Vi terrò compagnia.

(Escono)

 

 

 

SCENA IV - Londra, sala nel palazzo reale.

 

ENTRANO l’ARCIVESCOVO DI YORK, IL GIOVANE DUCA DI YORK,

LA REGINA ELISABETTA, E LA DUCHESSA DI YORK.

 

ARCIVESCOVO -

La scorsa notte, da quanto ho saputo,

ha fatto sosta presso Stony-Stratford;

e questa notte dormirà a Northampton;

saranno qui domani o doman l’altro.

DUCHESSA -

Bramo con tutta l’anima

di rivedere il principino Edoardo;

sarà molto cresciuto, come penso,

da quell’ultima volta che l’ho visto.

ELISABETTA -

Mi si dice di no; mio figlio qui

pare che l’abbia quasi superato

nella crescita.

YORK -

Sì, mamma, è così,

ma vorrei che non fosse.

DUCHESSA -

E perché mai,

caro nipote mio? È bello crescere.

YORK -

Nonna, una sera ch’eravamo a cena,

lo zio Rivers, parlando allo zio Gloucester,

appunto gli diceva come io

crescessi meglio che non mio fratello,

e quello gli rispose:

“Già, l’erbe piccole hanno bellezza;

le grosse erbacce crescono più presto.”

E da allora ho pensato ch’era male

per me crescere tanto prestamente,

perché i bei fiori vengono su lenti,

le erbacce crescono in fretta.

DUCHESSA -

Alla faccia!

Però la massima non s’è avverata

in colui che l’ha adattata a te!

Perché quand’era piccolo, tuo zio

era la più striminzita creatura,

così stenta e tardiva nel suo crescere

che se mai quel suo detto fosse vero,

oggi sarebbe un fiore di bellezza.

ARCIVESCOVO -

E tale è senza dubbio, mia signora.

DUCHESSA -

Vorrei bene sperarlo anch’io, signore;

ma lasciate alle madri i loro dubbi…

YORK -

Ah, se di ciò mi fossi ricordato

in quel momento, gliel’avrei suonata

a sua grazia mio zio una stoccata

sopra il suo crescere, ben più sonora

di quella da lui data sopra il mio!

DUCHESSA -

E che gli avresti detto,

piccolo York? Sentiamolo, ti prego.

YORK -

Diamine, dicon tutti che mio zio

è cresciuto così rapidamente

che già due ore dopo essere nato,

si sgranocchiava una crosta di pane,

e a me ci sono occorsi ben due anni

prima che mi spuntasse il primo dente.

Penso sarebbe stato questo, nonna,

un frizzo ben mordace, non ti pare?

DUCHESSA -

Chi te l’ha raccontato, tesoruccio?

YORK -

La sua nutrice, nonna.

DUCHESSA -

La nutrice?…

Ma è morta che non eri ancora nato.

YORK -

Me l’avrà detta allora qualcun altro.

ELISABETTA -

Che bambino terribile!… Va’, va’

malizioso!

DUCHESSA -

Buona signora, no,

non siate sì severa col ragazzo!

ELISABETTA -

Le pareti hanno orecchi in questa casa.

Entra un MESSO

ARCIVESCOVO -

Un messaggero. Che notizie porti?

MESSO -

Ah, tali, monsignore,

che a riferirle mi fa male al cuore.

ELISABETTA -

Il principe sta bene?

MESSO -

Lui sì, signora, in ottima salute.

DUCHESSA -

E allora, quali son le tue notizie?

MESSO -

Lord Rivers e lord Grey spediti a Pomfret,(51)

e con loro lord Vaughan, in prigione.

DUCHESSA -

Per ordine di chi?

MESSO -

Per ordine dei due potenti duchi

di Gloucester e di Buckingham, signora.

DUCHESSA -

E la ragione?

MESSO -

Vostra grazia, io

v’ho riportato quello che sapevo;

del resto non so nulla.

ELISABETTA -

Oh, me meschina! Vedo la rovina

della mia casa! La tigre ha ghermito

coi suoi artigli il tenero cerbiatto.

La bieca tirannia comincia ora

ad allungar le mani sopra un trono

innocente e incapace di difendersi;

vedo, come segnata su una mappa,

la nostra fine.

DUCHESSA -

Giorni maledetti,

tormentose continue discordie!

Quanti di voi hanno visto i miei occhi!

Mio marito, per ottenere il trono,

ha perduto la vita; i figli miei,

tante volte innalzati e ricaduti,

sono stati per me lacrime e gioie

nell’alternanza delle lor fortune;

e una volta assestati, vincitori,

si fan tra loro guerra,

da fratello a fratello, sangue a sangue,(52)

da sé a se stessi!… O insensata discordia,

smetti questa dannata tua violenza,

o ch’io muoia, Signore,

per mai più rivedere questa terra!

ELISABETTA -

Vieni, ragazzo mio, vieni con me;

andiamo a rifugiarci al santuario.(53)

Addio, signora.

DUCHESSA -

Aspetta, vengo anch’io.

ELISABETTA -

Perché? Voi non ne avete alcun motivo.

ARCIVESCOVO -

Andateci anche voi, sì, vostra grazia,

e raccogliete là le vostre robe

ed il vostro tesoro.

