Riccardo III Read Online
RICCARDO - | Io non so più che dire: il mondo è diventato così becero, che gli uccelletti vanno a far man basa dove non osano posarsi l’aquile. Da quando ogni villano è stato battezzato gentiluomo, molti che sono veri gentiluomini sono svillaneggiati. |
ELISABETTA - | Andiamo, andiamo, sappiamo bene a chi volete alludere, cognato Gloucester; non v’è andata giù l’elevazione mia e di mia gente. Dio non ci faccia mai aver bisogno di voi. |
RICCARDO - | Dio vuole, intanto, che siam noi ad avere bisogno ora, di voi. Grazie alle vostre mene, nostro fratello è condotto in prigione, io stesso sono in disgrazia del re, tutta la nobiltà è tenuta a vile mentre ogni giorno si fan promozioni per dare titoli di nobiltà a gente che soltanto l’altro ieri non valeva nemmeno mezzo nobile.(24) |
ELISABETTA - | Io giuro su Colui che m’ha innalzata dalla serena mia pace di prima a questa altezza gravida d’affanni di mai aver pronunziato parola per cercar d’istigare sua maestà contro Clarenza; ho anzi perorato da zelante avvocato la sua causa. Mi recate un’offesa vergognosa, signore, coinvolgendomi così con questi vostri ignobili sospetti. |
RICCARDO - | Voi potete negare certamente d’essere stata voi a provocare la cattura e l’imprigionamento di Lord Hastings… |
RIVERS - | Lo può, sì, monsignore… |
RICCARDO - | Lo può, Lord Rivers! Già, chi non lo sa? Ella può questo ed altro, signor mio: può procurare a voi fruttuose cariche e poi anche negare d’avervi dato mano ad ottenerle ed affermare ch’esse sono merito delle vostre eccellenti qualità. Che cosa ella non può? Ella può anche… per Maria Vergine… |
RIVERS - | Che cosa può, per Maria Vergine? |
RICCARDO - | Che cosa può? Ma maritarsi a un re, per Maria Vergine!(25) Lei, vedova, a uno scapolo, ed un bel giovanotto, per di più. Vostra nonna, ch’io sappia, non fece nozze altrettanto cospicue. |
ELISABETTA - | Monsignore di Gloucester, ho sopportato ormai da troppo tempo le vostre villanesche reprimende e i maligni sarcasmi. Adesso basta! Per il cielo, vorrò informare il re di tutte queste grossolane offese che m’è toccato spesso sopportare. |
Entra, rimanendo in fondo alla scena, la vecchia REGINA MARGHERITA | |
Non che la sposa di un grande monarca, vorrei essere, in queste condizioni, un’umile servetta di campagna, derisa, vilipesa come sono… Mi viene veramente poca gioia dall’essere regina d’Inghilterra. | |
MARGHERITA - | (A parte) Che anche quella poca abbia a scemare, ti supplico, Signore! A me dovuti sono gli onori tuoi, il fasto, il seggio! |
RICCARDO - | Ah, minacciate di ridirlo al re? Ma diteglielo, senza alcuna remora! Quanto v’ho detto qui, son pronto a dichiararlo innanzi a lui, a rischio d’esser mandato alla Torre. È tempo di parlare: i miei servizi, tutti dimenticati. |
MARGHERITA - | (c.s.) Via, demonio! Li ricordo fin troppo i tuoi servizi: ucciso mio marito nella Torre, e mio figlio Edoardo a Tewksbury.(26) |
RICCARDO - | Io, prima che voi foste regina, e che vostro marito fosse re, ho fatto sempre il cavallo da soma dei suoi alti interessi, la ramazza con la quale far pulizia sul campo dai suoi fieri avversari, il dispensiere di compensi ai suoi sostenitori: ho versato il mio sangue per dar regale dignità al suo. |
MARGHERITA - | (c.s.) Di sangue n’hai versato, ma del suo e del tuo assai più nobile. |
RICCARDO - | E in tutto questo tempo, voi e Grey, vostro marito, e voi con loro, Rivers, parteggiavate per la casa Làncaster. Ucciso non fu forse a Sant’Albano vostro marito mentre combatteva per Margherita?(27) E voglio ricordarvi, se mai vi fosse passato di mente, quel ch’eravate e quel che siete adesso, e quel ch’io sono e sono sempre stato. |
MARGHERITA - | (c.s.) Un infame assassino, e tale resti! |
RICCARDO - | Il povero Clarenza che disertò da suo suocero Warwick(28) facendosi spergiuro con se stesso, Dio gli perdoni… |
MARGHERITA - | (s.c.) E ne faccia vendetta! |
RICCARDO - | … per combattere a fianco di Edoardo, per tutta ricompensa, sventurato, è messo in carcere… Volesse Iddio che avessi anch’io un cuore come Edoardo di pietra, o che Edoardo avesse un cuore sì tenero e pietoso come il mio! Son davvero un fanciullo, troppo ingenuo per questo basso mondo! |
MARGHERITA - | (c s.) Sbrigati allora, per la tua vergogna, a lasciarlo, demonio, per l’inferno, ché laggiù è il tuo regno! |
RIVERS - | Mio signore di Gloucester, in quei giorni di grande confusione che voi qui rievocate per bollarci come nemici, noi seguimmo allora colui che era il re nostro sovrano, così come ora seguiremmo voi, se foste il nostro re. |
RICCARDO - | Se fossi io re? Piuttosto uno straccione vorrei essere. Lungi dal mio cuore un simile pensiero! |
ELISABETTA - | Così poca è la mia gioia, signore, d’esser regina, quale voi pensate possa esser quella che godreste voi se di questo paese foste il re. |
MARGHERITA - | (c.s.) Ah, com’è vero! Quanta poca gioia ha la regina di questo paese! E son io quella, e d’ogni gioia priva! Più non resisto a starmene in silenzio! (Forte, facendosi avanti) Ascoltate, briganti litigiosi, che state lì a rissare per spartirvi il bottino a me rubato: c’è tra di voi qualcuno che mi possa guardar senza tremare? Se come sudditi non v’inchinate a me, vostra regina, innanzi a me, da voi deposta tuttavia tremate come ribelli. (A Riccardo) Ah, nobile furfante! Guardami bene in faccia, non voltarti!(29) |
RICCARDO - | Matta strega grinzosa, che ci fai tu davanti alla mia vista? |
MARGHERITA - | Null’altro che ripeterti a memoria tutte le tue nefande malefatte. E lo farò, prima di farti andare. |
RICCARDO - | Non sei bandita, a pena capitale? |
MARGHERITA - | Lo sono, ma l’esilio è maggior pena che la morte per me; perciò la rischio restando qui dov’è la mia dimora. D’un marito e d’un figlio tu mi sei debitore, (A Elisabetta) e tu d’un regno; voi tutti, della vostra sudditanza. Questo dolore mio è di diritto il vostro, e sono miei tutti i piaceri che voi mi usurpate. |
RICCARDO - | Su di te pesa la maledizione che il mio nobile padre ti scagliò quando cingesti le sue fiere tempie d’una corona di carta; i tuoi scherni gli provocarono fiumi di lacrime, e tu, per tergerli, porgesti al Duca una pezzuola ancora tutta intrisa dell’innocente sangue del suo Rutland…(30) Sul tuo capo son tutte ricadute le sue maledizioni, profferite dal suo cuore straziato, e Dio, non noi, ha castigato in te quel tuo atto di sangue. |
ELISABETTA - | Dio è giusto nel rendere giustizia agli innocenti. |
