Spergiuro oltre ogni limite.

Assassino; crudele oltre ogni limite.

Tutti i peccati miei,

perpetrati da me oltre ogni limite

s’affollano alla sbarra

e gridano: “Colpevole, colpevole!”

Mi resta solo la disperazione.

Non c’è chi m’ami al mondo,

e se muoio, nessuna anima viva

avrà pietà di me.

Perché, del resto, ne dovrebbe avere,

se sono io stesso a non trovare mai

in fondo all’anima alcuna pietà

verso me stesso? M’è parso nel sogno

come se tutte l’anime

di coloro che ho assassinato

fossero convenute alla mia tenda

e ognuno minacciasse per domani

vendetta sulla testa di Riccardo.

Entra RATCLIFF

RATCLIFF -

Monsignore…

RICCARDO -

(Sussultando)

Chi è là?

RATCLIFF -

Ratcliff, signore.

Il gallo del villaggio qui da presso

ha salutato l’alba già due volte.

I vostri amici son già tutti in piedi,

e si stanno affibbiando le armature.

RICCARDO -

Ratcliff, ho fatto un sogno spaventoso.

Che pensi, i nostri amici

si manterranno tutti a me fedeli?

RATCLIFF -

Ma senza dubbio, sire.

RICCARDO -

Oh, Ratcliff! Ho paura! Sì, ho paura!

RATCLIFF -

Ma no, mio buon signore!

Delle ombre non s’ha da aver paura.

RICCARDO -

Per l’Apostolo Paolo, questa notte

nel cuore di Riccardo han suscitato

delle ombre più paura che non possa

la realtà di diecimila uomini

di tutto punto armati e comandati

da quello zero più zero di Richmond.

Non è ancor l’alba. Su, vieni con me:

voglio andare a origliar da tenda a tenda

per accertarmi che non c’è nessuno

che si prepari a disertar da me.

(Escono)

Entrano, da RICHMOND che sta seduto sotto la sua tenda, i NOBILI suoi alleati

TUTTI -

Buongiorno, Richmond.

RICHMOND -

Vogliate scusarmi,

nobili Pari e alacri gentiluomini,

se avete qui sorpreso un gran pigrone.

PRIMO NOBILE -

Come avete dormito, monsignore?

RICHMOND -

Dacché siete partiti ieri sera

ho avuto, amici, il sonno più piacevole

e ho fatto i sogni più propiziatorii

ch’abbian mai visitato mente d’uomo.

M’è parso come se nella mia tenda

venissero a vicenda tutte l’anime

di quelli assassinati da Riccardo

e mi gridassero tutte: “Vittoria!”.

Ho l’animo giulivo ed esultante,

credetemi, per tal splendido sogno.

PRIMO NOBILE -

Sono quasi le quattro, monsignore.

RICHMOND -

È tempo d’indosssare le armature

e di emanare gli ordini.

(Esce dalla tenda)

LA SUA ORAZIONE AI SOLDATI

Amati compatrioti,

l’ora che urge ed il tempo tiranno,

non mi permettono di dirvi più

di quanto v’ho già detto.

Tuttavia ricordatevi di questo:

Dio dal cielo e la nostra buona causa

combattono con noi. Innanzi a noi

si levano come alti baluardi

le preghiere dei santi in paradiso

e delle anime offese.

Tranne solo Riccardo, tutti quelli

che ci accingiamo oggi ad affrontare

vorrebbero veder vincere noi

piuttosto che quel loro condottiero.

Giacché, nobili amici, chi è l’uomo

ch’essi seguono in armi?

Nient’altro che un tiranno sanguinario,

un omicida cresciuto nel sangue

e nel sangue insediatosi sul trono;

uno che ha messo in atto ogni mala arte

per procacciarsi quello che possiede,

e poi ha massacrato un dopo l’altro

tutti coloro che gli han dato mano

a procurarselo: una pietra ignobile,

falsa, resa preziosa dal castone

rutilante del trono d’Inghilterra,

nel quale s’è insediato con l’inganno;

uno che sempre fu nemico a Dio,

e Dio, perciò, nella sua gran giustizia,

vi darà appoggio come suoi soldati,

se combattete contro il suo nemico.

Se adesso voi sudate

a lottare ed abbattere il tiranno,

ucciso lui, poi dormirete in pace;

se adesso combattete

contro i nemici della vostra patria,

il futuro benessere di questa

ripagherà ad usura il vostro sforzo;

se vi battete per le vostre spose,

le vostre spose accoglieranno liete

i lor mariti vincitori a casa;

se salverete da spada nemica

i figli vostri, i figli dei figli

ve ne daranno giusta ricompensa

nella vostra vecchiaia.

