Il popolare baritono entrò dondolandosi e cominciò a cantare a squarciagola, con indosso la sua palandrana viola smerlata.

Era pieno zeppo al Rydberg. Hall, Weber e Mortimer, con la moglie e la zia, riuscirono infine a conquistarsi un divano in fondo alla grande sala da pranzo. La stanza più esterna era occupata da un convegno di veterinari che concludevano i loro lavori con una cena. Un fiume ininterrotto di clienti e camerieri si muoveva avanti e indietro attraverso la sala. Si gridava, ci si spintonava e si imprecava tra i denti. Di tanto in tanto si sentivano dei fragorosi urrà provenire dalla comitiva dei veterinari.

Entrò Jean Arvidson in frac e cravatta bianca; aveva rappresentato la sua ditta a una festa del mondo del commercio ed era in compagnia di alcuni signori dall’aspetto imprenditoriale. Si avvicinò per salutare Hall, Weber e i Mortimer; li conosceva tutti.

Era visibilmente pallido.

«Sei stato in viaggio?», disse Tomas.

«Sì, sono appena ritornato da Amburgo, anche se sembro la morte di Lubecca…».

Da un po’ di tempo non godeva di buona salute.

«Be’, noi ci vediamo domani», disse a Hall e andò a cercare la sua comitiva.

Seduto su un divano alla parete opposta, un proprietario terriero, deputato alla Prima Camera, stava urlando da una parte all’altra della sala che voleva una costoletta di maiale.

Due signori dal portamento militare si alzarono da un tavolo lì vicino per andarsene; nel passare diedero la mano a Mortimer. Erano Gabel e Grothusen. Il tenente Gabel era alto e biondo, stempiato e con un affusolato naso aquilino. I suoi pantaloni suscitavano quasi scandalo per la loro eleganza; erano incredibilmente larghi, a grandi losanghe nere e grigio chiare, tipo arlecchino, e provvisti di larghe fasce nere sui lati. Gabriel Mortimer li tastò con sincera ammirazione, si sporse all’ingiù e si portò un pezzo del tessuto proprio sotto gli occhi, perché era miope.

«Dove abita il tuo sarto?» domandò.

«Mica lo vado a dire in giro», rispose Gabel con un sorriso affabile, lusingato e offeso al tempo stesso.

Il barone Grothusen era straordinariamente brutto, ma aveva una figura assai bella.

Tomas versò l’acquavite: era «Eksjö». Riempì solo mezzo bicchiere.

Mortimer stava parlando dei quadri del principe Eugen all’ultima mostra; amava particolarmente Il vecchio castello. Contemporaneamente seguiva con gli occhi i movimenti di Tomas: non appena questi ebbe riposto la bottiglia di acquavite, lui la afferrò con un’elegante gesto della mano e, senza interrompere la frase che aveva appena cominciato, colmò il bicchiere con tale ostentazione da far traboccare l’acquavite.

Un cameriere inciampò, cadendo bocconi con un gran vassoio pieno di bicchieri e di bottiglie. Era un ragazzo giovanissimo, lottava contro il pianto. Sopraggiunse in fretta il primo cameriere. Aveva quel contegno rigidamente corretto che sta a significare il rinvio di qualsiasi punizione a un’occasione più propizia.

I veterinari urlarono di nuovo l’urrà, questa volta a tempo. Era stato tenuto un discorso.

Si era arrivati al caffè. Mortimer e Hall bevevano whisky, Tomas e le signore avevano preso del benedettino. Il ragazzo era sprofondato nei sogni. Tutt’a un tratto lo aveva preso il forte desiderio di procurarsi un paio di pantaloni uguali identici a quelli di Gabel. Hall gli diede una gomitata:

«Ci sono un paio di signori là in fondo che desiderano brindare con te!».

Tomas si ridestò e afferrò il suo bicchiere. Erano due dei suoi ex insegnanti, i professori Petersén e Mentzer. Ci si scambiò quel breve saluto con il bicchiere che lascia intendere che, almeno per il momento, si approvano i rispettivi comportamenti borghesi.

La gioia di vivere dei veterinari aveva raggiunto il culmine. Era un susseguirsi ininterrotto di urrà e si poté addirittura cogliere qualche isolato tentativo di cantare Dal profondo dei cuori svedesi 2.

La signora Mortimer cominciò a sbadigliare. Tomas sentì balenare un rimorso di coscienza: aveva dimenticato di salutare la madre prima di uscire! Era colpa di Greta che si era messa a parlare del suo tema.

La gente si era raccolta al centro della sala e il brusio tacque per alcuni secondi. Un signore anziano aveva avuto un attacco di nausea e lo si dovette portare fuori.

Mortimer, sua moglie e la zia diedero la buona notte e si congedarono. Hall e Weber si spostarono sul divano.

«Gagliarda la zia», constatò Hall. «Si è scolata tre bicchierini in un quarto d’ora».

Il numero dei clienti era andato scemando. I veterinari sul fondo si erano divisi in diversi gruppi che discorrevano fiaccamente. I camerieri si aggiravano indecisi, come pecore impaurite dopo un temporale, di un pallore grigio e con le code della marsina che pendevano flosce.

I due amici sedevano silenziosi.