Wannberg era di un paio d’anni più vecchio di Tomas e aveva la testa piena di questioni di interesse generale. Quel giorno era di umore fosco a causa della piega che aveva preso la battaglia elettorale in Belgio. Tomas risalì la Vasagatan assieme a lui. All’angolo con la Kungsgatan si separarono: Wannberg pranzava in un pensionato nelle vicinanze.
Tomas restò per un attimo a osservare il singolare sfondo della Vasagatan, con la chiesa inglese, una chiesetta giocattolo lavorata ad arte, di arenaria rosso pallida. Immediatamente dietro la chiesa si erge un enorme palazzo arancione, con veneziane azzurre alle finestre e solcato dalle linee parallele di sei sottili pioppi scuri. Il tutto somiglia a un arazzo senza prospettiva, a una quinta piatta messa su per gioco in mezzo alla strada, con la curiosa japonaiserie nei colori e nelle sagome che, grazie alla sua affinità con la silografia ingenuamente colorata del libro illustrato, stimola precocemente l’immaginazione del bambino quando, portato per mano dalla madre, fa le sue prime escursioni per le strade della città natale, e che molti anni dopo, a un certo punto, ritorna di notte nei suoi sogni.
Un tram lo ricondusse al centro della città.
La fiumana di persone a passeggio a metà giornata si ingrossava per le vie e per le piazze. Tomas si fermò esitante davanti alla vetrina del negozio di guanti che aveva visitato qualche ora prima. E se ne avesse comprato un altro paio? Si consumano sempre con l’andare del tempo.
Ricevette spinte su spinte da persone che si affrettavano, desiderose di raggiungere le loro tavole e alle quali lui impediva il passaggio. Stava appunto accingendosi a entrare quando, nello stesso istante, passò il Re in compagnia del generale Kurck e del Cacciator Maggiore di Corte. Il sole di primavera si rifletteva e luccicava sulla sua barba. Tomas si strinse rispettosamente contro il muro tenendo il cappello in mano, poi entrò nel negozio.
La bottega era vuota. Dentro era buio e Tomas era accecato dalla luce del sole che c’era in strada. Una signora anziana allungò la testa da dietro una tenda verde e chiamò quindi con voce smorzata verso una stanza interna:
«Ellen! Vuol venire, Ellen?».
La ragazza uscì con sollecitudine.
«Desidererei un paio di guanti rossi, misura otto».
Evidentemente lei lo riconobbe subito. Sulle prime il suo volto espresse sorpresa; poi arrossì violentemente.
Era di costituzione piuttosto robusta, ma aveva braccia esili e collo sottile. I capelli erano voluminosi, splendenti, scuri; gli occhi castano rossicci avevano uno sguardo timido. Non era molto ben vestita. Sul lato sinistro del collo aveva un leggero graffio, come se un micetto l’avesse appena segnata. Una piccola goccia di sangue rosso chiaro scendeva lentamente.
1 Nome del braccio di mare più interno alla città, tra la città vecchia e l’isolotto di Skeppsholmen.
2
Come d’abitudine, Tomas stava bevendo il caffè in camera sua dopo pranzo. Accompagnava il caffè fumando il suo sigaro olandese. La stanza era piuttosto piccola, arredata con alcuni dei mobili logori e antiquati che risalivano ai primi anni di matrimonio dei suoi genitori. La finestra dava a ponente e il sole entrava dritto in stanza: volgeva al tramonto e aveva già una sfumatura ramata. Sulla parete opposta si muoveva l’ombra, proveniente dal tetto di fronte, di una banderuola in lenta oscillazione su un camino.
La madre andava su e giù in sala da pranzo mettendo a posto qualcosa. Per un paio di minuti rimase in piedi sulla porta della camera di Tomas, osservandolo con il suo sguardo luminoso.
«Ritorni a casa dopo il teatro stasera, Tomas?».
«Non so. Può darsi che mangiamo qualcosa fuori».
Ci fu un attimo di oscurità nella stanza. Trasportata dal vento, passò davanti alla finestra una densa nuvola di fumo proveniente dalla ciminiera di una fabbrica.
«Di’, Tomas… è proprio un bene che tu passi tanto tempo con Johannes Hall?».
Tomas espirò dal naso il fumo del suo sigaro.
«Cara mamma, dovrei pur essere grande abbastanza da poter scegliere da solo i miei amici».
«Già, già, dovresti…».
Ritornò in sala. Tomas la sentì passare il panno della polvere sui tasti del pianoforte.
Pensava a Märta Brehm. Gli bastava chiudere gli occhi per sentire la sua morbida figura di ragazza scivolare dentro la stanza, sedersi al suo fianco sul divano e cingergli le braccia attorno al collo. Tra qualche anno lui sarebbe stato un famoso medico da ventimila corone all’anno; ma avrebbe potuto benissimo sposarsi già quando ne guadagnava quattro o cinquemila. Che serate al crepuscolo, soprattutto d’inverno, quando la neve turbinava agli angoli delle strade! Non osava nemmeno pensare alla prima notte di matrimonio. E che cene avrebbero dato… Märta avrebbe presieduto in abito di velluto viola.
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