Avanti dunque, nel nome di Dio,

e di tutti i diritti a noi spettanti,

bandiere al vento e spade sguainate!

In quanto a me, sarà degno tributo

a questa mia pericolosa impresa

questo mio corpo, gelido cadavere

sopra la fredda faccia della terra.

Ma se m’arriderà la buona sorte,

dei vantaggi di questa audace impresa

avrà parte anche l’ultimo di voi.

Squillate, trombe, rullate tamburi,

ardimentosamente e lietamente.

Dio e San Giorgio! Richmond e vittoria!

(Escono Richmond e tutti del suo seguito)

Rientrano RICCARDO e RATCLIFF con soldati

RICCARDO -

Che diceva Northumberland di Richmond?

RATCLIFF -

Che non fu mai istruito nelle armi.

RICCARDO -

Diceva il vero. E Surrey?

RATCLIFF -

Ho inteso che diceva, sorridendo:

“Tanto meglio per noi”.

RICCARDO -

Giusto, è così.

(Un orologio batte)

Conta i rintocchi… Dammi un almanacco.

(Ratcliff gli dà qualcosa che Riccardo consulta

rapidamente)

Chi ha visto oggi il sole?

RATCLIFF -

Io no, signore.

RICCARDO -

Allora stamattina questo sole

non vuol degnarsi di farsi vedere,

perché secondo quanto è scritto qui,

avrebbe già dovuto sfolgorare

a oriente già da un’ora. Per qualcuno

questa sarà una giornata nera…

Ratcliff!

RATCLIFF -

Sì, monsignore?

RICCARDO -

Il sole oggi non si fa vedere.

Il cielo è in broncio con il nostro esercito.

Queste lacrime di rugiada, Ratcliff,

non le vorrei vedere, qui per terra.

Non splende oggi?… Che mi può importare

più di quanto possa importare a Richmond?

Lo stesso cielo accigliato con me

guarda anche lui con occhio cupo e triste.

Entra NORFOLK

NORFOLK -

All’armi, mio sovrano! All’armi! All’armi!

Il nemico è già in campo, e che baldanza!

RICCARDO -

Avanti, su, alla svelta,

mettete la gualdrappa al mio cavallo.

Qualcuno corra subito da Stanley

e gli dica di avvicinarsi a noi.

I miei li guido io nella pianura.

L’ordine di battaglia sarà questo:

l’avanguardia, composta d’egual numero

di cavalieri e di fanti appiedati,

andrà a disporsi lungo tutto il fronte

in prima linea, con gli arcieri al centro.

Norfolk e Surrey saranno al comando

di questa fanteria-cavalleria.

Così schierati, seguiremo noi

a far massa col grosso dell’esercito,

la cui forza sarà bene appoggiata

dall’un corno e dall’altro,

da truppe scelte di cavalleria.

Questo è il mio piano, e San Giorgio ci aiuti!

Che dici tu, Norfòlk?

NORFOLK -

Ottimo piano,

mio pugnace signore.

(Gli dà un foglio)

Questo scritto

era stamane dentro la mia tenda.

RICCARDO -

(Leggendo)

“Giannetto di Norfolk, non fare il dritto,

“ ché il tuo padron Riccardo è bell’e fritto”(131)

Una sciocca trovata del nemico.

Signori, ai posti di combattimento!

E nessuno si lasci sgomentare

da pettegoli sogni: la coscienza

è parola ch’è in uso presso i vili,

da loro primamente escogitata

per trattenere a freno gli animosi.

Nostra coscienza sian le nostre braccia,

nostra legge le spade che impugniamo.

In marcia, tutti bravamente uniti!

Avanziamo nel folto della mischia.

Se non in cielo, entreremo all’inferno

tutti tenendoci stretti per mano.

LA SUA ORAZIONE AI SOLDATI

Che cosa vi dirò,

in aggiunta a quanto v’ho già detto?

Vi esorto solamente a ricordarvi

con chi avete a che fare: un’accozzaglia

di vagabondi, gente di galera,

di furfanti, la schiuma di Bretagna,

di vili contadini parassiti,

che la lor terra, sovrappopolata,

vomita disperati alla ventura,

mandandoli a sicura distruzione.

Voi dormite tranquilli i vostri sonni,

e questi vengon nelle vostre case

a turbarvi il riposo.

Voi possedete terre e in casa vostra

il godimento di splendide spose,

e costoro vorrebbero venire

a spogliarvi di quelle

e stuprarvi le altre. E chi li guida?

Un abbietto figuro, mantenuto

per tanti anni in Bretagna sulle spese

di mio fratello, un vero smidollato,

che non ha mai sofferto in vita sua

più freddo delle proprie soprascarpe

fra la neve. Ma ributtiamo a mare

a frustate quest’orda di sbandati,

questi arroganti straccioni di Francia,

questi affamati squallidi straccioni,

gente stanca di viver come vive,

che, se non fosse stato pel miraggio

di questa loro scellerata impresa,

si sarebbero andati ad impiccare

per assoluta mancanza di mezzi.

