Cugino, adieu.

Tua madre ha ben pregato. Ora sta a te
di dimostrarti un suddito fedele.

 

DUCHESSA -

Vieni, vecchio bambino di tua madre.
Or non mi resta che pregare Iddio
che faccia di te un uomo tutto nuovo.

 

(Escono, Re Enrico da una parte, York, la Duchessa di York e Aumerle da un’altra)

 

 

SCENA IV

 

La stessa

 

Entra Sir Pierce EXTON con un SERVO

 

EXTON -

Hai sentito quello che ha detto il re?
“Possibile che non ci sia un amico
che voglia liberarmi da quest’incubo
in carne e ossa?” Non disse così?

 

SERVO -

Esattamente, son le sue parole.

 

EXTON -

Ha detto proprio: “… non ci sia un amico”,
ha insistito due volte. Vero o no?

 

SERVO -

È vero, sì.

 

EXTON -

E mentre lo diceva,
guardava me negli occhi, fissamente,
come a dire: “Vorrei che fossi tu
l’uomo disposto a liberarmi il cuore
da tal paura”, alludendo a Riccardo,
che sta rinchiuso a Pomfret.
Su, su, ho capito: son io quell’amico
che lo libererà da quel tormento.

 

(Escono)

 

 

SCENA V

 

Pomfret, un torrione del castello

 

Entra RE RICCARDO

 

RICCARDO -

Da qualche tempo vado comparando
il carcere in cui vivo e il mondo esterno;
ma, pensando che il mondo è popolato
e qui dentro non c’è anima viva
all’infuori di me, non ci riesco.
Ma a forza di picchiare su quel chiodo,
dovrò spuntarla. Mi figurerò
come se la mia mente sia la femmina
e il mio spirito il maschio,
e far che messi insieme diano vita
a una generazione di pensieri
che daran vita a loro volta ad altri,
e questi ad altri ancora, e tutti insieme
vengano a popolare il microcosmo
dei miei diversi umori,
come diversa è la gente del mondo;
perché nessun pensiero è soddisfatto.
Quelli della miglior generazione,
come i pensieri delle cose sacre,
si mischiano agli scrupoli, alle ubbie,
fino a mettere Verbo contro Verbo,
come, ad esempio, questo: (111)
“Sinite parvulos venire ad me”,
e l’altro: ”È più difficile ad un ricco
entrare in Paradiso che a un cammello
attraversare la cruna d’un ago.”
I pensieri inclinati all’ambizione
tramano inverosimili ardimenti,
come quello ch’io possa aprirmi un varco
con solo ausilio di queste unghie fragili,
attraverso le costole di pietra
di questo duro mondo ch’è il mio carcere;
e, come l’unghie non sono da tanto,
essi s’estinguono nel loro orgoglio.
I pensieri ispirati a tolleranza
trovan motivo d’autolusingarsi
ch’essi non sono i primi ad esser schiavi
della fortuna, né saranno gli ultimi,
similemente a sciocchi mendicanti
che, messi in ceppi, trovano rifugio
a quell’umiliazione nel pensiero
che molti sono a seder come loro,
e molti ancora saranno; e in quest’idea
trovan qualche sollievo,
trasferendo la propria malasorte
sopra chi ne ha sofferto un’altra simile.
Ed io così mi recito, da solo,
la parte di diversi personaggi,
nessuno soddisfatto del suo stato.
A volte sono un re,
ma subito l’idea del tradimento
mi fa desiderar d’essere un povero,
e tal divengo; ma subito dopo
l’opprimente miseria mi convince
che re è meglio. E re io ridivento
subito dopo, ma poi, ma poi…
penso d’essere stato spodestato
da Bolingbroke, e là non so più nulla.
(Musica da dentro).
Della musica! Qui?… Ma andate a tempo!
Anche la dolce musica è sgradevole
se chi suona non tiene bene il tempo
e non osserva bene la misura.
Così è della musica del vivere.
Ed io ho qui tal finezza d’orecchio
da avvertire se c’è una stonatura
in una corda o non si tiene il tempo;
mentre a tener l’accordo del mio regno
mai m’accadde d’aver sì buon orecchio
da accorgermi le volte che io stesso
andavo fuori tempo.
Ho fatto del mio tempo il peggior uso,
il tempo fa mal uso ora di me.
Il tempo ha fatto di me l’orologio
che ne misura il corso: i miei pensieri
sono i minuti, e a forza di sospiri
accompagnano il loro scorrimento
sul quadrante dei miei occhi veglianti;
ed il mio dito, come una lancetta,
li terge di continuo dalle lacrime,
mentre segnano il battere delle ore
i fragorosi, altissimi lamenti
che batton la campana del mio cuore,
così come sospiri e pianti e gemiti
scandiscono minuti e quarti ed ore. (112)
Ma il mio tempo trascorre di carriera
per la gioia dell’orgoglioso Bolingbroke,
mentr’io me ne sto qui, stupidamente,
a fargli da pupazzo all’orologio…
Ma questa musica mi fa impazzire.
Fatela smettere! Ché se la musica
ha ricondotto i pazzi alla ragione,
con me, sembra che fa impazzire i savi.
Benedizione scenda, in ogni modo,
su chi me ne fa dono,
perché è segno d’amore, e per Riccardo
è un prezioso gioiello, molto raro,
in un mondo tutt’odio come questo.

