Forse si sarebbe anche gettato nella vita politica, avrebbe scritto articoli sul giornale, sarebbe diventato deputato, magari ministro. Non c’era nessun paragrafo della costituzione che impediva al figlio del professor Weber di diventare Primo Ministro. In quel caso anche Wannberg avrebbe potuto avere un posto dove mettere a frutto il proprio talento e le proprie idee. E Hall… da quale ministero dipendono i teatri? Dal Ministero dell’Istruzione? Hall avrebbe potuto diventare Ministro dell’Istruzione.
L’orologio in sala batté le sette. Tomas riemerse dalle sue fantasticherie, si vestì in fretta ed era già sul punto di uscire quando Greta, la sorella diciassettenne, si aggrappò forte a lui nell’atrio e gli sussurrò:
«Mi scrivi il tema anche questa volta, Tomas?».
Greta era una ragazza pallida e bionda, dal corpo gracile. L’anno prima aveva fatto la confermazione, ma andava ancora a scuola.
«Qual è l’argomento?».
«I sacramenti».
«Col cavolo, te lo scrivi da sola».
«Ma se me lo scrivi tu io vedrò di farti venire alla festa per ragazze organizzata sabato da Märta Brehm!».
«Ma vai a quel paese…».
Tomas si divincolò e corse giù per le scale. La via era quieta e deserta; era una delle strade larghe e silenziose di Östermalm. A un tratto si accorse della solida schiena di suo padre alcuni passi avanti a lui; era dunque uscito appena prima di Tomas.
Il giovane si affiancò al padre e l’accompagnò fino all’angolo successivo.
«Dove dovete andare, papà?».
«A un’assemblea degli azionisti. E dopo ci sarà una partitina a carte a casa Kalberg».
Hall abitava in un bilocale in Kommendörsgatan. La camera più esterna era assai spaziosa, con tre finestre e un mobilio piuttosto scarso. Sopra la scrivania c’era sempre un foglio di carta bianca pulita e un lapis accuratamente appuntito.
Hall era disteso sul divano, vestito e pronto. Su una sedia, all’altezza del guanciale, c’era un vassoio con una brocca di curaçao «Wynand Fockink» e due bicchieri. Da entrambi era stato bevuto.
Aleggiava un vago odore di muschio nella stanza. Un paio di narcisi erano stati buttati sul pavimento.
Hall si passava continuamente la mano tra i capelli con espressione distratta.
«Be’, andiamo», disse infine alzandosi con un certo sforzo.
Il Teatro dell’Opera aveva quasi registrato il tutto esaurito.
Tomas trasalì quando, durante un intervallo, scorse il bel volto sognante di Märta Brehm su in un palco di prima fila. Chi era in sua compagnia? Proprio in quel momento una piccola signora paffuta, con una ricca capigliatura biondo cenere, le stava parlando, piegata verso di lei ma con il ventaglio davanti al viso. Ora lo chiuse… oh, la signora Wenschen! Tomas Weber divenne paonazzo per la rabbia. La signora Wenschen non era compagnia adatta a Märta.
«Buona sera, Tomas!».
Sentì una mano energica sulla sua spalla.
«Ma guarda, Gabriel… C’è anche tua moglie?».
«Sì, è seduta là in fondo».
Gabriel Mortimer era un cugino di sua madre: la signora Weber era nata Mortimer. Lui era un uomo sulla quarantina, funzionario in un ente statale. Aveva degli occhi azzurrogrigi e uno sguardo fisso, quasi tagliente, in un volto un po’ gelido, dai grandi tratti marcati. Indossava un frac con una cravatta nera.
Nonostante la grande differenza d’età, Mortimer aveva instaurato una specie di rapporto di amicizia con Tomas.
«Buona sera, signor funzionario; buona sera, signor Weber, caspita che caldo che fa qui…».
Era un signore un po’ calvo con un aspetto da tenore.
«Ho pranzato fuori con un direttore delle assicurazioni e con un artista, poi siamo stati al Berns», raccontò costui senza dare spiegazioni.
Tomas si guardò intorno alla ricerca di Hall, il quale però era uscito poco prima per fumare una sigaretta.
«Ah sì?», rispose Mortimer con cortese interesse. «Già, da Berns può essere davvero carino. L’ultima volta che ci sono stato, non molto di recente, un topo mi è salito sul piede e altri due sono apparsi a una certa distanza».
Il signore pelato rise con imbarazzo. Tomas si allontanò con il pretesto di andare a salutare la signora Mortimer. La trovò impegnata in una vivace discussione con un’anziana zia vestita di nero a proposito di un surrogato del caffè, presumibilmente a causa dell’annuncio pubblicitario sul sipario.
Tomas scambiò qualche parola con lei e uscì a cercare Hall; lo trovò sul marciapiede, fuori dal teatro. Lo prese per il braccio e fece quattro passi assieme a lui verso Blasieholmstorg, senza dire nulla. Il luogo era deserto al crepuscolo, il cielo vespertino s’inarcava freddo e azzurro-verde sopra le loro teste. Ogni tanto un’ombra si muoveva silenziosamente lungo i muri delle case, nella penombra.
Una ragazzina pallida uscì ansimante da un portone che si richiuse dietro di lei con un colpo. Di corsa e con il fiato corto attraversò la piazza. Nascose la testa tra le mani e si mise a singhiozzare ad alta voce.
«Perché piangeva?».
«Già… perché piangeva?».
Non c’era già più, scomparsa in un vicolo in discesa: un’ombra sottile, risucchiata e inghiottita dall’oscurità profonda che dormiva a fianco della parete grigio scuro del palazzo dei Massoni.
Un omino ingobbito si aggirava accendendo lanterne, l’una dopo l’altra. E su, oltre le masse sempre più nere dei palazzi, già brillava Venere, imponente fiore nel cielo di primavera.
Ripresero i propri posti.
«Con chi stava parlando il signor Mortimer?», domandò Hall.
«È quel signore nei cui confronti la signora Helga Wenschen tenta invano di mantenere la propria fedeltà coniugale», spiegò Tomas dottamente.
«Ah, così è lui…».
Hall seguì il grossista Wenschen con uno sguardo di vivace interesse, mentre costui, con dei salti forzatamente agili, spariva sulle scale della platea.
Il surrogato del caffè si alzò lentamente nel corso di un preludio in sordina.
«Accanto a chi è seduta stasera la signora Wenschen?» sussurrò un signore a un altro, proprio dietro Tomas, il quale si fece violenza per non voltarsi.
«Non so con sicurezza, pare sia una signorina…».
A un tratto l’orchestra suonò forte.
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