Una vespa ronzava sulla vetrata.
Tomas notò che sul collo di lei c’era ancora una sottile striscia rossastra lasciata dal graffio del gatto. Ma non riusciva a staccare gli occhi dalle sue braccia. Quelle braccia, nude, bianche…
«Che ora è?» domandò Ellen.
Non la sentì. Scivolò al suo fianco, vicinissimo, e implorò sussurrandole nell’orecchio:
«Le sue braccia… voglio vedere le sue braccia…».
Tomas non credeva ai suoi occhi. La ragazza restò alcuni secondi come impietrita, ma infine, con una calma da sonnambula si tolse il corpetto e lo posò su una sedia. Quindi si coprì il volto con le mani, rossa dalla vergogna. Lui la tirò a sé baciandola dappertutto, sul collo, sul petto, sul corsetto. Lei era come paralizzata. Era svanita qualsiasi forza di resistenza dalle sue membra giovani e bianche, e i timidi occhi rossicci da scoiattolo vagavano confusi qua e là, impauriti, terrorizzati. All’improvviso perse completamente la testa e gli gettò le braccia al collo con un gridolino.
3 Famoso ristorante nell’area del parco di Djurgården.
4 Grande museo etnografico all’aperto con annesso giardino zoologico. Inaugurato nel 1892.
5 La torre panoramica sulla sommità del colle dello Skansen.
4
Il console Arvidson dava un pranzo nella sua villa al parco dell’Humlegården nonostante la stagione mondana fosse ormai avanzata. Sua moglie compiva cinquant’anni. La signora Arvidson era stata bella in gioventù; ora, negli anni della maturità, aveva palesato un’evidente somiglianza con Carlo X Gustavo.
La sala da pranzo spaziosa, oblunga, aveva soltanto due finestre sul lato corto: per questo il giorno era stato mutato in notte con la chiusura delle veneziane e l’accensione di tutte le luci dei lampadari.
Il console aveva appena dato il benvenuto agli ospiti. Il suo volto di quasi sessantenne aveva ancora quel riverbero di giovinezza che due occhi chiari, sempre alla ricerca e sempre insoddisfatti, possono a volte diffondere sulla carnagione di un uomo di mondo che sta invecchiando, una carnagione leggermente accesa da una vita gaudente.
Il colonnello Vellingk sedeva a fianco della padrona di casa; il console aveva accompagnato a tavola la signora Weber.
A Tomas Weber era toccata Märta Brehm come vicina di destra. Il giovane portava un mazzetto di viole sul risvolto del frac. Dal sabato aveva trascorso ogni sera assieme a Ellen ed era ebbro di felicità, ma anche un poco pallido. Per giustificare la sua mancata partecipazione al ricevimento di Märta si era fabbricato la storia di una festa per un esame, data da uno dei compagni di studio, alla quale lui era stato costretto a presenziare per non farsi un nemico.
Märta gli aveva appena domandato se si era divertito alla festa dei suoi compagni. «Tremendamente noiosa», dichiarò Tomas in tono credibile. «Per tutto il tempo non ho desiderato altro che venir via…».
Märta serrò gli occhi come era solita fare, e sorrise tra l’innocente e il malizioso, come se non gli credesse più di tanto. Märta Brehm aveva diciott’anni. La sua figura snella come un giunco pareva quella di una sedicenne, ma il morbido ondeggiare delle linee, sapientemente studiato, si confaceva comunque alla sua età.
Aveva un vestito color crema con lunghe e ampie maniche in tulle, nelle quali il tendersi e il piegarsi delle tenere, virginee membra trasparivano come un sogno tentatore. Aveva una minima scollatura; alla cintura e nei capelli castano chiaro portava delle viole.
Venne servito il Bordeaux, ed essi brindarono sorridenti con i loro bicchieri.
Di fronte a loro erano seduti Hall e Greta.
Greta indossava il suo vestito di porcellana, come diceva lei; un abito estivo chiaro a fiori, con un disegno bianco e blu che ricordava la porcellana antica. All’inizio la ragazza esibì un’espressione forzatamente compita, e lanciava di tanto in tanto una timida occhiata a una grande orchidea verde pallida che Hall portava all’occhiello, le cui forme bizzarre quasi la spaventavano. Le sembrava che somigliasse a un animale vivo più che a un fiore, a un raro animale acquatico che temesse la luce e che fosse stato appena pescato dai più verdi abissi marini. Quanto a Johannes Hall, lo trovava più brutto che bello, ma scoprì a poco a poco che aveva un sorriso buono e avvincente. Si affiatarono presto, e non passò molto tempo prima che Greta cominciasse a comportarsi come a casa propria.
Gabriel Mortimer, per una strana ironia della sorte, era stato messo accanto alla signora Wenschen, con la quale, all’insaputa di tutti, era da tempo in confidenza. La loro relazione non era stata, comunque, né durevole né seria. La signora Wenschen portava un vestito di seta grigia e oro, con un’ampia scollatura. Mortimer lanciò una rapida indifferente occhiata al suo petto, uno sguardo simile a quello di un turista mentre contempla un panorama già visto tanto tempo prima, al cospetto del quale aveva vissuto qualche insignificante episodio. L’uomo era di umore grigio.
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