Lunge da voi, mio core,
mille volte m’uccide il mio dolore.
Perché la mia partita
mi tolse l’alma; e s’io ripenso in lei mi ritoglie la vita,
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e tutti sono morti i pensier miei.
Oh miseria infinita!
È quel felice ch’una volta more.
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Continua ne l’istesso soggetto mostrando d’aver infinito
dolore per la lontananza de la sua donna: onde è
ragionevole ch’ella sia tanto pietosa quanto egli è dolente.
Or che lunge da me si gira il sole e la sua lontananza a me fa verno, lontan da voi, che del pianeta eterno imagin sete, questo cor si dole in tenebre vivendo oscure e sole; 5
e non si leva mai né si nasconde sí mesto il sol ne l’onde,
che non sia cinto di piú fosco orrore l’infelice mio core;
né sí perpetui rivi han gli alti monti 10
come i duo caldi e lacrimosi fonti.
Fonti profondi son d’amare vene quelli ond’io porto sparso il seno e ’l volto, è ’nfinito il dolor che dentro accolto si sparge in caldo pianto e si mantene, 15
né scema una giammai di tante pene perch’il mio core in dolorose stille le versi a mille a mille;
ma, s’io piango e mi dolgo, ei piú m’invoglia di lacrime e di doglia:
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onde l’amor gradito esser dovrebbe, che senza fin, come il dolor, s’accrebbe.
E s’alcun di mercede o di pietate obligo mai vi stringe, esser non deve circoscritto da fine angusto e breve: 25
perch’è ragion che sí pietosa abbiate, com’io dolente, L’alma e no’l celiate.
Felice il mio dolor se ’l duro affetto sí v’ammollisse il petto,
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ch’a me voi ne mandaste i messaggieri 30
d’amor, dolci pensieri!
Ma per continua prova ei non vi spetra ché sete quasi dura e fredda pietra.
Né pur due lagrimette ancor de’ lumi, crudel’ vi trassi; e, s’al partir mostraste 35
doglia o pietà d’opre gentili o caste, quest’è fera cagion ch’io mi consumi e mi distempri in lagrimosi fiumi.
Forse talor, di me fra voi pensando, dite: «Ei si strugge amando;
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ma non fia ch’ei mi piaccia o tanto o quanto per amore o per pianto;
e vana speme l’error suo lusinga qual d’ uom che l’ombre in sogno abbracci e stringa».
Ma siate pur crudel quanto a voi piace, 45
ché, s’al candido petto io mai non toglio tutto il freddo rigore e l’aspro orgoglio, né voi torrete a me quel che mi sface mortal dolore o quell’amor vivace; né mi torrete mai che bella e viva 50
non vi formi e descriva,
per voi dolce stimando ogni mia sorte e dolce ancor la morte,
s’avverrà mai che per voi bella e cruda Amor quest’occhi lacrimando chiuda.
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Vanne, mesta canzone,
ov’è lieta madonna; e, s’ella gira i begli occhi senz’ira,
dille che l’amor mio sempre s’avanza, nudrito di memoria e di speranza.
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Scrive ad un suo amico il quale l’incitava a risguardare
molte leggiadre gentildonne che erano in una grande e
lieta festa, ch’egli non lascerà mai d’amar la sua donna né
s’invaghirà d’altra.
Non sarà mai ch’impressa in me non reste l’imagin bella o d’altra il cor s’informe, né che, là dove ogni altro affetto dorme, novo spirto d’amor in lui si deste; 4
né men sarà ch’io volga gli occhi a queste di terrene beltà caduche forme
per disviar i miei pensier da l’orme d’una bellezza angelica e celeste.
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Dunque, perché destar fiamme novelle cerchi dal falso e torbido splendore che ’n mille aspetti qui vago riluce?
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Deh, sappi omai che spente ha sue facelle per ciascun’altra e strali ottusi Amore, e che sol nel mio sole è vera luce.