Se è scritto che dobbiamo essere vinti,

che a sconfiggerci siano almeno uomini,

e non questi bastardi di Bretagna,

che i nostri padri già hanno battuto,

pestato, tartassato in casa loro,

lasciandoli nel libro della storia

eredi di vergogna. E questi ceffi

si dovranno goder le nostre terre?

Dovran giacersi con le nostre mogli?

Dovranno violentar le nostre figlie?

(Tamburi all’esterno)

Eccoli, udite, sono i lor tamburi.

Nobili d’Inghilterra, alla battaglia!

Arcieri, pronti a tendere i vostri archi!

Cavalieri, spronate a tutto sangue

i vostri belli e nobili corsieri,

e in mezzo al loro sangue cavalcate!

E voi, lancieri, spaurite il cielo

con gli spezzoni delle vostre lance!

Entra un MESSO

Stanley che fa? Mena qui le sue truppe?

MESSO -

Ricusa di spostarsi, mio signore.

RICCARDO -

Beh, giù la testa di suo figlio Giorgio!

NORFOLK -

Il nemico, signore, è già avanzato

di qua dalla palude;

sarà meglio che del figlio di Stanley,

ci occupiamo finita la battaglia.

Adesso non c’è tempo.

RICCARDO -

Sento pulsarmi in petto mille cuori!

Avanti gli stendardi, sotto, sotto!

Il nostro antico grido di battaglia

“Bel San Giorgio” infonda a tutti noi

il furore del suoi draghi infuocati!

Addosso! La vittoria è sui nostri elmi!

(Escono)

 

 

 

SCENA IV - UN’ALTRA PARTE DEL CAMPO

 

Allarmi. Scorrerie di soldati. Entra NORFOLK con soldati, combattendo.

Gli viene incontro di corsa CATESBY

 

CATESBY -

Correte, aiuto, signor di Norfolk!

Il re compie prodigi sovrumani

di valore, incurante d’ogni rischio.

Gli hanno ucciso il cavallo,

e lui, a piedi, seguita a combattere;

e nell’ansia di battersi con Richmond

si caccia nelle fauci della morte.

Soccorretelo, nobile signore,

o la giornata per noi è perduta.

(Escono Norfolk e soldati)

Entra RE RICCARDO

RICCARDO -

Un cavallo! Un cavallo!

Il mio regno per un cavallo!

CATESBY -

Sire,

ritiratevi! Cerco io un cavallo

per vostra altezza.

RICCARDO -

Schiavo!

Ho messo la mia vita come posta

per un colpo di dadi, e starò al gioco.(132)

Credo ci siano sei Richmond sul campo;

cinque ne ho fatti fuori, quello no!

Un cavallo! Un cavallo!

Il mio regno per un cavallo!

(Escono tutti)

 

 

 

SCENA V - Un’altra parte del campo

 

Allarme.

Entrano RE RICCARDO e RICHMOND, battendosi alla spada.

Riccardo cade ed è ucciso.

Richmond esce, e il corpo di Riccardo è portato via.

Fanfara. Rientra RICHMOND con STANLEY, che reca la corona, signori e soldati.

 

RICHMOND -

Sia lode a Dio e alle armi vostre, amici!

Avete vinto. La giornata è nostra.

Il cane sanguinario è stato ucciso.

STANLEY -

Bene ti sei condotto, prode Richmond.

Ecco a te la corona, così a lungo

usurpata. L’ho tratta via io stesso

dalla sua fronte esanime

per cingerne la tua regal persona.

Portala, godine e falla onorata.

RICHMOND -

Gran Dio, di’ “così sia” a tutto questo.

Ma ditemi, il giovin Giorgio Stanley

è vivo?

STANLEY -

Vivo, sire, ed al sicuro

a Leicester, dove, se voi lo gradite,

potremo pel momento ritirarci.

RICHMOND -

Quali uomini di nome

sono caduti da entrambe la parti?

STANLEY -

Giovanni di Norfolk, lord Walter Ferrer,

sir Robert Brakenbury e William Brandon.

RICHMOND -

Date ai lor corpi quella sepoltura

degna dei lor natali.

Proclamate un indulto ai disertori

che vogliano tornar nei nostri ranghi;

e poi, così come abbiam deciso

a sacro giuramento innanzi a Dio,

faremo ritornare in buona pace

la rosa rossa con la rosa bianca.

Sorridi, cielo, a questa bella unione,

dopo aver tanto a lungo riguardato

con cipiglio la loro ostilità.

