangue,
comune all’uno e all’altro, scaturigine
da una stessa purissima sorgente;
sulla mano del suo sepolto padre,
l’ardimentoso Gaunt;
sul suo stesso valore e sul suo onore
- giuramento che tutti gli altri assomma -,
ch’altro scopo non ha, venendo qui,
che reclamar gli aviti suoi diritti
e chiedere in ginocchio a Vostra altezza
la revoca immediata del suo bando;
che tutto ciò una volta garantitogli
dalla sovrana vostra autorità,
consegnerà alla ruggine
tutte le sue sfolgoranti armature,
alle lor stalle i bardati destrieri,
ed il suo cuore al leale servizio
della vostra maestà. Giura da principe,
che tutto questo è giusto e sacrosanto,
ed io, da gentiluomo, lo confermo.

 

RICCARDO -

Northumberland, così risponde il re:
gli dirai: il suo nobil cugino
è benvenuto, ed ogni suo diritto
troverà incontrastato accoglimento.
Con tutto il garbo di cui sei capace
da’ al suo nobile orecchio il mio saluto.
(Northumberland si ritira)
(Ad Aumerle)
Cugino, ci abbassiamo, non è vero,
a mostrarci così condiscendenti
e ad esprimerci in così dolci termini?
Che dici, richiamiamo qui Northumberland,
e mandiamo una sfida al traditore,
per poi morire?

 

AUMERLE -

No, mio buon sovrano.
Combattiamo a parole di dolcezza,
fin che il tempo ci porti degli amici,
e con essi il soccorso delle spade.

 

RICCARDO -

Ahimè, mio Dio, che proprio questa lingua
che pronunciò il verdetto dell’esilio
contro quel tracotante traditore
si debba trovar ora a ritrattarlo,
ed anche con parole di lusinga!
Oh, foss’io grande come la mia ambascia
o più piccolo del mio nome!… Ahimè,
poter dimenticar chi sono stato,
o poter cancellarmi dalla mente
quell’io che ora sono costretto ad essere!
Orgoglioso mio cuore, ti fai gonfio?
Ed io ti lascio libero di battere;
tanto i nostri nemici sono liberi
di batterci ambedue, sia me che te.

 

AUMERLE -

Ecco Northumberland che torna, Sire;
ci porterà la risposta di Bolingbroke.

 

RICCARDO -

Che cosa dovrà fare adesso il re?
Chinare il capo? Ebbene, lo farà.
Farsi deporre? Si rassegnerà.
Devo perdere il titolo di re?
Vada anche quello, nel nome di Dio!
I miei splendidi ori
per un filo di grani di rosario;
la mia ricca dimora
per un’umile cella da eremita;
la mia veste fastosa
per un saio di frate zoccolante;
i miei sfarzosi calici
per una rozza ciotola di legno;
il mio scettro da re,
per un umil bordone da palmiere;(75)
la massa dei miei sudditi
per un paio di statue di santi;
ed il mio vasto regno,
per un’oscura, minuscola fossa!…
O meglio, no: mi farò seppellire
sotto il selciato d’una via maestra,
una di quelle strade più battute,
dove i piedi dei sudditi, ad ogni ora,
calpestino la testa al loro re:
perché se adesso, mentre sono vivo,
mi calpestano il cuore,
perché non devon calpestarmi il cranio,
una volta sepolto?…
(Ad Aumerle che si asciuga una lacrima)
Tu piangi, mio sensibile cugino.
Ma con le dileggiate nostre lacrime
faremo strame delle messi estive,
tanto da provocar la carestia
su questa terra di gente ribelle;
o potremo magari divertirci,
burlandoci di tutti i nostri guai,
a gareggiar tra noi a chi è più bravo
a versar lacrime. Così, ad esempio:
farle cadere sullo stesso punto,
per terra, fino a scavare due fosse,
e su di noi, lì seppelliti, scritto:
“In questo luogo giaccion due cugini
che si scavarono da sé la tomba
con le lacrime uscite dai loro occhi”.
Un tal dolore non farebbe colpo?
Eh, ma m’accorgo di parlare a vanvera
e tu ridi di me… Mio Lord Northumberland,
potentissimo principe,
che dice allora il nostro Enrico Bolingbroke?
La sua maestà concederà a Riccardo
la licenza di vivere,
finché Riccardo muoia di sua morte?
Fategli un bell’inchino,
e Bolingbroke a voi dirà di sì.

 

NORTHUMBERLAND -

V’aspetta di persona, monsignore,
giù nella bassa corte,
per parlarvi. Degnatevi di scendere.

 

RICCARDO -

Scenderò, scenderò,
come un Fetone tutto sfavillante,
ma incapace di trattenere le briglie
a una pariglia di cavalli brocchi.
Giù nella bassa corte: già, la corte
dove i re si riducon tanto in basso
da accorrere solleciti all’appello
dei traditori a render loro omaggio!
Giù nella bassa corte?
Sì, giù corte, giù re! Perché lassù
dove dovrebbero cantar le allodole
ormai non stridono che le civette!
(Si ritira con gli altri dagli spalti)

 

BOLINGBROKE -

(A Northumberland)
Che dice sua maestà?

 

NORTHUMBERLAND -

Dolore e ambascia lo fanno parlare
come uno che farnetica.