HASTINGS - | Ah, trucidare quella creatura fu l’atto più nefando e più spietato mai visto o udito al mondo. |
RIVERS - | A udirlo raccontare ha fatto piangere anche i tiranni. |
DORSET - | E non ci fu nessuno che non preconizzasse la vendetta che sarebbe seguita. |
BUCKINGHAM - | Northumberland, che si trovava lì, pianse a vederlo. |
MARGHERITA - | Che! Tutti ringhiosi l’uno con l’altro, pronti ad azzannarvi prima ch’io comparissi, ed ora tutti a volger il vostro odio su di me? Ha avuto tanta udienza in cielo quella terribile maledizione di York, da far che la morte d’Enrico e quella di Edoardo mio diletto, e il loro regno andato in altre mani, e l’amaro tormento del mio esilio non sarebbero che il prezzo pagato da noi per quel bizzoso marmocchietto? Possono dunque le maledizioni squarciar le nubi e penetrare in cielo? Oh, allora, aprite il varco, grevi nuvole, alle maledizioni mie vibranti: il vostro ingordo re, se non in guerra, muoia d’indigestione e di stravizio, come per assassinio è morto il nostro, per far lui re; ed Edoardo tuo figlio, il quale è ora principe di Galles per il mio Edoardo, faccia anch’egli, ancora giovane, com’era lui, morte violenta prima del suo tempo! (A Elisabetta) E tu, che usurpi a me che fui regina il posto di regina, possa tu sopravvivere in miseria, alla presente pompa e, come me, possa ridurti tu ad un rottame; e viver tanto a lungo da piangere la morte dei tuoi figli; e vedere, com’io vedo ora te, dei tuoi diritti adorna un’altra donna, come tu sei dei miei; e non morire prima d’avere visto tramontare i tuoi giorni felici; e possa tu, dopo ore infinite di tormento, morire non più madre, non più moglie non più regina di questa Inghilterra. Voi due, Rivers e Dorset e anche tu, Lord Hastings, eravate lì presenti, quando mio figlio venne pugnalato. Io prego Dio che nessuno di voi possa giungere al fine naturale di sua vita, ma sia stroncato prima da un qualsivoglia imprevisto accidente. |
RICCARDO - | Finiscila con questi tuoi scongiuri, odiosa e raggrinzita fattucchiera! |
MARGHERITA - | Lasciando fuori te?… Fermati, cane, ché anche tu m’hai da sentire, e come! Oh, s’abbia per te solo in serbo il cielo un funesto flagello, il più terribile dei tormenti ch’io possa mai augurarti, e voglia trattenerlo fino al tempo che siano maturate le tue colpe, e lo scagli sdegnoso su di te che sei stato nemico della pace su questo nostro derelitto mondo. Ti corroda incessantemente l’anima il tarlo insonne della tua coscienza; e, possa tu trattar per traditori, fin che vivi, gli amici tuoi più cari, e per amici più cari e fidati traditori della più bassa risma. Non chiuda il sonno i tuoi occhi letali se non per darti sogni tormentosi che t’atterriscano con un inferno di orrendi diavoli, schifoso aborto di malizia, maiale grufolante, marchiato da rifiuto di natura e figlio dell’inferno dalla nascita; tu, vivente calunnia del grembo di tua madre che t’ha fatto; tu, schifoso germoglio dei lombi di tuo padre; strofinaccio dell’onore, esecrato… |
RICCARDO - | Margherita! |
MARGHERITA - | … Riccardo! |
RICCARDO - | Eh? |
MARGHERITA - | Non ti ho mica chiamato. |
RICCARDO - | Scusa, credevo che chiamassi me dandomi tutti quegli amari epiteti. |
MARGHERITA - | Difatti, ma non chiedevo risposta. Ti chiedo solo di farmi concludere la mia maledizione. |
RICCARDO - | Io l’ho conclusa, e finisce così: con “Margherita”. |
ELISABETTA - | (A Margherita) Così tutte le tue maledizioni te le sarai soffiate addosso a te. |
MARGHERITA - | Ah, parli tu, immagine dipinta di regina, tu, vano abbellimento(31) di quella che fu già la mia fortuna! Perché spargi il tuo zucchero sulla gobba di quel tumido ragno la cui rete mortifera finirà per avvolgere anche te? Stolta, stolta! Ti affili da te stessa il coltello che ti darà la morte! Giorno verrà che chiamerai aiuto da me, per aiutarti a maledire questo gobbo rospaccio velenoso. |
HASTINGS - | Smettila dunque, falsa profetessa, con codeste tue folli imprecazioni, se non vuoi abusare, a tuo discapito, della pazienza nostra! |
MARGHERITA - | Svergognati! Della mia abusato avete tutti! |
RIVERS - | Sarebbe rendervi un buon servizio a insegnarvi qual è il dover vostro. |
MARGHERITA - | Sarebbe rendermi un buon servizio se ciascuno facesse il suo dovere con me: cioè se m’insegnaste ad essere vostra regina e voi esser miei sudditi, rendendo a me quello che a me è dovuto, e insegnando a voi stessi quel dovere. |
DORSET - | Non state a disputar con lei. È pazza. |
MARGHERITA - | Zitto, mastro marchese! Sei maldestro. Il fior di conio di questo tuo titolo ancora non ha corso in Inghilterra. Ah, se la vostra fresca nobiltà sapesse giudicare che vuol dire perderla e ritrovarsi un miserabile! Chi sta in alto è scrollato dalle raffiche e, se cade, rovina in mille pezzi. |
RICCARDO - | Buon consiglio, perbacco! Fanne tesoro, imparalo, marchese. |
DORSET - | Riguarda voi, signore, quanto me. |
RICCARDO - | Oh, certo, anzi di più. Ma io ci sono nato così in alto: il nostro nido d’aquile sta edificato in vetta all’alto cedro, scherza col vento e si beffa del sole. |
MARGHERITA - | E muta il sole in ombra, ahimè, ahimè! Ne sa qualcosa il povero mio figlio, ormai per sempre all’ombra della morte, i cui splendenti, luminosi raggi la nera nube della tua ferocia ha avviluppato nell’eterna tenebra. Ed il tuo nido d’aquila è stato edificato in quello nostro. Tu che lo vedi, Dio, non tollerarlo! Fu ottenuto col sangue, e nel sangue dev’essere perduto. |
BUCKINGHAM - | Oh, finitela insomma! Per vergogna, se non per carità. |
MARGHERITA - | E proprio voi mi parlate di carità e vergogna? Voi che con me vi siete comportati senza un’ombra di umana carità, e che senza vergogna avete ucciso le mie speranze? Carità è per me l’oltraggio, vivere è la mia vergogna. Ed in questa vergogna viva in me sempre la rabbia per il mio soffrire. |
BUCKINGHAM - | Basta là, basta! Fatela finita! |
MARGHERITA - | Nobilissimo Buckingham, a te io voglio baciare la mano, in segno di alleanza e d’amicizia; con l’augurio che scenda su di te e la tua nobile casa ogni bene; sui tuoi vestiti non ci sono macchie del nostro sangue, tu non sei compreso nel cerchio della mia maledizione. |
BUCKINGHAM - | Né io né gli altri: le maledizioni non vanno mai più lontano del labbro di colui che le pronuncia. |
MARGHERITA - | Io penso invece ch’esse vanno in cielo a ridestare dal suo dolce sonno il silenzio di Dio. Guàrdati, Buckingham, da quel cagnaccio! Attento: se ti scodinzola, morde! e se morde, il morso del suo dente velenoso ti dà ferita cancerosa e morte. Con lui non aver mai nulla a che fare; tienilo solo a bada: su di lui il peccato, la morte e il nero inferno hanno stampato il lor sinistro marchio e i lor ministri sono ai suoi comandi. |
