O nemica d’Amor, che sí ti rendi schiva di quel ch’altrui dà pace e vita, e dolce schiera a’ dolci giochi unita dispregi e parti, e lui turbi ed offendi, 4
se de l’altrui bellezza invidia prendi mentre i tuoi danni a rimembrar t’invita, ché non t’ascondi omai sola e romita e ’n umil cameretta i giorni spendi?
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Ché non conviensi già tra le felici squadre d’Amor e tra il diletto e ’l gioco in donna antica imagine di morte.
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Deh, fuggi il sole e cerca in chiuso loco, come notturno augel, gli orrori amici; né qui timor la tua sembianza apporte.
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Parla col suo core e ’l consiglia a far ritorno a la sua
donna.
«Donde ne vieni, o cor, timido e solo, cosí tutto ferito e senza piume?».
«Da que’ begli occhi il cui spietato lume le penne m’infiammò ne l’alto volo».
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«Torna al suo petto. Or questo ingombra il duolo, né scacciato da lei raccor presume».
«Non posso, né volar ho per costume senza quell’ali ond’io mi spazio a volo».
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«L’ale ti rifaranno i miei desiri, anzi pur tuoi, ché ’l tuo piacer le spiega».
«E s’avvien che non m’oda o che s’adiri?».
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«Batti a le porte e chiama e piangi e prega».
«Già m’ergo e mi son aure i miei sospiri, e morrò s’ella è sorda o s’ella il niega».
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Torquato Tasso - Le rime
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Assomiglia il suo dolce pensiero amoroso, che non è
mescolato con gli altri amarissimi, al favoloso Alfeo che,
passando sotto il mare per congiungersi con Aretusa, non
mescola l’aque salse con le dolci.
Come la ninfa sua fugace e schiva, che si converte in fonte e pur s’asconde, l’innamorato Alfeo per vie profonde segue e trapassa occulto ad altra riva, 4
ed irrigando pallidetta oliva
co’ bei doni se ’n va di fiori e fronde, e non mesce le salse a le dolci onde e dal mar non sentito in sen le arriva; 8
cosí l’anima mia, che si disface, cerca pur di madonna, e lode e canto le porta in dono ed amorosa pace; 11
ma le dolcezze sue non turba in tanto fra mille pene il mio pensier seguace passando un mar di tempestoso pianto.
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Prega Amore che non voglia percuotere il delicato petto de
la sua donna d’egual ferita, ma di dolcissima piaga
amorosa.
Se la saetta, Amor, ch’al lato manco m’impiaga in guisa ch’io languisco a morte, fosse dolce cosí com’ella è forte, direi: «Pungi, signor, il molle fianco: 4
ché di pregare e di seguir m’ha stanco mentre fugge costei per vie distorte!».
Ma temo, oimè, che per malvagia sorte ella non pera, or ch’io son frale e manco.
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Deh! goda, prego, al dilettoso male, e tinta in soavissima dolcezza
sia la ferita e quel dorato strale.
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A me quanto è di grave e di mortale; dà mille gioie a lei, se pur disprezza gioir l’alma gentil di piaga eguale.
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Torquato Tasso - Le rime
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Dice che partendosi da la sua donna non potrà vedere o
imaginar cosa ch’agguagli la dolcezza d’un suo sdegno o la
bellezza d’un suo disprezzo.
Se mi trasporta a forza ov’io non voglio mia fortuna che fa cavalli e navi, che farò da voi lunge, occhi soavi, benché talor vi turbi ira ed orgoglio?
4
Vedrò cosa giammai che’l mio cordoglio e tante pene mie faccia men gravi?
O starò solo ove s’ inondi e lavi verde colle, ermo lido e duro scoglio?
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Tu, pensier fido, e tu, sogno fallace, fronte mi formerai tanto serena, o’ n lieto riso sí amorosa pace, 11
o ninfa o dea sovra l’incolta arena, se non val ciò ch’in altre alletta o piace dolce un suo sdegno, un bel disprezzo a pena?
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Torquato Tasso - Le rime
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Appressandosi l’ora de la sua partita,prega la sua donna
che volgendo gli occhi nel cielo fermi il suo corso.
Tu vedi, Amor, come trapassi e vole col dí la vita e ’l fin prescritto arrive; né trovo scampo onde la morte io schive, ché non s’arresta a i nostri preghi il sole.
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Ma, se pietosa mi riguarda e vuole serbar madonna in me sue glorie vive, i begli occhi, onde al ciel l’ira prescrive, drizzi ver lui, pregando, e le parole: 8
ché, del suon vago e de la vista, il corso fermerà Febo ed allungando il giorno mi fia scemo il dolore e spazio aggiunto.
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Ma chi m’affida, oimè, ch’al fin, compunto a l’alto paragon d’invidia e scorno ei non rallenti a’ suoi destrieri il morso?
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Torquato Tasso - Le rime
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Togliendo commiato da la sua donna, sentiva dolore
simile a quello che si sente ne la morte, ma fu racconsolato
da le sue parole.
Sentiva io già correr di morte il gelo di vena in vena ed arrivarmi al core, e folta pioggia di perpetuo umore m’involgea gli occhi in tenebroso velo, 4
quando vid’io con sí pietoso zelo la mia donna cangiar volto e colore, che non pur addolcir l’aspro dolore, ma potea fra gli abissi aprirmi il cielo.
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«Vattene» disse; «e se ’l partir t’è grave non sia tardo il ritorno, e serba in tanto del mio cor teco l’una e l’altra chiave».
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Cosí il dolore in noi forza non have e siam quasi felici ancor nel pianto: o medicina del languir soave!
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Torquato Tasso - Le rime
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Lontano da la sua donna dice di non esser piú quel ch’egIi
era, ma l’ombra sua.
Lunge da voi, ben mio,
non ho vita né core e non son io.
Non sono, oimè!, non sono
quel ch’altra volta fui, ma un’ombra mesta, un lagrimevol suono,
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una voce dolente; e ciò mi resta solo per vostro dono;
ma resta il male onde morir desio.
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Torquato Tasso - Le rime
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Dice di morir mille volte mentre è lontano da la sua
donna: però chiama felice chi muore una sola.
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