(A Elisabetta)

Per parte mia, graziosa mia signora,

io riconsegnerò in vostre mani

il sigillo di cui sono custode;(54)

e mi riservi Iddio lo stesso bene

ch’io auspico per voi e per i vostri.

V’accompagno al santuario. Incamminiamoci.

(Escono)

 

 

ATTO TERZO

 

SCENA I - Londra, una strada.

 

Trombe. Entrano il giovane principe EDOARDO, i duchi RICCARDO DI GLOUCESTER e BUCKINGHAM; poi CATESBY, il CARDINALE BOURCHIER e altri

 

BUCKINGHAM -

Benvenuto, bel principe, a Londra,

la vostra capitale.

RICCARDO -

Benvenuto tra noi, caro cugino,

signor dei miei pensieri.

La fatica del viaggio v’ha stancato,

e reso triste, vedo.

EDOARDO -

Non il viaggio,

ma le contrarietà del viaggio, zio,

me l’han reso tedioso, e faticoso;

e avrei voluto fossero più zii

ad accogliermi qui.(55)

RICCARDO -

Mio dolce principe

la candida innocenza dei vostri anni

non s’è ancor tuffata nelle insidie

ingannevoli della società,

né sa ancora distinguere, in un uomo,

altro che l’esteriore sua apparenza,

la quale, Dio lo sa, di rado o mai

s’accorda col colore del suo animo.

Gli zii di cui sentite la mancanza

son persone malfide; vostra grazia

prestò sempre un orecchio compiaciuto

alle loro parole zuccherate,

senza mai avvedersi del veleno

ch’essi avevano in cuore.

Dio vi voglia proteggere da loro,

e da falsi parenti come loro.

EDOARDO -

Dio mi protegga da parenti falsi…

ma quelli non lo erano. Lo so.

Entra il LORD MAYOR di Londra con seguito

RICCARDO -

Il sindaco di Londra, mio signore,

viene a rendervi omaggio.

LORD MAYOR -

Dio salvi vostra grazia,

e vi conceda salute e letizia.

EDOARDO -

Grazie, mio buon signore, e grazie a tutti.

In verità, mi sarei aspettato

che mia madre con mio fratello York,

mi fossero venuti ad incontrare

lungo la strada. Vergogna, quell’Hastings,

che poltrone, che non mi torna a dire

s’essi verranno o no!

Entra Lord HASTINGS

BUCKINGHAM -

Eccolo, appunto,

il nostro lord, e tutto trasudato.

EDOARDO -

Oh, finalmente!… Verrà nostra madre?

HASTINGS -

Sua grazia la regina vostra madre

con il Duca d York vostro fratello

si sono rifugiati nel santuario,

per qual ragione, Dio lo sa, non io.

Il giovinetto sarebbe venuto

volentieri con me ad incontrarvi,

ma sua madre l’ha trattenuto a forza.

BUCKINGHAM -

Che maniera! Vergogna!

Un comportarsi subdolo e sgarbato.

Lord Cardinale, vuole vostra grazia

andar dalla regina e persuaderla

che mandi subito il Duca di York

a salutare il regal suo fratello?

E se rifiuta, andate voi, Lord Hastings,

col Cardinale, e strappatelo a forza

dalle gelose braccia della madre.

CARDINALE -

Monsignore di Buckingham,

se saprà la mia debole eloquenza

strappare il Duca di York dalla madre,

aspettatelo pure qui fra poco;

ma s’ella si mostrasse irremovibile

all’umili mie suppliche,

non voglia Dio che osiamo profanare

il sacro privilegio del santuario.

Io non mi macchierei d’un tal peccato

per tutto l’oro di questo paese.

BUCKINGHAM -

Questa è, da parte vostra, monsignore,

una caparbia troppo irragionevole,

legata a cerimonie d’altri tempi.

Ponderate la cosa nello spirito

più grossolano della nostra età.

Voi non profanerete il santuario

portando via il duca da quel luogo:

il diritto d’asilo è un beneficio

sempre concesso a chi l’ha meritato

con la propria condotta, ed a coloro

che furono solerti a reclamarlo.

Questo principe né l’ha reclamato,

né ha compiuto alcunché di meritevole;

e dunque, a parer mio, non può godere

del diritto. Portando via di là

uno ch’è come se non stesse là,

non violerete nessun privilegio

né alcuna legge scritta.

Finora ho sempre saputo di uomini

con diritto d’asilo in santuario,

mai di bambini con quel beneficio.

CARDINALE -

Per una volta tanto, monsignore,

m’arrenderò alla vostra opinione.

Andiamo; Hastings venite con me?

HASTINGS -

Eccomi, monsignore.

EDOARDO -

Fate al più presto, gentili signori.

(Escono il Cardinale e Hastings)

Zio Gloucester, se verrà nostro fratello,

ditemi, dove dovremo risiedere

finché io non sia stato incoronato?

RICCARDO -

Dove più piacerà a vostra altezza;

se posso darvi un consiglio, però,

vostra altezza dovrebbe, un giorno o due,

riposare alla Torre;

poi, dove meglio vi sarà gradito

e sarà ritenuto meglio adatto

alla vostra salute e al vostro svago.