RICCARDO - | Che vi racconta costei, mio Lord Buckingham? |
BUCKINGHAM - | Nulla ch’abbia alcun peso, vostra grazia. |
MARGHERITA - | Che! Tu disdegni i miei buoni consigli, ed assecondi il diavolo contro il quale ti sto mettendo in guardia? Te ne ricorderai un giorno o l’altro, quando costui t’avrà spezzato il cuore per l’ambascia, e dirai: “Qual buon profeta sei stata, sventurata Margherita!” Viva, ciascun di voi, in odio a lui, ed egli a voi, e tutti in odio a Dio! |
(Esce) | |
BUCKINGHAM - | Però mi si drizzavano i capelli a udire quelle sue maledizioni. |
RIVERS - | E così a me. Mi chiedo come mai la si lasci girare in libertà. |
RICCARDO - | Io la capisco: per la Santa Vergine, ha dovuto soffrire troppi torti! E mi pento del male che le ho fatto anch’io, dalla mia parte. |
ELISABETTA - | Per me, ch’io sappia, non gliene ho mai fatti. |
RICCARDO - | Ritraete però ogni vantaggio dai torti ch’ella ha potuto ricevere. Troppo calore ho speso a far del bene a chi ora è troppo freddo a riconoscerlo. Quanto a Clarenza, per la Santa Vergine, ha ricevuto bene la sua paga! Sta rinchiuso all’ingrasso, a ricompensa delle sue fatiche. E Dio perdoni chi n’è responsabile! |
RIVERS - | Saggia morale, d’un vero cristiano: pregare Dio per chi ci ha fatto male. |
RICCARDO - | È quel che faccio sempre… (Tra sé) E faccio bene: ché a maledir qualcuno ora per questo, mi sarei maledetto da me stesso. |
Entra CATESBY | |
CATESBY - | (A Elisabetta) Madama, sua maestà vi vuol parlare, (A Riccardo) ed anche a vostra grazia e a tutti gli altri. |
ELISABETTA - | Vengo subito, Catesby. Volete accompagnarmi, miei signori? |
RIVERS - | Seguiamo volentieri vostra grazia. |
(Escono tutti meno Riccardo) | |
RICCARDO - | Io faccio il male, e sono io il primo a deprecarlo e sbraitar per esso: carico il peso di tutti i misfatti da me segretamente consumati sulle spalle degli altri. Ho manovrato per gettare Clarenza in gattabuia, e lo compiango avanti a questo branco di sempliciotti, Derby, Hastings, Buckingham, e dico loro che fu la regina coi suoi parenti ad istigare il re contro il duca Clarenza mio fratello. E quelli se la bevono, e mi spronano a far la mia vendetta sulle spalle di Rivers, Dorset, Grey; al che io tiro fuori un gran sospiro, e, appellandomi alle Scritture, ricordo loro il divino precetto che insegna a ripagar con bene il male. Vesto così la mia nuda perfidia con vecchi stracci carpiti a casaccio dai sacri testi; e mostro d’esser pio quanto più mi comporto da demonio. |
Entrano DUE SICARII | |
Ma basta: sono qui i miei giustizieri. Allora, bravi, duri e decisi compari, siete pronti a sbrigare la faccenda? | |
PRIMO SICARIO - | Sì, monsignore, e veniamo da voi per avere il mandato necessario a consentirci d’essere introdotti nel luogo ov’ei si trova. |
RICCARDO - | Ottimamente. L’ho appunto qui con me. E appena fatto, verrete a ripararvi a Crosby Place.(32) Però mi raccomando, amici miei, siate fulminei nell’esecuzione, ed inflessibili: nessun indugio ad ascoltar le sue perorazioni; perché Clarenza è un bravo parlatore, e per poco che voi gli diate spago, quello vi muove il cuore alla pietà. |
SECONDO SICARIO - | Signore, non staremo certo lì a scambiar quattro chiacchiere. I ciarlieri son gente poco idonea all’azione. Andiamo a usar le mani, non la lingua. Potete star sicuro. |
RICCARDO - | Gli occhi vostri, difatti, come vedo, versano macine di pietra; lacrime piovono sol dagli occhi degli sciocchi. Mi piacete ragazzi. All’opra, subito. E fate presto. |
I DUE SICARI - | Sì, sì, monsignore. |
(Escono) |
SCENA IV - Londra, la Torre.
Entrano CLARENZA e BRAKENBURY
BRAKENBURY - | Oggi vi vedo triste, vostra grazia. |
CLARENZA - | Ahimè, ho trascorso una brutta nottata, così piena di spaventosi sogni, di orribili visioni, che vi dico, quant’è vero che sono un buon cristiano, non ne vorrei passare un’altra eguale nemmeno se dovessi ricavarne un mondo intero di giorni felici, sì piena è stata di tetro terrore. |
BRAKENBURY - | Che sogno è stato il vostro, monsignore? Vogliate raccontarmelo, vi prego. |
CLARENZA - | M’è parso d’essere fuggito a forza dalla Torre e di essermi imbarcato per raggiunger per mare la Borgogna; e con me era mio fratello Gloucester, che m’invitò a lasciare la cabina per passeggiar sul ponte della nave: da lì volgemmo gli occhi all’Inghilterra e ci trovammo a ricordare insieme mille atroci episodi capitatici nella contesa fra York e Lancàster. Camminavamo in su e in giù a coperta sulle sconnesse plance, quando a un tratto m’è sembrato che Gloucester inciampasse e, cadendo, venisse addosso a me, che mi sforzavo di tenerlo su, e mi sbalzasse via di soprabordo negli agitati flutti dell’oceano. Dio, che pena! Mi parve di annegare. Che pauroso strepito dell’acque sentivo negli orecchi, e innanzi agli occhi e quali orrende immagini di morte! Mi sembrò di vedere intorno a me mille orribili resti di naufragio e uomini a diecine di migliaia dilaniati da squali; e verghe d’oro, ed ancore giganti, e perle a mucchi, pietre rare, gioielli favolosi sparpagliati sul fondo dell’oceano: stavano alcuni dentro a teschi umani incastrati nell’orbite degli occhi dov’erano una volta le pupille, quasi a beffa di queste: gemme lucenti, splendide, occhieggianti di tra il melmoso fondo dell’abisso, parevano schernir l’ossa dei morti sparse all’intorno. |
BRAKENBURY - | Ed aveste tal agio, trovandovi sull’orlo della morte, di contemplar tutti questi segreti delle profondità? |
CLARENZA - | Così m’è parso. Più volte mi sforzai di render l’anima, ma sempre il flutto impediva, maligno, al respiro di uscire e di esalarsi nella libera vastità dell’aria ed era come se la trattenesse soffocata nel mio petto ansimante ch’era quasi sul punto di scoppiare nell’anelito d’eruttarla in mare. |
BRAKENBURY - | E tutta questa angosciante agonia non v’ha svegliato? |
