Grande biblioteca della letteratura italiana 65
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli Torquato Tasso Rinaldo
Canto quarto Q
25
Nel furor primo tre n’abbatte e sei n’impiaga, e quattro d’ogni senso priva: misero chi veloce i colpi rei, lor sottraggendo il corpo, non ischiva; ché mai non fece il vostro fabro, o dei, per la gente troiana o per l’argiva, scudo sì forte, elmo sì fin, che saldo stesse al lungo colpir del gran Rinaldo.
26
Isolier che la pugna accesa scorge, e Marte errar con faccia orrida e mesta, ne l’usato ardir suo tosto risorge, e i bellici furor nel petto desta; indi la mano a un grosso cerro porge, e con sommo vigor lo pone in resta; s’addatta in sella e ‘l corridore sprona, e le redine al collo gli abbandona.
27
Fra gli altri adocchia il vercellese Arnanco, ch’allor di due gran colpi avea percossa a Rinaldo la fronte e ‘l braccio manco, e ‘l fiede tuttavia con maggior possa.
Avea questi il vestir candido e bianco, ma v’aggiunse Isolier la sbarra rossa: ché ‘l sangue uscendo con purpurea riga dal petto fuor le lucide arme irriga.
28
Quinci oltra passa, e mentre il fero Ernando inalza il braccio contra ‘l novo Marte, gli ficca nell’ascella il crudo brando, e tra’ nerbi la via dritta si parte; quel col braccio sospeso in aria stando, né lo movendo a questa o a quella parte, ché da la spada ciò gli era conteso, voto sembrava in sacro tempio appeso.
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Canto quarto Q
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Ma perché i duo magnanimi compagni faccian queste e molt’altre eccelse prove, tal che già ‘l sangue in tiepidi rigagni da’ corpi ostili al suol discende e piove, pur spesso avvien ch’ognun di lor si lagni sotto la spada che ‘l nemico move; e se la carne ben non han piagata, han piste l’ossa, e quella nera e ‘nfiata.
30
Come, allor che ne l’arsa ed arenosa Libia, stuol di pastori e di molossi viene a battaglia orrenda e sanguinosa, con due leon da fame a predar mossi, si duol la greggia timida e dubbiosa tra pastoral ripari e brevi fossi, né sa fuggir né star, ché la paura di fuggir o di star non l’assicura; 31
così, dipinte di color di morte, tristi, sospese e sbigottite stanno le belle donne, e ne le faccie smorte gli interni affetti loro espressi elle hanno; e come varia del pugnar la sorte, varia la tema in lor, varia l’affanno, e come varia il duol, varia il timore, dipinge il volto ancor vario colore.
32
Mentre dura la pugna in tale stato, né a questi più ch’a quei Fortuna arride, un cavalier là sotto l’Orsa nato, dove i nevosi campi il Ren divide, una asta afferra e di gittar sul prato con quella il paladin par che si fide; né tal pensiero ancor chiuso egli tiene, ma con tai detti ad incontrar lo viene: Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 67
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Canto quarto Q
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– Or qui vedrai di tue vittorie il fine, e di tua vita insieme; ora, infelice, ti sovrastan quell’ultime ruine, a cui sottrarti omai più non ti lice! -
Mentre ignaro di ciò che ‘l ciel destine così diceva ancor, la lancia ultrice Rinaldo per la bocca entro gli mise, e la lingua e ‘l parlar per mezzo incise.
34
Quegli al grave colpir sovra ‘l sentiero accennò di cadere, e lo facea, se no ‘l ritenea Fausto in sul destriero, ch’infausta pugna con l’Ispano avea; ma questi ebbe al ben far merito fiero, perché ‘l pietoso braccio, onde reggea l’amico suo, gli fu d’un colpo tronco, ed ei ne visse poi stroppiato e monco.
35
Non perciò impune il cavaliero ispano se ‘n gio d’avergli tronco il braccio manco: ché quel, come uom che di valor sovrano era e di cor più sempre ardito e franco, feroce gli piagò la destra mano, ed ancor poi, ma leggiermente, il fianco; indi a Rinaldo fe’ non lievi offese, che su la sella del corsier lo stese.
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Ma mentre il gran figliol del chiaro Amone per la percossa ria disteso giace mezzo stordito sul ferrato arcione, e tutta adosso gli è la turba audace, alzando il ferro un cavalier guascone cerca ferirlo, e ‘l suo fratel Corace per istrana sciagura in cambio coglie, ministro, lasso! de le proprie doglie; Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 68
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Canto quarto Q
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ché quel meschino a la percossa atroce, ch’a chi drizzata fu, non fu molesta: cadde languendo con tremante voce, insanguinato il crin, rotto la testa.
Rinaldo intanto più che mai feroce su risalito fulmina e tempesta: ben tu, Fernando, il sai, ma più tu, Niso, l’un ferito aspramente, e l’altro ucciso.
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Come rapido suol pieno torrente, che ruinoso da l’Apennin cada, tanto più gonfio girne e violente quanto impedita più gli vien la strada; così questo più fero e più possente tra gli nimici suoi par che se ‘n vada, quanto ei contrasti in lor trova più fermi, ed intoppi maggior, maggiori schermi.
39
Ma già del suo colpir grave ed orrendo è l’avverso drappello esterrefatto, e con la speme di vittoria avendo perduto il cor, fugge veloce e ratto; ed a Rinaldo il gran furor tremendo fugge da l’alma in un medesmo tratto, c’ha ‘l furor dal pugnar sol nutrimento in nobile alma; e, quel finito, è spento.
40
Egli, che già costoro a tutto corso sparsi vede fuggir per la campagna, così la tema, ond’hanno il petto morso, gli sollicita sempre e gli accompagna, del veloce destrier ritiene il morso, ed u’ la schiera feminil si lagna, palida i volti, i cuor mesta e tremante, si volse in lieto e placido sembiante.
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Canto quarto Q
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Giunto a la bella e nobil compagnia, le fa cortese e riverente inchino; né men che prima forte apparso ei sia, cortese or si dimostra il paladino, ch’adornato è ‘l valor da cortesia, come da fregio d’or perla o rubino.
A Galerana poi, fisso converse le luci, a voci tai le labra aperse: 42
– Alta reina, a lo cui scettro altero lieto soggiace il gallico paese, quanto mi duol che, dov’è ‘l mio pensiero e le mie voglie ad onorarti intese, ora mi sforzi Amor con duro impero ch’io villan mi ti mostri e discortese, di queste dame ch’or se ‘n vanno teco, una menando in altra parte meco.
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Ma quel che sotto sopra ha spesso volto l’alme più saggie e le più ferme menti, il mio volere e ‘l disvoler m’ha tolto, né convien già ch’a lui d’oppormi tenti: questo iscusi appo te l’error mio stolto, ch’è lieve error tra l’amorose genti; ch’io poscia ognor per discolparmi in parte serò pronto a servirti in ogni parte. -
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Così disse egli, e poi dal carro tolse Clarice, che sorgiunta a l’improviso restò stupida e immota, e le s’accolse il sangue al cor, lasciando smorto il viso.
Ben la reina a questo oppor si volse, ma vano al fin riuscille ogni su’ aviso: ch’a lasciar la donzella ei non piegosse, benché pregato e minacciato fosse.
Op.
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