EDOARDO -

La torre è il luogo che men d’ogni altro

mi gradisce. È stato Giulio Cesare

a costruirla, vero, mio signore?

RICCARDO -

Sì, vostra grazia, lui vi dette inizio,

ma da allora, nei secoli seguenti,

l’hanno ricostruita.

EDOARDO -

È dato storico,

o tradizione da secolo a secolo

che l’abbia fatta lui?

RICCARDO -

È dato storico,

mio grazioso signore.(56)

EDOARDO -

Ma diciamo, signore,

che non esista nessun documento:

la verità dovrebbe sempre vivere

dall’uno all’altro secolo

trasmessa ai posteri con la parola

fino al dì della fine generale.

RICCARDO -

(A parte)

Così giovani, eppure così saggi,

dicono che non abbian vita lunga…

EDOARDO -

Che dite, zio?

RICCARDO -

Dicevo che la fama,

pur senza documentazione scritta,

vive a lungo.

(A parte)

Così, allo stesso modo

del personaggio dell’Iniquità,

quando viene rappresentato il Vizio,

io moralizzo con i doppi sensi.(57)

EDOARDO -

Quel Giulio Cesare fu un uomo illustre:

con quel che il suo valore di soldato

arricchì la sua mente, la sua mente

poi ne arricchì il valore;

sicché la morte non può conquistare

questo genere di conquistatori.

Vi voglio dire una cosa, zio Buckingham…

BUCKINGHAM -

Che cosa, vostra grazia?

EDOARDO -

Che se vivo

tanto da diventare un uomo adulto,

voglio riconquistare all’Inghilterra

gli antichi suoi diritti sulla Francia,

o morir da soldato,

così come da re avrò vissuto.

RICCARDO -

(A parte)

Annuncia corta estate

una troppo precoce primavera.

Rientrano HASTINGS e il CARDINALE

con il giovane DUCA DI YORK.

BUCKINGHAM -

Oh, ecco il giovane duca di York,

giunge a buon punto!

EDOARDO -

Riccardo di York!

Come sta il nostro caro fratellino?

YORK -

Sto bene, mio sovrano riverito:

ora è così che ti debbo chiamare,

è vero?

EDOARDO -

Sì, fratello, a mio rammarico,

non minore del tuo; ché troppo presto

ci ha lasciato colui cui questo titolo

avrebbe ben potuto ancor spettare,

e che ha perduto, dopo la sua morte,

molto della regale sua maestà.

RICCARDO -

Ebbene, come sta nostro nipote,

il nobilissimo Duca di York?

YORK -

Grazie, cortese zio. Oh, monsignore,

mi ricordo che mi diceste un giorno

che le malerbe crescon molto in fretta:

ebbene, il principino mio fratello

è cresciuto assai più di me.

RICCARDO -

È vero.

YORK -

Che vuol dire, che egli è una malerba?

RICCARDO -

Nipote bello, ma che mi fai dire?

YORK -

Capisco: a lui dovete più riguardo.

RICCARDO -

Egli mi può comandar da sovrano;

tu puoi su me quel che puole un parente.

YORK -

Zio, per favore, dammi quel pugnale.

RICCARDO -

Il mio pugnale? Volentieri, caro.

EDOARDO -

Che fai, fratello, chiedi l’elemosina?

YORK -

Al mio nobile zio,

che son certo non me la negherà;

anche perché non è che una bazzecola,

e a donarla non è che costi molto.

RICCARDO -

Doni ben più importanti

son pronto a fare al mio caro nipote.

YORK -

Dono più grande? Oh, anche la spada?

RICCARDO -

E perché no? Se fosse più leggera,

mio gentile nipote.

YORK -

Ah, vedo allora

che vi mostrate solo ben disposto

a separarvi da cose leggere,

ma neghereste doni più pesanti

a un mendicante che ve ne chiedesse.

RICCARDO -

(Mostrando la spada)

Questa, per vostra grazia,

è un po’ troppo pesante da portare.

YORK -

Le darei ugualmente scarso peso,

anche se fosse ancora più pesante.

RICCARDO -

Eppoi, perché vorresti la mia spada,

piccolo?

YORK -

Per potervi dire un grazie,

come quello con cui chiamate me.

RICCARDO -

Cioè a dire?

YORK -

“Piccolo”.

EDOARDO -

A mio fratello York

piace molto giocar con le parole.

Vostra grazia ha imparato a sopportarlo.

YORK -

“Sopportarmi”… portarmi sopra a lui?

Zio, l’avete sentito?

Mio fratello si fa gioco di noi:

io son piccolo come uno scimmiotto,

e voi, secondo lui,

mi dovreste portare sulle spalle!

BUCKINGHAM -

Che spirito sottile, il giovinetto!

Con graziosa accortezza,

rivolge su se stesso il proprio scherno,

per mitigar quello fatto allo zio.

Davvero straordinario!

Così giovane eppur così sagace!

RICCARDO -

(A Edoardo)

Mio signore, vogliamo proseguire?

Io e il mio bravo cugino Lord Buckingham

ora andremo a pregare vostra madre

di venire alla Torre ad incontrarvi

e darvi il benvenuto.

YORK -

Che! alla Torre?

State andando alla Torre, mio signore?

EDOARDO -

Così ha deciso il mio Lord Protettore.