CLARENZA - | Per nulla. Il mio sogno si proiettava al di là della vita. Oh, adesso cominciò per la mia anima la tempesta: passai, così mi parve, la palude della malinconia,(33) con lo scorbutico traghettatore che cantano i poeti, per entrare nel regno della tenebra. Il primo a salutare la mia anima appena giunta là, fu il grande Warwick, il mio suocero illustre, che gridò: “Qual pena per spergiuro potrà assegnare all’infido Clarenza la nera monarchia che regna qui?” Disse e sparì. Mi venne quindi accanto un’ombra erratica in sembianza d’angelo con la chioma lucente insanguinata e levò alto il grido: “Ecco Clarenza, il perfido, spergiuro voltafaccia! Clarenza che m’ha pugnalato a Tewksbury sul campo. Impadronitevi di lui, voi Furie, e trascinatelo al tormento!”(34) A quel punto m’è parso intorno a meualeQ che una legione di schifosi diavoli m’accerchiasse e m’urlasse nelle orecchie sì orrende grida che al loro clamore mi son destato ch’ero tutto un tremito e per un certo tempo non riuscivo a creder di non esser più all’inferno sì violenta era stata l’impressione lasciatami nell’animo dal sogno. |
BRAKENBURY - | Nessuna meraviglia, monsignore, ch’esso v’abbia così terrorizzato: sento venirmi anch’io la pelle d’oca a udirvelo soltanto raccontare. |
CLARENZA - | Ah, Brakenbury! Tutte queste cose che ora gridano contro la mia anima io le ho commesse per amor d’Edoardo, e guarda come me ne ricompensa. O Dio, se le contrite mie preghiere non valgono a placar la tua vendetta e mi vuoi castigar delle mie colpe, sfoga su me soltanto la tua ira, ma risparmia la mia sposa incolpevole e i miei poveri bimbi. Mio cortese custode, stammi accanto: ho il cuore stanco e vorrei riposare. |
BRAKENBURY - | Sì, certo, vostra grazia. Il cielo vi conceda un buon riposo. |
(Clarenza si assopisce) | |
Il dolore fa sovvertire agli uomini le stagioni ed i tempi del riposo; fa giorno della notte, e notte del meriggio. A loro gloria i principi non hanno che i lor titoli, lustro esteriore d’interiore affanno; e spesso per piaceri immaginari soffrono mille triboli: sicché tra i loro titoli gloriosi e un nome oscuro non v’è differenza se non che nell’esterna risonanza. | |
Entrano i due SICARII | |
PRIMO SICARIO - | Oh, c’è nessuno qui? |
BRAKENBURY - | Che vuoi, compare? E come hai fatto ad arrivar fin qui? |
SECONDO SICARIO - | Devo parlare al Duca di Clarenza, e son venuto qui con le mie gambe. |
BRAKENBURY - | Brusco, l’amico! |
SECONDO SICARIO - | Meglio che noioso, signore, a starla a fare troppo lunga. (Al compagno) Mostragli questo, senza tante chiacchiere. (Gli dà il foglio col mandato di Riccardo) |
BRAKENBRURY - | Qui mi si ordina di consegnare in vostre mani il Duca di Clarenza. Io non voglio indagare che cosa possa ciò significare, ché non mi voglio rendere colpevole d’essermene immischiato. Il Duca di Clarenza è là che dorme e queste son le chiavi. Andrò intanto dal re ad informarlo che ho lasciato a voi la mia consegna. |
PRIMO SICARIO - | Saggia pensata. Fatelo, signore. |
(Esce Brakenbury) | |
SECONDO SICARIO - | Che dici, lo pugnalo mentre dorme? |
PRIMO SICARIO - | No, altrimenti poi quando si sveglia dirà ch’è stata un’azione vigliacca.(35) |
SECONDO SICARIO - | Bah, per svegliarsi non si sveglierà che il giorno del Giudizio. |
PRIMO SICARIO - | Va bene, ed anche allora ci dirà che l’abbiam pugnalato che dormiva. |
SECONDO SICARIO - | “Giudizio…” a pronunciar questa parola, m’è venuto una specie di rimorso… |
PRIMO SICARIO - | Che! Hai paura? |
SECONDO SICARIO - | Non già di ammazzarlo, visto che abbiamo a ciò l’ordine espresso, ma di dannarmi per averlo fatto, e per questo non c’è ordine espresso che mi possa servir di copertura. |
PRIMO SICARIO - | E io che t’ho creduto ben deciso… |
SECONDO SICARIO - | Lo sono, sì… a lasciarlo campare. |
PRIMO SICARIO - | Quand’è così, torno dal Duca a dirglielo. |
SECONDO SICARIO - | No, un momento, ti prego; spero che questo umor compassionevole mi passi presto: mi dura di solito il tempo di contare fino a venti. |
PRIMO SICARIO - | (Dopo un po’ di silenzio in cui s’immagina che il Secondo Sicario conti da uno a venti) Come ti senti adesso? |
SECONDO SICARIO - | Alcuni rimasugli di coscienza mi son rimasti dentro… |
PRIMO SICARIO - | Ricòrdati che a ordine eseguito c’è per noi il compenso. |
SECONDO SICARIO - | Sangue di Cristo, è vero! Muoia, muoia! M’ero dimenticato del compenso! |
PRIMO SICARIO - | Dov’è andata la tua coscienza adesso? |
SECONDO SICARIO - | Oh, nella borsa del Duca di Gloucester. |
PRIMO SICARIO - | Dimodoché quand’egli l’aprirà per pagarci il compenso, la coscienza se ne volerà via? |
SECONDO SICARIO - | Che se ne vada, non m’importa niente. Saran certo ben pochi o nessuno che la vorranno in casa. |
PRIMO SICARIO - | E se dovesse ritornarti indietro? |
SECONDO SICARIO - | Di coscienza non voglio più sapere; fa d’un un uomo un codardo. Uno non può rubare, ch’essa non sia là pronta ad accusarti; uno non può imprecare, ch’essa non sia là pronta a rimbeccarti; uno non può giacersi a letto con la moglie del vicino, ch’essa non sia lì pronta a denunciarlo. La coscienza è un compunto spiritello dal volto sempre rosso di pudore, che fa il ribelle nel petto dell’uomo creando all’uomo una massa di ostacoli. Una volta m’ha fatto addirittura riportare una borsa piena d’oro rinvenuta per caso. La coscienza riduce alla mendicità chi l’ospiti; la caccian tutti da città e villaggi come una cosa piena di pericoli; ed ognuno che voglia viver bene cerca di farne a meno e di contare solo su se stesso. |
PRIMO SICARIO - | Perdio, eccola giusto qui al mio fianco che mi vuol persuader di non ucciderlo, il duca. |
SECONDO SICARIO - | E tu non credere a quel diavolo, chiudilo nella mente e tienlo là: lui ti si vuole intrufolare dentro per farti sospirare e niente più. |
PRIMO SICARIO - | Sono di buona tacca; con me non riuscirà ad averla vinta. |
SECONDO SICARIO - | Parli da valentuomo che rispetta la sua reputazione. E dunque forza, ci mettiamo all’opera? |
PRIMO SICARIO - | Tu, con il manico del tuo pugnale, gli affibbi una gran botta sulla zucca, poi lo buttiamo dentro quella botte di malvasia che sta nell’altra stanza. |
SECONDO SICARIO - | Oh, eccellente trovata! E ne facciamo una zuppa nel vino. |
PRIMO SICARIO - | Piano, si sveglia. |
SECONDO SICARIO - | Colpiscilo! |
PRIMO SICARIO - | No, prima ragioniamo un po’ con lui. |
CLARENZA - | (Svegliandosi, senza accorgersi della presenza dei sicari) Custode, dove sei?… Dammi del vino. |
SECONDO SICARIO - | Ne avrete presto più che a sufficienza, di vino, monsignore. |
CLARENZA - | E tu chi sei? |
SECONDO SICARIO - | Un uomo, come voi. |
CLARENZA - | Ma non regale, come sono io. |
PRIMO SICARIO - | Né voi siete leale, come noi.(36) |
CLARENZA - | Tu hai voce di tuono, ma nell’aspetto mi sembri modesto. |
PRIMO SICARIO - | La mia voce è del re,(37) l’aspetto è mio. |
CLARENZA - | Come scuro, funereo parli tu! I tuoi occhi mi sono minacciosi; perché sei così pallido? Chi v’ha mandati? Perché siete qui? |
