Per la stessa ragione, possiamo tralasciare quelle società arretrate in cui la razza stessa può essere considerata minorenne. Le difficoltà che inizialmente si oppongono al progresso spontaneo sono così grandi che raramente si può scegliere tra diversi mezzi di superarle: e un governante animato da intenzioni progressiste è giustificato a impiegare

ogni mezzo che permetta di conseguire un fine forse altrimenti impossibile. Il dispotismo è una forma legittima di governo quando si ha a che fare con barbari, purché il fine sia il loro progresso e i mezzi vengano giustificati dal suo reale conseguimento. La libertà, come

principio, non è applicabile in alcuna situazione precedente il momento in cui gli uomini sono diventati capaci di migliorare attraverso la discussione libera e tra eguali. Fino ad allora, non vi è nulla per loro, salvo l’obbedienza assoluta a un Aqbar o a un Carlomagno se sono così fortunati da trovarlo. Ma, non appena gli uomini hanno conseguito la capacità di essere guidati verso il proprio progresso dalla convinzione o dalla persuasione (condizione da molto tempo raggiunta in tutte le nazioni di cui ci dobbiamo occupare), la costrizione, sia in forma diretta sia sotto forma di pene e sanzioni per chi non si adegua, non è più

ammissibile come strumento di progresso, ed è giustificabile solo per la sicurezza altrui. È

opportuno dichiarare che rinuncio a qualsiasi vantaggio che alla mia argomentazione

potrebbe derivare dalla concezione del diritto astratto come indipendente dall’utilità.

Considero l’utilità il criterio ultimo in tutte le questioni etiche; ma deve trattarsi dell’utilità nel suo senso più ampio, fondata sugli interessi permanenti dell’uomo in quanto essere

progressivo. La mia tesi è che questi interessi autorizzano l’assoggettamento della

spontaneità individuale al controllo esterno solo rispetto alle azioni individuali che

riguardino interessi altrui. Se qualcuno commette un atto che danneggia altri, vi è motivo evidente di punirlo con sanzioni legali o, nel caso in cui siano di incerta applicazione, con la disapprovazione generale. Vi sono anche molte azioni positive a favore di altri che ciascuno può essere legittimamente obbligato a compiere: per esempio, testimoniare davanti a un

tribunale, portare il giusto contributo alla difesa comune o a ogni altra attività collettiva necessaria agli interessi della società di cui si gode la protezione, compiere certi atti di assistenza individuale, come salvare la vita di un altro essere umano o intervenire a

proteggere delle persone indifese contro gli abusi – tutte quelle azioni insomma che

costituiscono un palese dovere, del cui mancato adempimento si può legittimamente essere

chiamati a rispondere alla società. Una persona può causare danno agli altri non solo per azione ma anche per omissione, e in entrambi i casi ne deve giustamente rendere loro conto.

È vero che il secondo caso richiede, in misura molto maggiore del primo, cautela

nell’esercizio della coercizione. Rendere chiunque responsabile del male che fa agli altri è la regola; renderlo responsabile del male che non impedisce è, in termini relativi, l’eccezione.

Tuttavia vi sono molti casi sufficientemente chiari e gravi da giustificarlo. In tutto ciò che riguarda i rapporti esterni dell’individuo, quest’ultimo è de jure responsabile verso coloro i cui interessi sono coinvolti, e, se necessario, verso la società in quanto loro protettore. Vi sono spesso buone ragioni per non richiamarlo a questa responsabilità, ma devono

dipendere dalle particolarità specifiche della situazione: o si tratta di casi in cui, tutto considerato, è probabile che l’individuo si comporti meglio se lo si lascia agire come ritiene più opportuno e non si esercita su di lui alcuno dei controlli di cui la società ha il potere; oppure il tentativo di esercitare un controllo produrrebbe altri mali, maggiori di quelli che eviterebbe. Quando ragioni come queste impediscono il richiamo alla responsabilità,

dovrebbe essere la coscienza dell’individuo a farsi giudice e a proteggere gli interessi di chi non gode di protezioni esterne, esercitando un giudizio tanto più severo in quanto la

situazione lo esime dal rendere conto ai suoi simili. Ma vi è una sfera d’azione in cui la società, in quanto distinta dall’individuo, ha, tutt’al più, soltanto un interesse indiretto: essa comprende tutta quella parte della vita e del comportamento di un uomo che riguarda

soltanto lui, o se riguarda anche altri, solo con il loro libero consenso e partecipazione, volontariamente espressi e non ottenuti con l’inganno. Quando dico “soltanto” lui, intendo

“direttamente e in primo luogo”, poiché tutto ciò che riguarda un individuo può attraverso di lui riguardare altri; e l’obiezione che può sorgere in questa circostanza verrà presa in considerazione più avanti. Questa, quindi, è la regione propria della libertà umana.

Comprende, innanzitutto, la sfera della coscienza interiore, ed esige libertà di coscienza nel suo senso più ampio, libertà di pensiero e sentimento, assoluta libertà di opinione in tutti i campi, pratico o speculativo, scientifico, morale, o teologico. La libertà di esprimere e rendere pubbliche le proprie opinioni può sembrare dipendere da un altro principio, poiché rientra in quella parte del comportamento individuale che riguarda gli altri, ma ha quasi altrettanta importanza della stessa libertà di pensiero, in gran parte per le stesse ragioni, e quindi ne è in pratica inscindibile. In secondo luogo, questo principio richiede la libertà di gusti e occupazioni, di modellare il piano della nostra vita secondo il nostro carattere, di agire come vogliamo, con tutte le possibili conseguenze, senza essere ostacolati dai nostri simili, purché le nostre azioni non li danneggino, anche se considerano il nostro

comportamento stupido, nervoso, o sbagliato. In terzo luogo, da questa libertà di ciascuno discende, entro gli stessi limiti, quella di associazione tra individui: la libertà di unirsi per qualunque scopo che non implichi altrui danno, a condizione che si tratti di adulti, non

costretti con la forza o l’inganno. Nessuna società in cui queste libertà non siano rispettate nel loro complesso è libera, indipendentemente dalla sua forma di governo; e nessuna in cui non siano assolute e incondizionate è completamente libera. La sola libertà che meriti questo nome è quella di perseguire il nostro bene a nostro modo, purché non cerchiamo di privare gli altri del loro o li ostacoliamo nella loro ricerca. Ciascuno è l’unico autentico guardiano della propria salute, sia fisica sia mentale e spirituale. Gli uomini traggono maggior

vantaggio dal permettere a ciascuno di vivere come gli sembra meglio che dal costringerlo a vivere come sembra meglio agli altri. Benché questa dottrina sia tutt’altro che nuova, e per alcuni possa aver l’aria di un truismo, non ve n’è altra che si contrapponga più direttamente alla tendenza generale dell’opinione e della pratica attuali.