YORK -

Io là non ci potrò dormir tranquillo.

EDOARDO -

Perché, di che dovresti aver paura?

YORK -

Eh, dello spettro dello zio Clarenza,

chi sa come adirato!

È proprio là che è stato assassinato,

me l’ha detto la nonna.

EDOARDO -

Gli zii morti a me non fan paura.

RICCARDO -

Nemmeno vivi, spero?

EDOARDO -

Dei vivi spero non aver cagione

d’aver paura. Ma andiamo, signori:

pensando a loro, con un peso al cuore,

io m’avvio alla Torre.

(Fanfara. Escono Edoardo, York, e tutti gli altri tranne Riccardo, Buckingham e Catesby)

BUCKINGHAM -

Non credete, signore,

che quel pettegolino dello York

sia stato dalla sua subdola madre

istigato a insultarvi ed a schernirvi,

come ha fatto, in maniera sì offensiva?

RICCARDO -

Ah, sì, senza alcun dubbio.

Oh, un bambino pestifero: sagace,

temerario, precoce, intelligente,

tutto sua madre, dalla testa ai piedi.

BUCKINGHAM -

Beh, lasciamoli andare… Senti, Catesby:

tu ci hai fatto solenne giuramento

sia di tradurre in atto i nostri piani,

sia di serbare un geloso segreto

su ciò di cui t’abbiamo messo a parte.

Adesso ne conosci le ragioni

che t’abbiam detto nel venire qui.

Che ne pensi? Sarà facile o no

guadagnare Lord Hastings all’idea

di porre noi questo nobil duca

sul trono di quest’isola famosa?

CATESBY -

Quello è talmente affezionato al principe,

per l’amor che portava al di lui padre,

che sarà impossibile convincerlo

a far cosa che sia contro di lui.

BUCKINGHAM -

E Stanley? Che ne pensi, ci starà?

CATESBY -

Farà in tutto e per tutto come Hastings.

BUCKINGHAM -

Bene, allora non c’è altro da dire:

va’ tu, mio bravo Catesby, da Hastings,

e vedi, un po’ alla larga, di sondarlo

su come prenderebbe il nostro piano;

invitalo alla Torre per domani

al Consiglio che sarà lì adunato

per parlare dell’incoronazione.

Se lo trovassi appena disponibile,

farai del tutto per incoraggiarlo,

e gli esporrai tutti i nostri argomenti;

se invece si mostrasse irremovibile,

gelido, riluttante, mal disposto,

fa’ lo stesso anche tu: piantalo lì,

e vieni a riferirci il suo pensiero.

Domani noi terremo due Consigli,

divisi uno dall’altro,

ed in ciascuno tu avrai gran parte.

RICCARDO -

Salutalo, lord Williams, da mia parte,

Catesby, e digli, che la vecchia cricca

dei suoi nemici più pericolosi

avrà domani, al castello di Pomfret,

il suo salasso. E di’ a monsignore

che a festeggiar questa lieta novella

dia un bacio di più a Madama Shore.(58)

BUCKINGHAM -

Vedi, buon Catesby, di sbrigar bene

questa faccenda.

CATESBY -

Va bene, signori,

con tutta la mia buona volontà.

RICCARDO -

Allora ci farai sapere, Catesby,

prima che andiamo a letto?

CATESBY -

Sì, signore.

RICCARDO -

A Crosby Place. Ci raggiungerai là.

(Esce Catesby)

BUCKINGHAM -

Che fare, monsignore, se Lord Hastings

mostrasse di non esser disponibile

ai nostri piani?

RICCARDO -

Tagliargli la testa;

e poi vedremo. E quando sarò re,

per te reclama la contea di Hereford

con tutti i beni mobili

già posseduti dal re mio fratello.

BUCKINGHAM -

Non mancherò, graziosa maestà,

di reclamar da voi questa promessa.

RICCARDO -

E la vedrete mantenuta in pieno,

da parte mia, col massimo piacere.

Venite, andiamo a cena un po’ per tempo

affinché poi possiamo digerire

le nostre trame più comodamente.

(Escono)

 

 

 

SCENA II - Davanti alla casa di Lord Hastings

 

Entra un MESSO e bussa alla porta

 

MESSO -

Signore! Monsignore!

HASTINGS -

(Da dentro)

Chi è alla porta?

MESSO -

Da parte di Lord Stanley.

Entra HASTINGS, aprendo la porta

HASTINGS -

Che ore sono?

MESSO -

Sul tocco delle quattro.

HASTINGS -

Ma Lord Stanley

non riesce dormire in queste notti

di tedio, eh?

MESSO -

Pare di no, signore,

da quel che manda a dirvi per mio mezzo.

Prima di tutto invia il suo saluto

a vostra signoria.

HASTINGS -

Bene. E poi?

MESSO -

Poi fa sapere a vostra signoria

che stanotte ha sognato

un cinghiale che gli strappava l’elmo.(59)

Vi fa sapere inoltre

che oggi si terranno due Consigli

separati, e che in uno può decidersi

qualcosa che potrà far male a voi,

come nell’altro a lui.

Perciò mi manda da voi per sapere

se vostra signoria non sia disposta

ad inforcare subito un cavallo,

e al galoppo volare, insieme a lui,

a spron battuto verso settentrione,

per schivare un pericolo,

ch’egli sente in cuor suo come imminente.