I DUE - | Per… per… |
CLARENZA - | Assassinarmi?… |
I DUE - | Per l’appunto. |
CLARENZA - | Avete appena il coraggio di dirlo; non avrete perciò quello di farlo. In che cosa v’ho offeso, amici miei? |
PRIMO SICARIO - | Non noi, ma il re avete voi offeso. |
CLARENZA - | Con lui vedrò di rappacificarmi. |
PRIMO SICARIO - | Questo mai lo potrete, monsignore. E perciò preparatevi a morire. |
CLARENZA - | E ha scelto voi, fra tanti uomini al mondo, per far assassinare un innocente? Di che sono accusato? E su che prove? Quale inchiesta, condotta legalmente, ha messo in mano ad un arcigno giudice il suo verdetto? Chi ha decretato amara morte al misero Clarenza? È procedura del tutto illegale minacciarmi di pena capitale prima di sottopormi ad un processo. Io, per il sangue prezioso di Cristo, e per la redenzione in cui sperate, v’ingiungo di lasciare questo luogo senza alzare su me nemmeno un dito! L’atto che avete in animo di compiere vi condurrebbe a dannazione certa. |
PRIMO SICARIO - | Facciamo quanto ci è stato ordinato. |
SECONDO SICARIO - | E chi ce l’ha ordinato è il nostro re. |
CLARENZA - | O erronei vassalli! Il Re dei re nelle tavole dei Comandamenti ha scritto. “Non commettere omicidio!” Violereste il precetto del Signore per obbedire all’ordine d’un uomo? Attenti! Ch’egli ha in mano la vendetta da scagliare sul capo di coloro che ardiscono violare la Sua legge. |
SECONDO SICARIO - | E quella Egli ora scaglia su di te, spergiuro traditore ed assassino. Tu giurasti, prendendo il sacramento, di combattere per la casa Lancaster. |
PRIMO SICARIO - | Ma traditore a Dio, hai infranto quel sacro giuramento e infitto la tua lama traditrice nelle budella del figlio del re… |
SECONDO SICARIO - | … che giurasti di amare e di difendere. |
PRIMO SICARIO - | Come puoi invocare su di noi l’inesorabile legge di Dio, quando tu stesso l’hai sì gravemente violata? |
CLARENZA - | Ahimè, per amore di chi ho io commesso quell’atto malvagio? L’ho fatto per Edoardo, mio fratello. Non può mandarvi a uccidermi per questo, giacché di quel delitto è non meno di me lui responsabile. Se Dio vuol castigare questa colpa, oh, lo farà, sappiatelo!, in palese; non togliete dal suo braccio potente la causa del castigo; a Lui non serve di agire in modo subdolo e indiretto per togliere dal mondo chi l’ha offeso. |
PRIMO SICARIO - | Chi ti fece strumento sanguinario, allora, quando trafiggesti a morte quel gagliardo germoglio, il valoroso giovine principe Plantageneto? |
CLARENZA - | L’amor per mio fratello, il diavolo e il rabbioso mio furore. |
PRIMO SICARIO - | L’amor per tuo fratello, ora, il nostro dovere e le tue colpe conducono noi qui per ammazzarti. |
CLARENZA - | Oh, se davvero amate mio fratello, non odiatemi; sono suo fratello, e l’amo molto. Se siete assoldati per guadagno, tornatevene indietro: vi manderò da mio fratello Gloucester che son sicuro vi compenserà per la mia vita, meglio che Edoardo per l’annuncio di avermi dato morte. |
SECONDO SICARIO - | In questo v’ingannate: vostro fratello Gloucester vi detesta. |
CLARENZA - | Oh, no, mi vuole bene, e mi tien caro. Andate pur da lui, da parte mia. |
PRIMO SICARIO - | Per andarci, ci andremo. |
CLARENZA - | E ricordategli che quando il nostro augusto padre York benedisse col suo braccio glorioso i suoi tre figli e dal fondo dell’anima ci comandò di amarci l’un con l’altro, era ben lungi dall’immaginare questa nostra divisa fratellanza: dite a Gloucester di ripensare a questo, e lo vedrete piangere. |
PRIMO SICARIO - | Sì, macine, come quelle che ha consigliate a noi. |
CLARENZA - | Oh, non lo calunniate! Egli è gentile. |
PRIMO SICARIO - | Sì, come la gelata sul raccolto! Insomma, via, non vi fate illusioni: è lui che ci ha mandato qui a sopprimervi. |
CLARENZA - | Non può essere. Ha pianto alla mia sorte, m’ha stretto fra le braccia mentre mi ripeteva singhiozzando, che avrebbe fatto tutto il suo possibile per ottener la mia liberazione. |
PRIMO SICARIO - | Ed è quello che fa ora col mandar noi a liberarvi da questa vostra schiavitù terrena, per le gioie del cielo. |
SECONDO SICARIO - | Riconciliatevi perciò con Dio, perché dovete morire, signore. |
CLARENZA - | E voi che in fondo all’anima accogliete un sì sacro sentimento da consigliarmi a far pace con Dio, avreste l’anima tanto accecata da fare guerra a Dio, assassinandomi? Amici, riflettete: chi v’ha indotto a commettere quest’atto, v’odierà poi per averlo commesso. |
SECONDO SICARIO - | E che dobbiamo fare? |
CLARENZA - | Commuovervi, cedendo alla pietà, e salvare così le vostre anime. |
PRIMO SICARIO - | Commuoverci? È da vili, da femminucce, no! |
CLARENZA - | E non aprirsi alla pietà è da bestie, da selvaggi, da diavoli d’inferno. Chi di voi due, essendo figlio a un principe e privato della sua libertà, com’io adesso, se due assassini gli venissero avanti come voi, non li supplicherebbe per avere salva la vita? Sì, li implorereste, se vi trovaste nelle mie strettezze. (Al secondo sicario) Oh, amico, nel tuo sguardo mi par di scorgere un po’ di pietà: se il tuo occhio non è un adulatore bugiardo, mettiti dalla mia parte e supplica per me: d’un principe che chiede l’elemosina quale mendico non avrà pietà? |
SECONDO SICARIO - | Guardatevi alle spalle, monsignore! |
PRIMO SICARIO - | (Pugnalandolo) Toh, questo!… E questo!… E questo!… E se non bastano, ti annegherò nella botte di malvasia di là. |
(Esce col corpo di Clarenza a spalla) | |
SECONDO SICARIO - | Azione sanguinaria, e disperatamente consumata. Come vorrei poter, come Pilato, lavarmi ambo le mani, da questo nefandissimo assassinio! |
(Rientra il Primo Sicario) | |
PRIMO SICARIO - | Allora? Che significa? Perché non ti sei mosso a darmi mano? Perdio, il Duca lo dovrà sapere da me quale fiaccone tu sei stato! |
SECONDO SICARIO - | Potesse il Duca sapere da te che ho salvato la vita a suo fratello!… Prenditi pure tu tutto il compenso, e riportagli quello che ti ho detto. Io son pentito di questo assassinio. |
(Esce) | |
PRIMO SICARIO - | Io no. Va’, va’, vigliacco!… Beh, ora vado a nascondere il corpo in qualche buco fin che venga il Duca a dare l’ordine di sepoltura. E una volta intascato il mio compenso, me la squaglio: perché questa faccenda si scoprirà, e conviene stare al largo. |
(Esce) |
ATTO SECONDO
SCENA I - Londra, sala nel palazzo reale.
Entrano RE EDOARDO, sofferente, sorretto da HASTINGS; la regina ELISABETTA,
DORSET, RIVERS, BUCKINGHAM, GREY e altri.