Entra uno STALLIERE

 

STALLIERE -

Iddio ti salvi, principe reale!

 

RICCARDO -

Ti ringrazio, mio nobile signore.
Quello che val di meno fra noi due
è valutato dieci soldi in più
di quel che vale in realtà.(113) Chi sei?
E come hai fatto a penetrar qui dentro
dove non giunge mai anima viva
fuor del muso cagnazzo
incaricato di portarmi il cibo
per mantenere in vita la disgrazia?

 

STALLIERE -

Ero un tuo umile mozzo di stalla
quando eri re, e, in viaggio verso York,
ho avuto modo, in mezzo a una gran folla,
di riguardare finalmente in faccia
colui ch’era già stato il mio padrone.
Ah, che stretta di cuore,
nel rimirare per le vie di Londra,
il dì dell’incoronazione, Bolingbroke
in sella al nostro roano d’Arabia,
che tante volte tu hai cavalcato
ed io con tanta cura governato!

 

RICCARDO -

Ah, cavalcava quel roano berbero?
E dimmi, buon amico, quel cavallo
come si comportò con lui in sella?

 

STALLIERE -

Trotterellava in modo sì superbo,
che il terreno pareva tutto suo.

 

RICCARDO -

Superbo di portare in groppa Bolingbroke?
E dire che quel brocco
ha mangiato dalla regal mia mano
il suo foraggio; e questa stessa mano
l’ha fatto insuperbire di carezze!
Perché non ha inciampato
sgroppandolo e sbattendolo per terra
- ché una caduta deve pur toccare
alla superbia - e non ha rotto il collo
al borioso che ne usurpò la monta?
Perdonami, cavallo! Non è giusto
ch’io me la debba prendere con te
che sei stato creato da natura
per esser sottoposto e per portare.
Io, non nato cavallo, tuttavia
porto su me la soma come un asino,
speronato, piagato, flagellato
dal superbo caracollante Bolingbroke.

Entra un CARCERIERE con il cibo

 

CARCERIERE -

(Allo stalliere)
Amico, sgombra, qui non puoi restare.

 

RICCARDO -

(Allo stalliere)
Se mi vuoi bene, lasciami, va’ via.

 

STALLIERE -

Quel che non osa dirti la mia lingua,
te lo dica il mio cuore.

(Esce)

 

CARCERIERE -

Monsignore, volete mandar giù?

 

RICCARDO -

Come al solito, assaggia prima tu.