HASTINGS -

Compare, va’, torna dal tuo padrone

e digli che per sé non tema nulla

dai due Consigli; in uno sarò io

insieme con suo onore,

nell’altro c’è il mio buon amico Catesby,

e nulla vi può essere deciso

che ci tocchi, ch’io non ne sia avvertito.

Digli che i suoi timori

sono campati in aria ed infondati.

E quanto ai sogni, son meravigliato

ch’egli sia tanto ingenuo da credere

agli scherzi degli incubi notturni.

Fuggire dal cinghiale

senz’essere inseguiti dalla bestia,

è come aizzare questa ad inseguirti,

mentr’essa non aveva alcuna voglia

di cacciar preda. Va’, di’ al tuo padrone

di levarsi e venire qui da me;

insieme poi ce n’andremo alla Torre,

dove il cinghiale, com’egli vedrà,

ci tratterà nel modo più cortese.

MESSO -

Vado, signore. Gli dirò così.

(Esce)

Rientra CATESBY

CATESBY -

Mille buongiorno al mio degno signore.

HASTINGS -

Buongiorno, Catesby. Diggià in faccende?

Ebbene, che notizie, che notizie

su questo nostro traballante Stato?

CATESBY -

Avete detto bene, monsignore:

è veramente un mondo traballante,

e che non starà mai ben ritto in piedi

finché Riccardo non avrà sul capo

la ghirlanda del regno.

HASTINGS -

La ghirlanda?…

Forse intendevi dire la corona?

CATESBY -

Appunto, mio signore.

HASTINGS -

Mi farò scoronare dalle spalle

questa mia, di corona,(60)

avanti di veder sì mal piazzata

la corona del regno.

Pensi davvero ch’egli miri a tanto?

CATESBY -

Oh, sì, per la mia vita. E spera, pure,

di trovarvi tra i primi di sua parte

a fargliela ottenere; e a tal proposito

vi manda questo gradevole annuncio:

oggi i vostri nemici,

i parenti della regina, a Pomfret,

saran decapitati.

HASTINGS -

Non mi coprirò certo di gramaglie

per tale annuncio, perché quella gente

m’è stata sempre ostile.

Ma ch’io dia voce a sostener Riccardo

per escluder gli eredi del mio re

dalla legittima lor successione,

Dio sa che questo non lo farò mai,

a costo della vita.

CATESBY -

Iddio conservi vostra signoria

in questi nobili proponimenti.

HASTINGS -

Ma vorrò ancor pur ridere di cuore,

a un annetto da qui, di tutti quelli

che m’hanno messo in odio al mio signore,

se vivrò tanto da poter assistere

alla loro rovina. Intanto, Catesby,

prima che il tempo m’abbia fatto vecchio

d’altre due settimane, faccio conto

di far fare bagaglio(61) a qualcun altro

che a tutt’oggi nemmeno se l’aspetta.

CATESBY -

Brutta cosa, grazioso mio signore,

morire quando non si è preparati

e non ce lo si aspetta.

HASTINGS -

Oh, sì, mostruoso!

E così è di Rivers, Vaughan, Grey:

e sarà d’altri, come tu ed io,

che si ritengono ora al sicuro,

perché, come tu sai, noi siamo cari

al cuore di Riccardo e Lord Buckingham.

CATESBY -

Di voi fanno gran conto questi principi.

(A parte)

Sì, quello di vedere la sua testa

infissa in cima al Ponte.(62)

HASTINGS -

Lo so. E me lo son ben meritato.

Entra Lord STANLEY

Oh, venite, venite!… Ma, mio uomo,

dov’è il vostro spiedo da cinghiale?

Voi avete paura del cinghiale,

e andate in giro così disarmato?

STANLEY -

Buon giorno, mio signore;

buongiorno, Catesby. Scherzate pure,

ma a me questi Consigli separati

non vanno a genio, per la Santa Croce!

HASTINGS -

Amico, la mia vita mi sta a cuore

quanto la vostra a voi.

E, v’assicuro, dacché sono al mondo,

mai m’è stata preziosa come adesso.

Se non sapessi d’essere al sicuro,

credete voi che me n’andrei in giro

glorioso e trionfante come faccio?

STANLEY -

Quei signori che son rinchiusi a Pomfret

erano ben sereni ed esultanti

allorché cavalcarono da Londra,

e pensavano d’essere al sicuro.

E infatti non avevano motivo

di diffidare; eppure, ecco, vedete,

come in sì poco tempo

per loro il cielo s’è rannuvolato.

Questa improvvisa pugnalata d’odio

m’insospettisce molto; voglia Dio

che il mio timore si dimostri vano.

Ci avviamo alla Torre? È giorno fatto.

HASTINGS -

Andiamo, andiamo, eccomi con voi.

Sapete, monsignore:

oggi quei lords dei quali parlavate

saran decapitati.

STANLEY -

Per la loro lealtà alla corona,

essi avrebbero invece più diritto

di conservar la testa sulle spalle

che non abbiano di portare in testa

i lor cappelli quelli che li accusano.(63)

Ma andiamo, monsignore, incamminiamoci.