EDOARDO - | E così tutto a posto: una giornata bene impiegata. Ora a voi, miei Pari, di mantenere stretta questa unione. a mantenervi in unità e concordia. Io m’aspetto oramai da un giorno all’altro un messaggio dal nostro Redentore che venga a liberarmi da quaggiù; e salirà tanto più in pace in cielo l’anima mia, se in pace avrò lasciato i miei amici in terra. Rivers e Hastings, datevi la mano; non nascondete in voi sordi rancori: giurate di volervi sempre bene. |
RIVERS - | (Offrendo la destra a Hastings che la stringe) Giuro che la mia anima è purgata da odio e da rancore; ed io suggello con questa mia mano l’affetto più leale del mio cuore. |
HASTINGS - | Così possa venirmi tanto bene, com’io giuro la stessa lealtà. |
EDOARDO - | Badate a non parlar solo per gioco davanti al vostro re, che non abbia il Supremo Re dei re a castigare la vostra finzione e a fare che ciascuno di voi due sia la fine dell’altro. |
HASTINGS - | Quanto a me, così m’arrida una benigna sorte per quanto è schietto l’amore che giuro. |
RIVERS - | E così arrida a me, per quanto schietto è il mio cuore con Hastings. |
EDOARDO - | (Alla regina) Né siete voi, madama, dispensata da questo impegno, né voi, figlio Dorset,(38); né voi, Buckingham: siete stati tutti faziosi l’uno contro l’altro. Moglie, vogliate bene ad Hastings, porgetegli la mano da baciare, ma che non sia finzione ciò che fate. |
ELISABETTA - | (Porgendo la mano ad Hastings) Ecco, Hastings; e voglia così il cielo far prosperare me e i miei parenti com’io vorrò dimenticar per sempre il nostro odio trascorso. |
EDOARDO - | Abbracciatelo, Dorset; e voi, Hastings, vogliate bene a questo lord marchese. |
DORSET - | Dichiaro per mia parte che questo patto d’amore reciproco non sarà mai violato. |
HASTINGS - | E così io. |
(Si abbracciano) | |
EDOARDO - | Ed ora tu, nobilissimo Buckingham, suggella questo patto di alleanza abbracciando i parenti di mia moglie, ed allietatemi di tal concordia. |
BUCKINGHAM - | (Alla regina) Se sarà mai, che Buckingham, signora, rivolga il proprio odio a vostra grazia, s’egli non amerà voi ed i vostri col più sincero e doveroso affetto, Dio mi punisca facendo rivolgere su di me l’odio di tutti coloro da cui più aspetto e specialmente amore; e quando avrò maggior necessità d’un amico del quale io sia sicuro,(39) questi mi si riveli infido, falso, traditore e imbottito di perfidia. Questo invoco da Dio, o mia regina, se mai dovesse intiepidirsi in me l’affetto verso voi e i vostri cari. |
(L’abbraccia) | |
EDOARDO - | Benefico cordiale, illustre Buckingham, è questo tuo solenne giuramento per l’infermo mio cuore. Ora non manca che l’intervento del fratello nostro Gloucester, a chiudere felicemente il cerchio di codesta fausta pace. |
Entra RICCARDO(40) | |
Ma eccolo che viene, ed in buon punto. | |
RICCARDO - | Buon giorno ai miei sovrani, re e regina, e a tutti voi, nobilissimi Pari, felice giorno. |
EDOARDO - | Felice davvero, pel modo come noi l’abbiamo speso. Abbiam compiuto, Gloucester, buone azioni, riconducendo in pace inimicizie, in amore reciproco vecchi odii, fra questi Pari sempre tra di loro ingiustamente gonfi di rancore. |
RICCARDO - | Sacrosanta fatica, mio sovrano ed augusto signore. Quanto a me, se alcuno in questa nobile congrega, sulla base di falsa informazione o d’erroneo suo convincimento, mi creda suo nemico; o se io stesso, inconsapevolmente, o in un momento d’ira, abbia commesso cosa mal sopportata, io qui con lui desidero riconciliarmi e stringere amichevole pace; ché per me stare in inimicizia con qualcuno è la morte, è qualcosa che aborrisco; io bramo vivere in amicizia con tutti i buoni. (Alla regina) Anzitutto da voi, madama, impetro una pace sincera, che spero di sapermi guadagnare coi miei servigi di devoto suddito; da voi, mio nobile cugino Buckingham, se mai albergò astio tra noi due; da voi, lord Rivers e da voi lord Grey, che finora m’avete riguardato, senza giusta ragione, con cipiglio e da voi tutti, duchi, conti, nobili e gentiluomini: proprio da tutti. Non conosco nessun Inglese vivo col quale la mia anima sia in urto più di quanto lo sia con un infante che sia nato stanotte. E di tanta umiltà ringrazio Dio. |
ELISABETTA - | Sia per noi questo giorno, d’ora innanzi, giorno di festa; e voglia Dio che tutte le discordie sian composte. Mio sovrano signore, vostra altezza voglia, vi supplico, di nuovo accogliere nelle sue grazie il fratello Clarenza. |
RICCARDO - | Madama, avrei io qui poc’anzi offerto un tesoro di buoni sentimenti per vedermi così da voi schernito davanti a questa reale presenza? Chi non lo sa che il nobil duca è morto? |
RIVERS - | “Chi non lo sa che è morto”… C’è qualcuno qui dentro che lo sa? |
ELISABETTA - | O Dio che tutto vedi, che mondo è questo? |
BUCKINGHAM - | Sono anch’io, lord Dorset, pallido in viso come tutti gli altri? |
DORSET - | Sì, monsignore; e non c’è tra i presenti chi non abbia le guance scolorite.(41) |
EDOARDO - | Come! Morto Clarenza? Ma quell’ordine era stato da me poi revocato! |
RICCARDO - | Ma egli è morto, pace alla sua anima, per il primo dei vostri ordini, e quello lo recò al carcere un Mercurio alato,(42) mentre a recare là la vostra revoca è stato qualche tardigrado storpio, giusto in tempo a vederlo seppellire. Dio non voglia che altri, di meno nobiltà e lealtà, e più prossimo a lui non che per sangue per pensieri di sangue su di lui, meriti peggio di quanto è toccato al povero Clarenza, e ciò malgrado circoli franco da ogni sospetto. |
Entra STANLEY, conte di Derby, va davanti a re e s’inginocchia | |
STANLEY - | Mio sovrano, una grazia, in nome dei servizi che v’ho reso! |
EDOARDO - | Taci, ti prego; ho l’anima in gran pena. |
STANLEY - | Non mi rialzerò finché l’altezza vostra non m’ascolti. |
EDOARDO - | Parla, allora, ma subito. Che chiedi? |
STANLEY - | La grazia, mio sovrano, della vita di uno dei miei servi che oggi ha ucciso in rissa un gentiluomo già al seguito del Duca di Norfolk. |
EDOARDO - | Ed io dovrei, con questa stessa lingua che ha condannato a morte mio fratello, pronunciare la grazia ad uno schiavo? Quel mio fratello non aveva ucciso; sua colpa era soltanto il suo pensiero, e il suo castigo è stato nondimeno una morte crudele. Chi ha intercesso per lui presso di me? Chi è venuto, durante la mia collera, a gettarsi ai miei piedi e ad esortarmi a più mite consiglio? Chi a parlarmi d’amore e fratellanza? Chi a ricordarmi che la pover’anima aveva disertato il grande Warwick per venire a combattere al mio fianco?(43) Chi a ricordarmi che sul campo, a Tewksbury quando Oxford m’aveva già abbattuto, egli solo era accorso in mio aiuto gridandomi: “Fratello, vivi e regna!”? Chi a ricordarmi di quell’altra volta, che, al campo, stesi a terra tutti e due rischiando di morire assiderati, egli m’avviluppò nei suoi vestiti, incurante di esporsi, nudo e fragile, all’agghiacciante freddo della notte? Tutto questo una collera bestiale m’aveva delittuosamente tolto dalla memoria, e non ci fu tra voi uno che si degnasse rammentarmelo. Ma se uno dei vostri carrettieri o dei vassalli della vostra casa ha commesso, ubriaco, un omicidio, e sfigurato la preziosa immagine del nostro Redentore, eccovi subito qui inginocchiati ad implorare: “Grazia, grazia!”, ed io, se pure ingiustamente, ad accordarla. Ma per quel mio fratello, nessuno volle spendere parola, né io, spietato, ne spesi a me stesso in suo favore, sventurata anima! |
I più orgogliosi tra voi hanno avuto un qualche debito di gratitudine con lui, mentr’era in vita, ma nessuno è venuto da me ad impetrare grazia per la sua vita! Dio Signore, la Tua giustizia, temo, chiederà per questo un duro conto a me, a voi, ai miei parenti, ai vostri… Andiamo Hastings, sorreggimi fino al mio gabinetto. Mio povero Clarenza!… | |
(Escono Re Edoardo sorretto da Hastings, Elisabetta, Rivers, Dorset e Grey) | |
RICCARDO - | Ecco i frutti dell’impetuosità: non avete notato qual pallore nei volti dei colpevoli parenti della regina, quando hanno sentito l’annuncio della morte di Clarenza? Oh, l’han voluta loro quella morte, continuamente istigandovi il re. Dio ne farà vendetta. Andiamo adesso a confortare Edoardo, signori, con la nostra compagnia. |
BUCKINGHAM - | Seguiamo vostra grazia. |
(Escono tutti) |
SCENA II - Londra, altra sala nel palazzo reale.