 

CARCERIERE -

Monsignore, non mi ci arrischio più.
Poc’anzi è giunto qui
dalla parte del re sir Pierce Exton,
e m’ha ordinato di non farlo più.

 

RICCARDO -

Che il diavolo si porti Enrico Lancaster
e te con lui! La mia pazienza è al limite!
Io sono stufo, stufo!
(Picchia il carceriere)

 

CARCERIERE -

Aiuto! Aiuto!

Irrompe EXTON con alcuni armati

 

RICCARDO -

Ehi là, che c’è? Che intenzioni di morte
ha questo rude assalto?…
(Strappa l’arma dalle mani di un sicario
e con quella in mano gli si avventa)
Scellerato!
La tua mano mi tende lo strumento
della tua morte!
(Lo uccide, e s’avventa subito su un altro)
Ed anche tu, carogna,
vatti a trovare il tuo posto all’inferno!
(Uccide anche questo, ma Exton è su di lui,
e lo ferisce a morte. Riccardo cade.)
Bruci nel fuoco eterno la tua mano
che fa crollar così la mia persona!
Con questo tuo violento braccio, Exton,
hai macchiato del sangue del suo re
questa terra ch’è sua… Anima mia,
va’ in alto, involati, la tua dimora
è lassù, mentre greve del suo peso
quaggiù sprofonda la mia carne… e muore.

(Muore)

 

EXTON -

Ricolmo di valore
non meno che di principesco sangue!
Io li ho versati entrambi. Questa azione
fosse almeno accaduta a fin di bene.
Perché il diavolo, che m’aveva detto:
“Fai bene a farla”, già mi fa sapere
ch’è scritta nei registri dell’inferno.
Questo re morto porterò al re vivo.
Trascinate via gli altri,
date lor sepoltura nei dintorni.

(Escono)

 

 

SCENA VI

 

Il castello di Windsor

 

Entrano BOLINGBROKE, YORK e nobili

 

BOLINGBROKE -

Caro zio York, dall’ultime notizie,
i ribelli hanno messo a ferro e a fuoco
la nostra Cicester, nel Gloucestershire.
Ma le stesse notizie non ci dicono
se siano stati catturati o uccisi.

Entra NORTHUMBERLAND

Salve, Northumberland, che nuove porti?

 

NORTHUMBERLAND -

Prima di tutto, auguri d’ogni bene
alla tua consacrata maestà;
quindi l’annuncio che ho spedito a Londra
le teste dei seguenti congiurati:
Lord Salisbury, Spencer, Blunt e Kent.
Le circostanze della lor cattura
son tutte dettagliate in questo scritto.
(Gli porge un foglio)

 

BOLINGBROKE -

Grazie per quanto hai fatto, caro Percy:
ed a questo tuo merito
aggiungeremo idonei compensi.

Entra FITZWATER

 

FITZWATER -

Sire, ho spedito da Oxford a Londra
le teste mozze di Brocas e Seely,
due della banda di quei traditori
che avevan complottato per tentare
ad Oxford la tua fine scellerata.

 

BOLINGBROKE -

Fitzwater, non sarà dimenticata
codesta tua fatica. So già bene
quanto nobile ed alto sia il tuo merito.

Entrano PERCY e il vescovo di CARLISLE

PERCY -

Il gran cospiratore,
l’Abate di Westminster, sopraffatto
dai rimorsi e da squallida amarezza,
ha reso il corpo in seno a Madre Terra.
Ma c’è qui, vivo, il Vescovo di Carlisle
per udire la tua real condanna
e subire il castigo del suo orgoglio.

 

BOLINGBROKE -

Questa, Carlisle, è la tua condanna:
scegliti un sito remoto, un pio eremo,
più di quello che hai, e vivi là
felicemente il resto di tua vita.
Così come sarai vissuto in pace,
morir potrai lontano dalle contese.
Che, se pur sempre fosti a me nemico,
ho visto in te rilucere
alte scintille di grandezza d’animo.