Entra un MESSO DEL TRIBUNALE(64)

HASTINGS -

Andate pure avanti. Vi raggiungo.

Voglio parlare con questo brav’uomo.


(Escono Stanley e Catesby)

Felice d’incontrarti, caro amico.

Come ti va la vita?

MESSO -

Tanto meglio dacché vossignoria

si degna domandarmelo.

HASTINGS -

Ti dirò, amico, che anche per me

va meglio che non quando t’incontrai

l’ultima volta qui; ero condotto

in quel momento in carcere alla Torre

per ordine del re, su istigazione

dei famigliari della sua regina;

ma ora quegli stessi miei nemici

- te lo dico, ma tienilo per te -

son messi a morte, e la mia condizione

è migliore di quanto fosse prima.

MESSO -

Che Dio ve la conservi, vostro onore,

per vostra gioia e bene.

HASTINGS -

Grazie, amico.

Toh, prendi, e bevici alla mia salute.

(Gli getta una borsa)

MESSO -

Ringrazio vostro onore.

(Esce)

Entra UN PRETE

PRETE -

Quale felice incontro, monsignore!

Son lieto di vedervi, vostro onore!

HASTINGS -

Grazie di cuore, buon padre Giovanni.

Padre, vi sono ancora debitore

dell’ultimo servizio religioso.

Passate sabato, e vi salderò.

(Gli bisbiglia qualcosa all’orecchio)

PRETE -

Agli ordini di vostra signoria.

(Esce)

Entra BUCKINGHAM

BUCKINGHAM -

E che! Voi a colloquio con un prete,

lord Ciambellano? I vostri amici a Pomfret,

quelli, sì, n’han bisogno. Vostro onore

non ha davvero di che confessarsi.

HASTINGS -

Eh, certo, no davvero.

Però quegli uomini di cui parlate

mi son venuti in mente

nell’incontrar testé questo sant’uomo.

Andavate alla Torre?

BUCKINGHAM -

Sì, signore.

Ma non potrò trattenermici a lungo.

Me ne tornerò via prima di voi.

HASTINGS -

Già, mi sembra probabile,

dato ch’io debbo rimanerci a pranzo.

BUCKINGHAM -

(A parte)

E non lo sai, ma ci resti anche a cena!

(Forte)

Allora andiamo?

HASTINGS -

Andiamo, v’accompagno.

(Escono)

 

 

 

SCENA III - Il castello di Pomfret

 

Entra sir Richard RATCLIFF con alabardieri che

conducono al patibolo RIVERS, VAUGHAN e GREY.

 

RIVERS -

Sir Richard Ratcliff, ch’io ti dica questo:

oggi vedrai un suddito

andare a morte per la sua lealtà,

il suo dovere e la sua obbedienza.

GREY -

Iddio protegga il principe

dalla vostra masnada. Siete tutti

un maledetto branco di vampiri.

VAUGHAN -

Voi, vivi, piangerete amaramente

per tutto questo.

RATCLIFF -

Sciocchezze! Sbrighiamoci:

le vostre vite son già oltre il limite.

RIVERS -

O Pomfret, Pomfret, cruenta prigione!

Nefasto augurio per nobili pari!

Qui, dentro il condannevole recinto

delle tue mura, il Secondo Riccardo

fu pugnalato a morte;

ed a maggiore infamia dell’orribile

tua realtà, noi diamo a te da bere

nostro sangue innocente.

GREY -

Su di noi cala la maledizione

di Margherita, quand’ella inveì

contro Hastings e contro voi e me

per esser stati senza muover dito

quando Riccardo pugnalò suo figlio.

RIVERS -

Ma maledisse allora anche Riccardo,

e maledisse Buckingham,

e maledisse Hastings. Dio Signore,

ricòrdati anche di prestare orecchio

alle preghiere sue contro costoro,

come ora alle sue contro di noi;

e quanto a mia sorella

e ai suoi regali figlioli, Dio santo,

possa Tu restar pago, in lor favore,

di questo nostro sangue a te fedele,

che, lo sai, ci vien tolto ingiustamente.

RATCLIFF -

Affrettatevi: l’ora della morte

per voi è già spirata.

RIVERS -

Andiamo Grey,

Vaughan, andiamo. Abbracciamoci qui.

Addio, addio! A rincontrarci in cielo!(65)

(Si abbracciano ed escono tutti)

 

 

 

SCENA IV - La Torre di Londra

 

Intorno a un tavolo siedono BUCKINGHAM, STANLEY, il VESCOVO DI ELY,

HASTINGS, RATCLIFF, LOVELL e altri.

 

HASTINGS -

Dunque nobili pari,

siamo qui riuniti per decidere

sulla data dell’incoronazione.

Parlate, in nome di Dio: a che giorno

la grande cerimonia?

BUCKINGHAM -

È tutto pronto?

STANLEY -

Tutto; rimane da fissar la data.

ELY -

Che sia domani, allora, il fausto giorno.

BUCKINGHAM -

C’è qualcuno che sa qual è il pensiero

del Duca Lord Protettore al riguardo?

Chi di voi qui è più vicino al duca?

ELY -

Vostra grazia, pensiamo, più degli altri,

ne dovrebbe conoscere il pensiero.