Entra la vecchia DUCHESSA DI YORK con i due BIMBI,
maschio e femmina, figli di Clarenza.
BIMBO - | Nonnina, nostro padre è morto, vero? |
DUCHESSA - | Ma no, bambino mio. |
BIMBA - | Perché allora stai sempre a piangere, e a batterti il petto, e a gridare: “Oh, Clarenza, povero figlio mio?” |
BIMBO - | Perché allora ci guardi e scuoti il capo, e dici: “Poveri orfanelli miei?”, se poi dici che nostro padre è vivo? |
DUCHESSA - | Cari miei nipotini, tutti e due mi fraintendete: io piango e mi lamento per la presente malattia del re, perché non vorrei perderlo; non piango per vostro padre; è dolore sprecato piangere per qualcuno che è perduto. |
BIMBO - | Allora, nonna, con ciò vieni a dire ch’egli è morto; e di questo ci ha la colpa il re mio zio. Ma Dio farà vendetta, ed io non cesserò d’importunarlo a questo con ardenti mie preghiere. |
BIMBA - | E così io. |
DUCHESSA - | Bambini, buoni, zitti: il re vi vuole certamente bene. Siete troppo inesperti ed innocenti perché possiate indovinar chi è stato causa della morte di vostro padre. |
BIMBO - | Sì, che possiamo, nonna: il buon zio Gloucester m’ha lui detto che il re, a ciò istigato dalla sua regina, ha macchinato delle false accuse per farlo imprigionare; e nel dir questo mio zio piangeva e mi commiserava, e mi diceva povero bambino, e m’ha anche baciato sulla guancia. E poi m’ha detto di pensare a lui come a mio padre, che m’avrebbe amato come se fossi stato figlio suo. |
DUCHESSA - | Ah, che l’Inganno debba mascherarsi di frodo sotto sì gentile forma, ed il Vizio più nero travestirsi in sì virtuosa foggia! È figlio mio, purtroppo, a mia vergogna, seppur non ha succhiato dal mio seno tanta perfidia. |
BIMBO - | Pensi allora, nonna, che lo zio simulasse? |
DUCHESSA - | Sì, bambino. |
BIMBO - | Non lo credo… Ma che clamore è questo? |
Entra, gemendo scarmigliata, la regina ELISABETTA; la seguono RIVERS e DORSET | |
ELISABETTA - | Ah, chi m’impedirà, povera me, di lamentarmi e piangere e imprecare alla mia malasorte, e infliggermi da me tutti i tormenti?… Voglio allearmi alla disperazione contro l’anima mia, e diventar nemica di me stessa! |
DUCHESSA - | Che significa adesso questa scena d’incivile scomposta intemperanza? |
ELISABETTA - | È la scena finale di un atto(44) di mortifera violenza: Edoardo, il mio signore, il figlio tuo, il nostro re, è morto!… Oh, perché i rami seguitano a crescere, se la radice dell’albero è morta? Perché non avvizziscono le foglie, se non ricevon più linfa dal tronco? Chi vuol vivere, pianga; chi vuol morire, muoia, e che sia subito, sì che l’anime nostre a volo d’ala raggiungano l’anima del re, e da obbedienti sudditi la seguano nel nuovo regno dell’eterna notte. |
DUCHESSA - | Io prendo tanta parte al tuo dolore per quanti titoli potei vantare sul tuo nobile sposo.(45) Anch’io ho pianto la morte, come te, d’un degno sposo, e m’ha tenuto in vita poterne contemplare nei suoi figli riflessa la sua immagine vivente. Ma la maligna sorte ha frantumato quei due specchi del suo regal sembiante; e non mi resta, ad unico conforto, che uno specchio di vetro che mi provoca solo altra tristezza nel vedervi riflesso il mio squallore. Tu sei vedova ora, ma sei madre, e ti rimane il conforto dei figli: la morte a me ha strappato dalle braccia il marito, ed ha tolto dalle mani, queste deboli mani, le mie grucce, Clarenza ed Edoardo. Oh, quante più ragioni non ho io di soverchiar coi miei i tuoi lamenti, le tue con le mie grida, il tuo dolore essendo solo la metà del mio! |
BIMBO - | (A Elisabetta) Ah, zia, tu non hai pianto per la morte di nostro padre; e noi come possiamo unirci alle tue lacrime con le lacrime nostre di nipoti? |
BIMBA - | Il nostro smarrimento di orfanelli è rimasto da te incommiserato, resti perciò da noi illacrimato il tuo duolo di vedova. |
ELISABETTA - | Non chiedo aiuto di lamentazioni; non sono sterile dal partorire sospiri e lacrime; tutte le fonti versino nei miei occhi il loro flusso, ch’io, dall’umida luna governata, possa a mia volta versar tante lacrime da sommergere il mondo… Ah, mio signore, Edoardo, mio diletto! |
I DUE BIMBI - | Ah, padre nostro, nostro amato Clarenza! |
DUCHESSA - | Ah, l’uno e l’altro, il mio Edoardo ed il mio Clarenza! |
ELISABETTA - | Qual sostegno, all’infuori di Edoardo, noi avevamo? Ed ora non c’è più. |
I DUE BIMBI - | Qual sostegno, all’infuori di Clarenza, noi avevamo? Ed ora non c’è più. |
DUCHESSA - | Quali sostegni, fuor di loro due, avevo io? E non ci sono più. |
ELISABETTA - | Mai vedova soffrì più grave perdita. |
I DUE BIMBI - | Mai soffrirono due orfanelli più grave perdita. |
DUCHESSA - | Mai soffrì madre più grave perdita. Io son la madre, di tutti questi lutti; i lor dolori sono ripartiti, il mio li abbraccia tutti. Ella piange un Edoardo, ed io lo stesso; ma io piango un Clarenza, ed ella no; Clarenza è pianto da questi bambini, ed io piango Clarenza insieme a loro, ma io piango Edoardo, e loro no. Ahimè, voi riversate tutti insieme sovra di me, tre volte addolorata, le lacrime di tutti gli occhi vostri. Son la nutrice del vostro dolore, e ve lo nutrirò coi miei lamenti. |
DORSET - | Coraggio, madre: spiace molto a Dio chi riceve con tanta malagrazia quello ch’Egli ci manda. In questo mondo noi chiamiamo ingrato chi ripaga di malavoglia un debito che largito gli fu graziosamente da mano generosa; tanto più ingrato chi si oppone a Dio quando Egli chieda la restituzione del regal prestito che ci ha largito.(46) |
RIVERS - | Signora, adesso, da madre amorosa, pensate al principino vostro figlio. Fatelo venir qui senz’altro indugio,(47) perché sia senza indugio incoronato; in lui vive il conforto di noi tutti. Seppellite il dolore disperato nella tomba dell’Edoardo morto, e piantate le gioie di domani sopra il trono dell’Edoardo vivo. |
Entrano RICCARDO, BUCHINGHAM, STANLEY, HASTINGS e RATCLIFF | |
RICCARDO - | Cognata, fate cuore; abbiam tutti motivo di compiangere lo spegnersi del nostro fulgido astro, ma nessuno rimedia ai propri mali con il piangersi sopra. (Alla Duchessa) Oh, madama mia madre, perdonatemi, non vi avevo notata, vostra grazia! Umilmente in ginocchio, v’imploro di volermi benedire. |