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Dice d’aver fatto indarno esperienza se lo star lontano da
la sua donna poteva risanarlo de l’infermità amorosa, e
conchiude che la dimenticanza sola potrebbe esser buon
rimedio a questo male.
Dopo cosí spietato e lungo scempio e tante sparse lagrime e lamenti io non estinguo le mie fiamme ardenti, né parte ancor de’ miei desiri adempio.
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E s’intoppo non fusse ingiusto ed empio, al fonte di pietate avrei già spenti gl’interni ardori; e pur ne’ miei tormenti novo Tantalo fui con fero esempio.
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Perché, fuggendo, non scemò favilla de la febbre amorosa in tanta sete, anzi al cor ne senti’ piú calde faci.
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E dritto è ben ch’io fugga onde fugaci, e cerchi dove sparga umor di Lete omai piú dolce fonte e piú tranquilla.
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Si pente d’aver troppo magnificamente parlato de la sua
sofferenza mentre è stato lontano da la sua donna, e prega
Amore che, se nel tormento è merito, non cessi di
tormentarlo.
Era aspro e duro (e sofferir sí lunge da que’ begli occhi e dal sereno ciglio i’ mi diè vanto) un grave e duro esiglio scevro d’amor, che l’alme insieme aggiunge.
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Or ch’ei mi sfida e qual piú a dentro punge saetta vibra, e quasi fero artiglio per farmi il fianco infermo e ’l sen vermiglio la mano adopra che risana ed unge, 8
pentomi de’ miei detti e folle il vanto e ’l mio fermo sperar torna fallace; né superbo mi fa la penna o ’l canto.
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Ardimi, signor mio, con viva face e trafiggimi il cor senza mio pianto, perché merto è il martire ov’ei si tace.
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Dice al suo pensiero che nel formare l’imagine de la sua
donna vorrà insieme assomigliar Prometeo e l’avvoltoio
che gli rode il cuore.
Per figurar madonna al senso interno dove torrai, pensier, l’ombre e i colori?
Come dipingerai candidi fiori
o rose sparse in bianca falda il verno?
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Potrai volar su nel sereno eterno ed al piú bel di tanti almi splendori involar pura luce e puri ardori, la vendetta del cielo avendo a scherno?
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Qual Prometeo darai l’alma e la voce a l’idol nostro e quasi umano ingegno, e tu insieme sarai l’augel feroce 11
che pasce il core e ne fa strazio indegno, vago di quel che piú diletta e noce?
o t’assicura Amor di tanto sdegno?
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Accenna la cagione per la quale egli, lontano da la sua
donna, non sol conserva ma accresce l’amore.
Amai vicino; or ardo, e le faville porto nel seno onde s’infiamma il foco; e non l’estingueria tempo né loco, ben ch’io cercassi mille parti e mille: 4
ché nel vago pensier, luci tranquille, piú l’accendete e a voi di ciò cal poco, e le mie piaghe ancor prendete a gioco con quella bianca man che sola aprille.
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Né lontananza oblio m’induce al core, né i piú colti paesi o i piú selvaggi, ma tenace memoria e fero ardore, 11
perché v’adombro in lauri, in mirti e ’n faggi: l’altre bellezze, ove m’insidia Amore, sono imagini vostre e vostri raggi.
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Dice che l’anima sua, vaga di luce, vola al cielo, ma poi,
allettata de l’esca de’piaceri, si torna a pascere nel volto de
la sua donna.
L’alma vaga di luce e di bellezza ardite spiega al ciel l’ale amorose, ma sí le fa l’umanità gravose
che le dechina a quel ch’in terra apprezza; 4
e de’ piaceri a la dolce esca avvezza, ove in sereno volto Amor la pose tra bianche perle e mattutine rose, par che non trovi altra maggior dolcezza; 8
e fa quasi augellin ch’in alto s’erga e poi discenda al fin ov’altri il cibi, e quasi volontario s’imprigioni; 11
e fra tanti del ciel graditi doni sí gran diletto par che in voi delibi ch’in volo solo si pasce e solo alberga.
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