BUCKINGHAM -

Conoscere, ci conosciamo bene

in faccia, sì, l’un l’altro; quanto al cuore,

lui non sa più del mio che io del vostro,

o voi del mio, signore.

Ma per affetto voi gli siete, Hastings,

più vicino.

HASTINGS -

Lo so, mi vuol molto bene,

sua grazia e gli son grato;

ma in merito ai suoi intendimenti

a riguardo dell’incoronazione

non l’ho sondato, né m’ha fatto parte

dei suoi propositi sull’argomento.

Ma voi potete, onorevoli pari,

fissare il giorno, ed io darò il mio voto

anche a nome del Duca, che, presumo,

benevolmente lo confermerà.

Entra RICCARDO

ELY -

Eccolo, il Duca: arriva giusto in punto.

RICCARDO -

Nobili pari e nobili cugini,

buongiorno a tutti! Ho dormito un po’ troppo,

ma spero tuttavia che la mia assenza

non sia stata cagione per bloccare

decisioni importanti del Consiglio

che richiedessero la mia presenza.

BUCKINGHAM -

Se voi non foste entrato al tempo giusto,

monsignore, Lord Hastings era pronto

a recitare qui la vostra parte:(66)

intendo dire dare il vostro voto

per quando incoronare il nuovo re.

RICCARDO -

Nessun altro all’infuori di Lord Hastings

potrebbe ardire più: sua signoria

mi conosce e mi vuol molto bene.

Monsignore di Ely,

l’ultima volta che passai per Holborn(67)

ho ammirato delle stupende fragole

in quel vostro giardino;

vorrei pregarvi di mandar qualcuno

a cogliermene un po’.

ELY -

Con gran piacere,

signore, diamine, manderò subito.

(Esce)

RICCARDO -

Cugino Buckingham, una parola.

(Lo trae in disparte)

Catesby è stato a sondare Lord Hastings

sulla nostra faccenda: il nobiluomo

è sì cocciutamente infervorato

che è disposto a rimetterci la testa

prima d’indursi a dirsi favorevole

a che il figlio del “suo signore e re”

- com’ei s’esprime reverentemente -

perda il diritto al trono d’Inghilterra.

BUCKINGHAM -

Uscite un attimo, vi vengo dietro.

(Escono Riccardo e Buckingham)

STANLEY -

Ancora non abbiamo stabilito

allora questa data trionfale.

Domani, a mio giudizio, è troppo presto,

perché io stesso non mi trovo pronto

come sarei, se venisse protratta.

Rientra il VESCOVO DI ELY

ELY -

Dov’è il duca di Gloucester?

Ho già mandato per quelle mie fragole.

HASTINGS -

Sua grazia ha oggi un’aria allegra e affabile;

deve avere qualcosa per la testa

o altro assai piacevole per lui,

quando dice buongiorno in quell’umore.

Credo che non ci sia persona al mondo

meno di lui capace di celare

amore e odio, perché dal suo viso

traspare subito quello che ha dentro.

STANLEY -

E che cosa scorgete nel suo viso

che possa esser stampato nel suo animo

dalla vivacità che mostra oggi?

HASTINGS -

Eh, che non c’è nessuno dei presenti

col quale sia crucciato;

ché, se fosse, gli si vedrebbe in faccia.

STANLEY -

Io prego Dio che non lo sia con me.

Rientrano RICCARDO e BUCKINGHAM

RICCARDO -

Vi prego tutti che qui siete, ditemi:

che pensate che debban meritare

coloro che, con trame diaboliche

di dannata stregoneria complottano

la mia morte, e che hanno affatturato

con infernali pratiche il mio corpo?(68)

HASTINGS -

L’affetto che io porto a vostra grazia

mio signore, mi fa per primo ardito,

davanti a questa nobile assemblea,

a scagliare la mia fiera condanna

sui colpevoli, quali che essi siano:

io dico, monsignore,

ch’essi son meritevoli di morte.

RICCARDO -

E siano testimoni gli occhi vostri

del loro maleficio: ecco, guardate,

se non è vero che m’hanno stregato.

(Si denuda il braccio stroppio)

Osservate il mio braccio: disseccato,

come uno sterpo da un colpo di fulmine.

E a marchiarmi così, come vedete,

con i loro infernali sortilegi,

sono state la moglie di Edoardo,

quella mostruosa strega, consociata

con quella gran puttana della Shore.

HASTINGS -

Se sono state loro, monsignore…

RICCARDO -

Ah, “se”, mi dici, eh? Tu, protettore

di questa maledetta prostituta!(69)

Traditore tu sei! Via la sua testa!

Per San Paolo, io non andrò a pranzare

se prima non l’avrò vista mozzata!

Lovell e Ratcliff, provvedete voi

che sia fatto. Di tutti gli altri qui,

chi mi vuol bene si alzi e mi segua.

(Tutti si alzano ed escono con lui, meno Lovell, Ratcliff e Hastings)

HASTINGS -

O Dio, pietà, pietà per l’Inghilterra;

non averne per me che, troppo stolto,

avrei potuto impedir tutto questo.

Stanley l’aveva ben visto nel sogno

il cinghiale che gli stracciava l’elmo,

e io lo presi a scherno

per questo e fui sdegnoso di fuggire;

tre volte il mio cavallo oggi è inciampato,

è diventato ombroso e s’è impennato

a vedere la Torre,

come fosse d’istinto riluttante

di portarmi al macello….

