(A Don Cesare) Torno subito.

 

Esce dalla porticina di sinistra. Subito dopo, Ruy Blas e Don Cesare muovono l’uno verso l’altro.

 

Scena terza

 

 

Don Cesare, Ruy Blas.

 

DON CESARE

In fede mia, non m’ingannavo. Ruy Blas, sei proprio tu!

 

RUY BLAS

E tu sei, Zafari! Cosa fai qui, a palazzo?

 

DON CESARE

Sono di passaggio. Adesso vado via. Sono come un uccello e amo gli ampi spazi. Ma dimmi di te… Cos’è questa livrea? Un travestimento?

 

RUY BLAS (con amarezza)

No, sono travestito solo quando cambio d’abito.

 

DON CESARE

Che dici?

 

RUY BLAS

Dammi la mano, voglio stringerla come in quel tempo felice di gioia e povertà quando vivevo senza fissa dimora, di giorno avevo fame, di notte avevo freddo, quando ero libero! Quando ci siamo conosciuti, ero ancora un uomo. Entrambi figli del popolo - ahimè, era l’aurora! - ci somigliavamo al punto che ci scambiavano per fratelli… cantavamo insieme dalle prime luci dell’alba e, la sera, in presenza di Dio, il Padre che ci dava ospitalità, dormivamo l’uno accanto all’altro sotto il cielo trapunto di stelle. Sì, abbiamo condiviso tutto. Fino al momento che è scoccata quell’ora tristissima in cui ognuno ha preso la sua strada. Adesso ti ritrovo, dopo quattro anni, sei sempre lo stesso, felice come un bimbo, libero come uno zingaro, sempre lo stesso Zafari, ricco nella sua povertà, che nulla ha mai avuto e niente ha mai voluto! Guarda me, invece: quanto sono cambiato! Fratello, cosa posso dirti? Orfano, accolto per pietà in un collegio dove si apprendono la scienza e l’orgoglio, il triste favore della sorte non ha fatto di me un operaio ma un malinconico sognatore! Tu lo sai, perché mi hai conosciuto allora. Scagliavo pensieri e aspirazioni al cielo in rime insensate. Al tuo riso beffardo opponevo cento, mille ragioni. Non so quale ambizione mi divorava, mi dominava! A che scopo lavorare? Mi rivolgevo a una meta invisibile credendo che mi fosse possibile ottenere tutto ciò che volevo. Mi aspettavo tutto dal destino! Io appartengo a quella razza che trascorre oziosa le giornate, in preda al delirio, davanti ai palazzi che rigurgitano di immense ricchezze, che passa il tempo a veder entrare e uscire le nobildonne! Così, quando sul marciapiedi mi dibattevo tra i morsi della fame, ho dovuto raccogliere il pane nel solo luogo in cui potevo trovarlo: nell’ignominia e nell’inerzia! Oh! Quando avevo vent’anni, credevo di essere un genio e mi perdevo per le strade marciando a piedi nudi e meditando nel cuore il destino dell’uomo. Avevo tracciato piani minuziosi in ogni direzione: una montagna di progetti! Commiseravo la sorte infelice della Spagna e credevo, povero illuso, di essere la futura speranza del mondo… Amico, guarda il risultato: un lacchè!

 

DON CESARE

Lo so, la fame è una porta bassissima e, quando la necessità ci costringe a varcarla, il più alto è colui che deve chinarsi fino a terra. Confida nell’eterno flusso e riflusso della sorte. Spera.

 

RUY BLAS (scuotendo il capo)

Servo il marchese di Finlas.

 

DON CESARE

Lo conosco bene. Vivi qui, a palazzo?

 

RUY BLAS

No, prima di stamani… Finora non avevo mai varcato questa soglia.

 

DON CESARE

Davvero? Eppure il tuo padrone, per grado e condizione, è obbligato a risiedervi.

 

RUY BLAS

Sì, perché è continuamente richiesto a corte. Ma possiede anche un’altra dimora, ignota, dove non si è mai fatto vedere alla luce del giorno. È una palazzina discreta, a cento passi da Palazzo Reale. Là abito io. Attraverso una porta segreta di cui lui solo possiede la chiave, talvolta di notte il marchese arriva, seguito da alcuni uomini. Portano tutti la maschera, parlano a bassa voce, si chiudono dentro, non si sa cosa vengano a fare. Io condivido l’alloggio con due negri. Sono muti e stanno ai miei ordini. Non conoscono il mio nome.

 

DON CESARE

Sì, in quel luogo, come capo della polizia, riceve le spie, tende le sue orribili trappole. È un uomo pericoloso che tiene ogni situazione sotto controllo.

 

RUY BLAS

Ieri mi ha detto: “Domani devi essere a palazzo, prima dell’alba. Entra dal cancello dorato”. Appena giunto, mi ha fatto indossare la livrea: questa divisa odiosa in cui mi vedi, la indosso oggi per la prima volta.

 

DON CESARE (stringendogli la mano)

Spera!

 

RUY BLAS

Sperare! Non sai ancora nulla. Vivere sotto questi panni che mi sporcano, mi disonorano, aver perduto l’orgoglio e la gioia, tutto questo è ben poco.