D’Anna Thèsis Zanichelli Torquato Tasso Rinaldo Canto secondo Q

5

Qui tace, e china a terra i lumi e ‘l volto; poi così ancora il suo parlar ripiglia:

– Ahi! quanto è quel desir fallace e stolto che tornar a Clarice or mi consiglia, e ‘n quanti errori è ‘l mio discorso involto.

Lasso! poi ch’al peggio ognor s’appiglia, anzi donna sì chiara e sì gentile apparir non deve uomo oscuro e vile 6

Né fec’io giamai cosa onde sia degno del suo cospetto, e ciò negar non vale; e già n’ho visto più d’un chiaro segno, ch’ella prudente ancor mi stima tale: ch’a le parole mie, colma di sdegno, risposta diede al mio vil merto eguale; e se poi m’invitò, ve la sospinse sua cortesia, che la viltà mia vinse.

7

Né stato il mio restar le saria caro, né bramar degg’io quel ch’a lei non piace: quando sarò ne l’arme illustre e chiaro, non mi si disdirà l’essere audace; e ‘l volto ove a sprezzar tutt’altro imparo, che m’arde il cor d’inestinguibil face, a ciò mi porgerà forza ed ardire, e darà piume e vanni al mio desire.

8

E benché priv’or sia del core il petto, l’alma imago in sua vece entro rinchiude, che potrà più che ‘l core in ogni effetto rendermi ardito, e in me destar vertude. -

Clarice intanto d’amoroso affetto non meno aviene ancor ch’agghiaci e sude, e non meno di lui si duole e lagna, ma ‘l bel viso di più piangendo bagna.

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 30

ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli Torquato Tasso Rinaldo Canto secondo Q

9

Bagna il viso di pianto, allarga il freno ai sospiri, ai lamenti, e così dice:

– Qual or sì novo e sì mortal veleno t’attosca il petto, o misera Clarice?

Qual dolce mal d’alta amarezza pieno dilettando ti fa mesta e ‘nfelice?

Donde ‘l desire in te, donde l’ardore, donde la speme ancor nasce e ‘l dolore?

10

Già ben m’accorgo apertamente, ahi lassa!

or che l’accorger più nulla mi giova, ch’Amor, che l’alme più superbe abbassa, or in me fa così spietata prova; e ch’egli è quel che sì feroce passa dentr’al mio cor come in sua stanza nuova; e ch’egli è quel che in lui desire e speme ed ardor ed affanno aviva insieme.

11

Ma s’egli è quel ch’in un lieta e dolente mi fa, quando giamai meco contese?

Quando, meschina ancor, così repente o per forza o per arte egli mi prese?

Come a schermirmi allor non fui possente, ed a fuggir l’ascoste insidie tese?

Come, no ‘l sapendo, io vinta restai?

Come a lui volontaria io mi donai? -

12

Segue intanto Rinaldo il suo viaggio, né pur l’alma o le membra alquanto posa; e giunge u’ dal notturno umido raggio face altrui schermo quercia alta e frondosa.

Ivi scorge nel suol, che ‘l vago maggio copria di veste allor verde ed erbosa, assisi duo guerrier che ‘l corpo stanco rendean col cibo vigoroso e franco.

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 31

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13

L’invitan questi con parlar cortese, ed ei l’invito lor ricusa alquanto; ma, non giovando il ricusar, discese al fin di sella e lor si mise a canto.

Poi che ciascuno il nutrimento prese, il ragionar ch’avean lasciato intanto ripigliaro di nuovo, e quel tal era qual conveniasi a sì onorata schiera.

14

A caso venne al bon Rinaldo detto ch’a la ventura gia di quel destriero.

Uno di lor, che cavalier perfetto tenuto ed appellato era Isoliero, allor rispose con turbato aspetto:

– Deh! cangia omai, baron, cangia pensiero, ché tal ventura solo a me conviensi, e folle sei se di tentarla pensi.

15

Rise Rinaldo e disse: – A l’apparire del sol serò con quel cavallo a fronte, né lasciarlo altrui vo’, né di soffrire uso son io sì gravi ingiurie ed onte. -

Isolier lo spagnuol non può sentire ch’altri gli parli in sì orgogliosa fronte; onde, tratta la spada: – O qui morrai, disse, o l’impresa a me tu lascierai. -

16

Il lor compagno era un gentil barone de’ più pregiati ne l’inglese regno, forte ed ardito ad ogni paragone, e di molti famosi assai più degno; egli avea col destrier fatta tenzone, e van gli era tornato ogni dissegno, benché non gisse a la ventura ei solo, ma di guerrier menasse ardito stuolo.

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17

Questi che del corsier la forza ha visto, la forza c’ha ‘l suo stuol morto e conquiso, sì che soleva dir che fece acquisto di vita, allor non sendo anch’egli ucciso; volto al pagan, che d’elmo è già provisto e minaccia al garzon con fiero viso, gli disse: – Alto guerrier, ascolta, aspetta: non correre a ferir con tanta fretta.

18

Non ti sdegnar in così strana impresa compagno aver, perché non poco fia se tu con belva tal prendi contesa, avendo un sol guerriero in compagnia. -

Il pagan che di sdegno ha l’alma accesa, e che finir tal lite omai disia, qui gli tronca ‘l parlar e ‘l brando stringe, e verso il fier garzon ratto si spinge.

19

Tutta la sua possanza in un raccoglie, e poi dechina giù l’orribil spada.

Nel forte scudo l’aversario coglie e gliel manda in duo parti in su la strada; passa oltre il colpo, ed a l’elmetto toglie il bel cimiero, e fa ch’a terra cada: non rompe quel, ma ne la spalla scende, e l’acciar che la copre alquanto fende.

20

Posto per segno a’ campi ivi giaceva sasso d’immenso pondo antiquo e grosso; con man robusta allor Rinaldo il leva, là ‘v’altri non l’avria di luoco mosso.

Stretto l’affera, e poi s’alza e solleva, ed al nimico suo l’avventa adosso, col corpo il braccio accompagnando e insieme qui congiungendo le sue forze estreme.

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 33

ACTA G.