Li ascolta immobile, senza intervenire. Poi, d’improvviso, avanza lentamente e appare tra loro quando la disputa ha raggiunto il culmine.
Scena seconda
Ruy Blas e gli astanti.
RUY BLAS (avvicinandosi)
Buon appetito, signori!
Tutti si voltano. Lunga pausa che esprime stupore e inquietudine. Ruy Blas si calca il cappello in testa e, a braccia conserte, pronuncia la seguente allocuzione squadrando, uno per uno, i membri del governo.
Eccovi qua, onestissimi ministri! Virtuosi consiglieri! Ecco il vostro modo di servire lo stato: siete dei servi che depredano la casa affidata alle loro cure! Non provate neanche vergogna ad avere scelto per le vostre malversazioni l’ora dolorosa in cui la Spagna agonizzante piange! Qui dentro l’unico interesse che vi compete è quello di riempirvi le tasche e di filar via indisturbati! Siate maledetti, davanti al vostro paese che va in rovina, miserabili becchini che lo derubate fin nella fossa! Aprite gli occhi, abbiate almeno il pudore o il coraggio di guardare: la Spagna e il suo onore, la Spagna e la sua dignità stanno per scomparire. Dopo Filippo IV, abbiamo perso, senza fare la minima opposizione, il Brasile e il Portogallo; Brisach nell’Alsazia, Steinfort nel Lussemburgo e tutta la contea fino all’ultimo baluardo; il Roussillon, Ormuz, Goa, cinquemila leghe di costa e ancora Fernambouc e le Montagne Azzurre! Guardatevi intorno! Da occidente ad oriente, l’Europa che vi odia adesso ride di voi! Come se il vostro re ormai non fosse che una pallida ombra Olanda e Gran Bretagna si dividono il regno, Roma vi tradisce e potete azzardarvi solo con difficoltà ad inviare un esercito in Piemonte, che pure è nostro alleato; la Savoia e il duca che la governa nascondono mille insidie e infine la Francia, per assoggettarvi, aspetta solo la prima occasione. Anche l’Austria ha allungato le sue mire e il fanciullo bavarese sta per morire, come sapete. Per quanto riguarda, infine, i vostri viceré, Medina, nella sua lussuria, ha fatto di Napoli la corte degli scandali, Vaudémont vende Milano, Legañez perde le Fiandre. C’è un rimedio allo sfacelo? Lo stato è povero, lo stato è senza esercito, privo di risorse economiche, e sul mare, dove si sfoga l’ira divina del Creatore, abbiamo perso trecento navi, senza contare le galee. E voi osate! Signori, in vent’anni, pensateci, il popolo - ho calcolato esattamente l’ammontare e posso garantirvelo - ripiegando sotto l’ignominia che gli avete imposto, per voi, per i vostri piaceri, per le vostre infami prostitute, quel popolo misero, lacero, che continuate a sfruttare, ha pagato col sudore centotrenta milioni d’oro! E non è ancora tutto! E voi siete qui a pretendere, a esigere, da signori e padroni! Mi vergogno di voi! Il paese è invaso da mercenari, da avventurieri che battono le campagne e bruciano il grano. Da ogni siepe spunta l’occhio spietato dell’archibugio. Come se non bastasse la guerra dei principi, c’è la guerra tra i conventi, la guerra tra le province: tutti tentano di fare a pezzi il vicino più debole, sembrano morsi di affamati su una nave che affonda! La Chiesa è in rovina, vi han fatto il nido le serpi e l’erba cresce rigogliosa. E i Grandi di Spagna? Il ricordo degli antenati è immortale ma non è confortato da nient’altro, ormai. L’unica legge è l’intrigo, la lealtà è morta. La Spagna è la fogna in cui si riversa il letamaio delle nazioni Ogni signore ha al suo servizio cento sicari che parlano cento lingue diverse. Genovesi, sardi, fiamminghi… Madrid è la nuova Babele. La polizia, spietata col povero, non lesina protezione al ricco. La notte è il regno dei delitti, delle disperate grida d’aiuto. Sono stato derubato anch’io, vicino al ponte di Toledo! Mezza Madrid deruba l’altra metà I giudici sono venduti e i soldati non ricevono il soldo. Siamo stati i conquistatori del mondo noi, gli spagnoli! E adesso di che esercito disponiamo? Poco più di seimila uomini costretti ad andare a piedi nudi. Dei pezzenti, dei montanari, degli ebrei, vestiti di stracci, con un pugnale tra i denti. I reggimenti non ci sono più, sono resti di bande armate Non appena si allungano le ombre della sera, viene l’ora in cui il mercenario sbandato diventa un ladro di strada. Matalobos ha più truppe di un barone. Ognuno dei suoi affiliati è in grado di dichiarare guerra al re di Spagna! Ahimè! I contadini, nelle campagne, insultano, passando, la carrozza del re! Mentre il vostro signore, divorato dalla paura e dal dubbio, solo, all’Escuriale, tra le tombe degli antenati, piega pensoso quella fronte su cui crolla l’Impero! Ecco il risultato! Ormai l’Europa schiaccia col tallone questo paese che è stato porpora ed ora è un volgare cumulo di stracci. Nel secolo della nostra disfatta lo stato è a terra, prostrato, e voi siete qui a contendere su chi si prenderà gli avanzi! Al grande popolo spagnolo le membra sono state asportate ad una ad una, s’è nascosto giù, nell’ombra, e voi continuate a dissanguarlo: adesso agonizza in quest’antro dove si conclude il suo destino. E uno spettacolo tristissimo, come vedere un leone divorato dai vermi! In questi tempi di vergogna e d’orrore, Carlo V, grande imperatore, cosa fai chiuso nel tuo sepolcro? Alzati, vieni a vedere! Gli onesti cedono ai malvagi. Questo regno che ispirava terrore, costituito da mille imperi, minaccia di crollare… Abbiamo bisogno del tuo braccio… aiuto, Carlo V! Perché la Spagna muore, perché la Spagna si spegne! Il globo dell’impero, che scintillava nel palmo della tua destra, quel raggio accecante che faceva credere al mondo che ormai il sole sorgesse a Madrid adesso è un astro estinto, avvolto da una cupa fascia d’ombra, una luna smangiata per tre quarti che continua a calare, che l’aurora di un altro popolo cancellerà per sempre! Ahimè! La tua eredità è caduta in mano ai mercanti: i tuoi raggi si sono trasformati in piastre! La tua magnificenza è irreparabilmente compromessa! O gigante, perché continui a dormire? Si vende a peso il tuo scettro! Mentre un nugolo di nani deformi si ritagliano un giustacuore nel tuo manto regale e l’aquila dell’Impero che un tempo, soggetta alla tua legge, ricopriva il mondo di tuoni e lampi cuoce, povero uccello spennato, nella loro disgustosa marmitta!
I consiglieri tacciono costernati. Solo il marchese di Priego e il conte di Camporeal sollevano il capo e sfidano in preda all’ira, lo sdegno legittimo di Ruy Blas. Dopo essersi consultato con Priego, Camporeal si avvicina al tavolo, scrive qualche parola su un foglio, firma e fa firmare al marchese.
CONTE DI CAMPOREAL (indicando il marchese di Priego e consegnando il foglio a Ruy Blas)
Signor duca, in nome di entrambi, vi presento le dimissioni dalla carica che occupiamo.
RUY BLAS (prendendo il foglio, freddamente)
Vi ringrazio. Vi ritirerete, con la vostra famiglia, (a Priego) voi in Andalusia, e (a Camporeal) voi, conte, in Castiglia. Ognuno nei propri stati.
1 comment