(S’inginocchia. La Duchessa gli pone una mano sul capo) | |
DUCHESSA - | Che Dio ti benedica, nel tuo cuore e infonda nel tuo cuore mansuetudine, umiltà, amore, carità, obbedienza e fedeltà al dovere. |
RICCARDO - | Così sia. (A parte, rialzandosi) … e mi dia buona morte a tarda età: questa è la rituale conclusione della benedizione d’una madre. Chi sa perché se l’è dimenticata… |
BUCKINGHAM - | Voi, principi, che siete scuri in volto, e voi, Pari, che avete il cuore in doglio, e che portate insieme il grave carico di questo lutto, trovi ora conforto ciascun di voi nell’affetto dell’altro. Benché il nostro raccolto con questo re sia stato consumato, ora ci resta da far maturare quello del figlio. L’astioso bubbone dei vostri cuori traboccanti d’odio testé inciso, sanato e ricomposto, deve ora nobilmente esser protetto e accudito, che non si formi più… Sarebbe conveniente, a mio giudizio, che con piccola scorta il giovin principe sia prelevato subito da Ludlow e ricondotto a Londra per esser qui incoronato re. |
RIVERS - | Perché “con piccola scorta”, Lord Buckingham? |
BUCKINGHAM - | Eh, mio signore, perché se son molti non s’abbia a riaprire la ferita, testé rimarginata, del rancore; ciò che sarebbe tanto più nefasto quanto più giovane e ingovernato è il nostro Stato. Dove ogni cavallo dispone della briglia a suo talento e può correre dove più gli aggrada, occorre prevenire, a mio giudizio, tanto il male futuro che il presente, già in atto e manifesto. |
RICCARDO - | La mia speranza è che il patto di pace fra tutti noi dal re patrocinato, sia saldo e fermo in tutti, com’è in me. |
RIVERS - | E in me, e così credo in tutti noi. Tuttavia, poiché esso è ancora verde, sarebbe bene non venisse esposto al pericolo d’essere violato; il che potrebbe esser favorito dalla presenza di una grossa scorta. Perciò concordo col nobile Buckingham sull’opportunità di dare al principe, nel prelevarlo, una piccola scorta. |
HASTINGS - | Sono d’accordo anch’io. |
RICCARDO - | Come volete. Andiamo allora a designare insieme chi si dovrà recar subito a Ludlow. Signora madre, e voi, cara cognata, non vorreste venire a consigliarci in questa scelta? |
ELISABETTA e DUCHESSA - | Molto volentieri. |
(Escono tutti meno Buckingham e Gloucester) | |
BUCKINGHAM - | Monsignore, per carità di Dio, chiunque debba andare incontro al principe, noi due non s’ha da rimanere a casa. Perché lungo la strada, io, come prologo a tutta la faccenda di cui abbiam parlato ultimamente, farò in modo di allontanar dal principe i parenti della regina. |
RICCARDO - | O Buckingham! O tu altro me stesso! O concistoro dei miei pensieri, oracolo, profeta, caro cugino! Mi farò guidare da te per mano, come un fanciullino. A Ludlow! noi indietro non si resta! |
(Escono) |
SCENA III - Londra, una strada.
Entrano, incontrandosi, DUE CITTADINI, uno quasi correndo.
PRIMO CITTADINO - | Buongiorno, vicinante! Che cos’è che vi chiama in tanta fretta? |
SECONDO CITTADINO - | Nemmeno io lo so, ve lo confesso.(48) Avete udito la grande notizia? |
PRIMO CITTADINO - | Che il re è morto? Sì. |
SECONDO CITTADINO - | Brutta notizia, per la Vergine Santa! È sempre raro che segua il meglio.(49) Si sta preparando, ho gran paura, un mondo squinternato. |
Entra un TERZO CITTADINO | |
TERZO CITTADINO - | Che Dio vi mandi salute, vicini! |
PRIMO CITTADINO - | E mandi a voi un buon giorno, signore. |
TERZO CITTADINO - | È vera la notizia della morte del buon re Edoardo? |
SECONDO CITTADINO - | Vera, sì, purtroppo; e Dio ci aiuti. |
TERZO CITTADINO - | Allora, prepariamoci, maestri, a vivere in un mondo turbolento. |
PRIMO CITTADINO - | No, non lo credo; per grazia di Dio, c’è suo figlio a regnare. |
TERZO CITTADINO - | Misera quella terra il cui governo si trova nelle mani di un bambino. |
SECONDO CITTADINO - | Una speranza di governo c’è comunque in lui: nella minore età attraverso il Consiglio di reggenza, e, quando avrà egli stesso maturato la sua età, governerà da solo, e governerà bene, senza dubbio. |
PRIMO CITTADINO - | Così venne a trovarsi il nostro Stato, quando, in età di nove mesi appena, fu incoronato re Enrico VI, a Parigi.(50) |
TERZO CITTADINO - | Così? No, no, signori, e lo sa Dio; ché allora questa terra era famosa per la sua abbondanza di gravi ed avveduti consiglieri di politica; e il re teneva al fianco zii virtuosi a proteggere sua grazia. |
PRIMO CITTADINO - | Eh, quanto a zii, anche questo ce n’ha, sia da parte di padre che di madre. |
TERZO CITTADINO - | Meglio sarebbe se li avesse tutti dalla parte del padre, o che dal padre non ne avesse punto: perché adesso la gelosia tra loro a chi più sta più vicino al giovin re ci toccherà fin troppo da vicino tutti quanti, se Dio non lo previene. Ah, che grosso pericolo per questo è quel Duca di Gloucester! E che boria e arroganza hanno i parenti della regina, suoi figli e fratelli! Se costoro, non che stare al governo, fossero governati, questa terra da malata che è, ritornerebbe ad essere in salute come prima. |
PRIMO CITTADINO - | Via, via, che noi temiamo sempre il peggio! Tutto sarà per bene. |
TERZO CITTADINO - | Quando compaiono nubi di pioggia, i saggi indossano la palandrana; quando cadono le più grosse foglie, l’inverno è là; quando tramonta il sole chi non s’aspetta il buio della notte? I temporali fuori di stagione di solito prometton carestia. Tutto potrà andar bene; ma se è vero che Dio ha decretato sia così, sarà pur più di quanto meritiamo, o di quanto io possa prevedere. |
SECONDO CITTADINO - | Però la gente è piena di paura, in cuor suo; e non c’è quasi persona con cui si parli, che non si dimostri tutta preoccupata e impaurita. |
TERZO CITTADINO - | Sempre è stato così, alla vigilia di rivolgimenti. La gente avverte, per divino istinto, nell’intimo, il pericolo imminente, così come vediamo, nel palese, bollir l’onda del mare prima d’una burrasca fragorosa. Ma lasciamo ogni cosa in mano a Dio… Dove stavate andando? |
SECONDO CITTADINO - | In tribunale. Siamo stati citati avanti ai giudici. |
TERZO CITTADINO - | E così io. |
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