E chi sarà quel bieco traditore

che, ciò vedendo, non dirà “Amèn”?

Per troppo tempo è stata a matteggiare

l’Inghilterra ed a sfigurar se stessa,

il fratello versando ciecamente

il sangue del fratello;

il padre massacrando pazzamente

il proprio figlio, ed il figlio costretto

a farsi macellaio di suo padre.

Tutto questo ha diviso York e Làncaster

in un’acerba, cruda divisione.

Oh, adesso Richmond ed Elisabetta,

successori legittimi

di quelle due reali dinastie,

per fausto ordine di Dio Signore,

si ricongiungano, e i loro eredi,

Dio Signore, se tale è il tuo volere,

arricchiscano il tempo che verrà

con una pace dal volto disteso,

con ridente liberalità,

e giorni lieti di prosperità.

Grazioso Dio Signore, spunta il ferro

nelle mani di tutti i traditori

che vorrebbero riportarci indietro

a quei giorni cruenti ed a far piangere

in mezzo a fiumi di sangue fraterno

l’infelice Inghilterra. In mezzo a noi

fa’ che non viva chi, col tradimento,

mediti di trafiggere la pace

di questa bella terra.

Le ferite fraterne ora son chiuse,

torna di nuovo a vivere la pace.

Fa’ Tu, Signore Iddio, che viva a lungo.

 

 

FINE

 

(1) Questa didascalia è arbitraria del traduttore. I testi non ne portano nessuna. Il lettore - o il regista - può dunque immaginare il luogo a suo talento; che può essere anche un interno della corte.

(2)By this sun of York”: alcuni testi hanno “son”, “figlio”, invece dell’omofono “sun”, “sole”, che leggerebbe pertanto: “ad opera di questo figlio di York ” riferito a Re Edoardo IV; “figlio” di York e fratello di Riccardo è infatti questo Edoardo, che ha tolto il trono a un Lancaster, Enrico VI. È verosimile che il drammaturgo abbia inteso sfruttare l’omofonia dei due termini per uno di quei giochi di parole assai graditi al pubblico elisabettiano; ma la lezione “sun” è la più probabile, anche perché il sole era l’emblema gentilizio degli York (cfr. in “Enrico VI - Parte terza”, il dialogo dei due fratelli Edoardo e Riccardo York alla prima scena del II atto).

(3) “… sent before my time”, cioè partorito in parto prematuro.

(4) Il nome del Duca di Clarenza, fratello di Riccardo, è “George”.

(5) Jean Shore, la favorita di Edoardo IV, nata Elisabetta Lambert e sposata al mercante William Shore. Sulle avventurose vicende della vita di questa donna scriverà una tragedia nel ’700 (“Jane Shore”, 1714) Nicholas Rowe, poeta e drammaturgo e primo sistematore, ordinatore e commentatore dell’opera di Shakespeare.

(6) La regina è la già nominata Lady Grey, al secolo Elisabetta Woodville, vedova di John Grey, gentiluomo morto combattendo contro Edoardo IV dalla parte dei Lancaster. Edoardo l’aveva sposata a 25 anni, rompendo la promessa del suo matrimonio con la sorella della regina di Francia, Bona di Savoia. (Questa avrà una parte nell’“Enrico VI - Terza parte”). Il “nobile dama” di Riccardo è naturalmente sarcastico.

(7) Il testo ha un bisticcio omofonico tra “nought” e “naught”. Brakenbury ha detto: “Non ho nulla a che fare con…” (“Have nought to do”); Riccardo ha finto di capire “Ho da trescare (“naught”) con…”.

(8)I will deliver you or lie for you”: la frase si può anche intendere: “Io ti libererò o mentirò per te”, per il doppio significato di “lie” che vale “giacersi”, “porsi”, ma anche “mentire”. Ed è verosimile che Shakespeare abbia volutamente attribuito a Riccardo questo gioco di doppi sensi, per sottolinearne la perversità.

(9) La notazione è storicamente vera. Edoardo IV, salito al trono in età di 20 anni, succedendo a suo padre Enrico VI nel 1461, “appena si vide possessore del trono, abbandonossi senza ritegno alla sua inclinazione per le donne, piacere che mancare non gli poteva, stante l’età, la posizione e le grazie della persona. Era il principe ricevuto nell’intimità da parecchi abitanti di Londra; vi trovava indulgenza per tutte le sue tendenze e grandi facilità per soddisfare i suoi capricci. Codesta frequentazione lo abituò insensibilmente a non arrestarsi dinanzi a verun ostacolo per soddisfare le sue brame: tutto doveva cedere alla sua volontà” (L. Galibert & C. Pellé, “Storia d’Inghilterra”, trad. A.