Entra EXTON con uomini recanti una bara

 

EXTON -

Grande maestà, racchiuso in questa bara
io ti presento, spento, il tuo timore.
Là dentro giace, privo di respiro,
il tuo grande nemico, il più potente,
Riccardo di Bordeaux. Te l’ho portato.

 

BOLINGBROKE -

Exton, non ti ringrazio.
Con la tua mano fatale hai commesso
un misfatto che chiamerà vergogna
sul tuo capo e su tutta l’Inghilterra.

 

EXTON -

Ebbi, signore, dalla vostra bocca
quest’ordine.

 

BOLINGBROKE -

Non amano il veleno
quelli che del veleno hanno bisogno.
Così io te. Seppure la sua morte
desiderassi, odio il suo assassino,
amo lui vittima dell’assassinio.
A compenso di questa tua fatica
tieniti il rimorso della tua coscienza,
ma nessuna parola di consenso
da parte mia, né favore di principe.
Va’, con Caino a fianco per compagno,
errando per la tenebra notturna
e non mostrare più la faccia al giorno.

(Escono Exton e gli uomini con la bara)

Signori, v’assicuro,
la mia anima è piena di dolore
nel pensar che doveva sprizzar sangue
a irrorare la via della mia crescita.
Associatevi dunque al mio compianto
e vestiamoci tutti di gramaglie.
Farò pellegrinaggio in Terrasanta
per lavare la mia mano colpevole
da questo sangue. Fatemi ora seguito
in un mesto corteo. Fatemi grazia
d’unirvi al mio cordoglio,
piangiamo insieme, dietro questa bara,
un uomo morto prematuramente.

 

 

 

FINE

 

(1) In realtà, l’accusa è storicamente infondata, e nel dramma la figura di Norfolk sarà riabilitata. Ma simili denunce di slealtà verso il sovrano avevano regolare corso nell’Inghilterra del tempo. “Così rilassati erano i costumi tra la nobiltà, insieme coi principii d’onore e di delicatezza, che Enrico duca di Hereford, primo conte di Derby e figlio del Duca di Lancaster, non arrossì di accusare il duca di Norfolk di avergli in privato tenuto discorsi ingiuriosi contro il monarca. Norfolk gli diede una smentita e lo sfidò al duello”. (L. Galibert & C. Pellé, ”Storia d’Inghilterra“, vol. 1, pag. 380, Venezia, Antonelli, 1845).

(2)“… my right drawn sword”: “.. con la mia spada tratta secondo legge” (“right” sta per “rightly”), cioè in un duello autorizzato e condotto secondo le regole della cavalleria.

(3) Enrico Bolingbroke, in quanto figlio di Giovanni di Gaunt, è cugino carnale del re, e non avrebbe potuto accettare di battersi in duello con uno come Mowbray che, se pur nobile duca, è di rango inferiore.

(4) In segno di sfida, al tempo di Shakespeare, si gettava in terra un guanto; ma al tempo di Riccardo II - due secoli prima - si gettava anche a terra il cappuccio o il copricapo in genere. E che qui si tratti del cappuccio, lo si arguisce dalla battuta di Aumerle (IV, 1, 83): “Some honest Christian trust me with a gage”, dove “gage” non può essere un guanto, che è doppio, ma un oggetto singolo.

(5) Il rito dell’investitura di cavaliere voleva che il re toccasse, col lato piatto della spada, la spalla dell’investito.

(6) La tenzone avrà luogo a cavallo, coi combattenti armati di spada e di lancia.

(7)“Noble” si chiamò la moneta coniata da Edoardo III, d’oro, del valore corrente di 10 scellini.

(8) Cioè dell’altro fratello di Giovanni di Gaunt, zio comune di Riccardo II e di Enrico Bolingbroke, Tomaso di Woodstock, ucciso nel 1397.