Oh, adesso sì, ho bisogno di quel prete

che m’ha parlato!… Adesso, sì, mi pento

d’aver detto a quel messo di giustizia,

con aria ingiustamente trionfale,

che i miei nemici a Pomfret

stavan per esser tutti messi a morte,

ed io vivevo libero e sicuro

in grazia ed in favore. Oh, Margherita!

Margherita! La tua maledizione

è questa che s’abbatte ora sul capo

di Hastings sventurato!

RATCLIFF -

Andiamo, andiamo,

presto; che il Duca vuole andare a pranzo.(70)

Fate una breve contrizione, e via;

è ansioso di veder la vostra testa.

HASTINGS -

Oh, caduco favore dei mortali

che ricerchiamo con maggior fervore

di quanto non mettiamo a ricercare

il favore di Dio!

Chi sulle vuote, aeree fondamenta(71)

dei tuoi sguardi benigni e compiacenti

fonda le sue speranze

somiglia a quel briaco marinaio

salito in cima all’albero maestro,

che ad ogni ondeggiamento della nave

corre il rischio di capitombolare

nelle fatali gole dell’abisso.

LOVELL -

Lamentarsi non serve. Via, sbrighiamoci.

HASTINGS -

Sanguinario Riccardo!

Sventurata Inghilterra, io ti predico

i giorni più terribili e sinistri

ch’abbia mai visto un’era di sciagure!

Avanti, su, conducetemi al ceppo.

E poi gli porterete la mia testa.

Ma molti che sorridono di me

morte tra breve troveranno anch’essi.

(Escono)

 

 

 

SCENA V - Sugli spalti della Torre di Londra

 

Entrano RICCARDO e BUCKINGHAM in armature vecchie e sfasciate,

e con aspetto squallido e sinistro(72)

 

RICCARDO -

Forza, cugino! Ti senti capace

di tremare, cambiare di colore,

ansare a fiato mozzo ad ogni frase,

poi riprender da capo,

ed interromperti come stordito

ed impazzito quasi di spavento?

BUCKINGHAM -

Poh, mi sento di fare a perfezione

il più bravo e provetto attore tragico:

parlar sbirciando dietro alle mie spalle,

spiarmi in giro, aver la tremarella,

trasalire al cadere d’un fuscello,

con aria fortemente sospettosa;

ho al mio servizio, pronti a secondare

ogni momento i miei infingimenti,

sguardi spettrali e sorrisi forzati.

Ma Catesby è andato?

RICCARDO -

È andato, sì; ed eccolo che torna,

e ci conduce il sindaco di Londra.

Entra CATESBY con il LORD MAYOR di Londra

BUCKINGHAM -

Omaggi, signor Sindaco…

RICCARDO -

Attenti, voi, là, al ponte levatoio!

(Rullo di tamburo, lontano)

BUCKINGHAM -

Odi, un tamburo…

RICCARDO -

Catesby,

va’ a dare una guardata dalle mura!

(Esce Catesby)

BUCKINGHAM -

Signor Sindaco, vi abbiam qui chiamato

per la ragione che…

RICCARDO -

Guàrdati indietro!

Difenditi, arrivano i nemici!

BUCKINGHAM -

Iddio Signore e la nostra innocenza

sian la nostra difesa e protezione!(73)

Entrano LOVELL e RATCLIFF con la testa di Hastings

RICCARDO -

Tranquillo, sono amici: Ratcliff, Lovell…

LOVELL -

Signore, ecco la testa

di quel pericoloso traditore:

l’ignobile ed insospettato Hastings.

RICCARDO -

A quest’uomo ho voluto tanto bene

che non riesco a frenarmi dal piangere…

Lo tenevo per l’essere più innocuo

che respirasse sopra questa terra:

di lui avevo fatto il mio diario

sul quale la mia anima annotava

i più segreti ed intimi pensieri.

Ha ricoperto sì bene il suo vizio

con un lucente orpello di virtù

e con un tocco sì ben levigato,

che, a parte quel notorio suo commercio…

sì, voglio dire la sconcia sua tresca

con la moglie di Shore… era vissuto

immune da ogni macchia di sospetto.

BUCKINGHAM -

Bene, bene, costui fu il traditore

il più insidioso, il meglio camuffato

che fosse mai vissuto sulla terra.

Avreste immaginato, o mai creduto

- non fosse che noi, vivi per miracolo,

lo potessimo ora raccontare -

che codesto scaltrito traditore

avesse complottato, qui, oggi stesso,

proprio nella seduta del Consiglio,

di assassinare me,

ed il mio nobile Duca di Gloucester?

LORD MAYOR -

Oh, davvero?

RICCARDO -

Che! Vi meravigliate?

Ci prendete per Turchi o miscredenti,

a ordinar di proceder così in fretta,

a spregio d’ogni legal procedura,

a giustiziare un simil traditore,

se a tanto non ci avessero costretto

l’estrema urgenza delle circostanze,

voglio dire la pace d’Inghilterra,

e la nostra salvezza personale?

LORD MAYOR -

Bene ve ne provenga.