Dove si era impossessato dei pantaloni di Gabel? Camminava con passo perfettamente regolare e la sua pallida faccia da rana aveva la stessa espressione corretta e sicura di sé che aveva sempre. Era evidentemente convinto di essere fuori a passeggio con il proprio soprabito sul braccio.
Una gamba dei pantaloni strisciava nel canale di scolo.
Oltrepassata la porta dell’atrio, Tomas si fermò interdetto, spaventato. Sua madre stava dormendo seduta sul cassettone della legna, in camicia da notte e con uno scialle sulle spalle. Accanto a sé aveva una candela rossa dalla fiammella guizzante che stava bruciando nel buco della bugia.
La donna assopita si svegliò di soprassalto quando sentì Tomas accostare la porta.
«Oh, Tomas, finalmente sei a casa! Mi sono seduta qua fuori per sentire quando arrivavi. Dove sei stato tutto questo tempo?».
Tomas si arrabbiò. Mica era più un bambino. Non avrebbe mai smesso di sentire certe stupidaggini?
«Al Rydberg», rispose secco.
Notò che la madre aveva pianto e aggiunse subito, con tono più mite:
«Siamo rimasti un po’ più del solito. Con noi c’era Mortimer».
La donna si calmò quando sentì che anche Mortimer era con loro.
Si apprestò a tornare in camera.
«Papà è a casa?» domandò Tomas.
«Sì, no, non è ancora rientrato, ma vado a coricarmi lo stesso, era per te che stavo in pensiero. Buona notte. Oh, Tomas, tu sei troppo giovane per stare fuori casa così spesso!».
Confusa, quasi imbarazzata, lo accarezzò sulla guancia con la mano sinistra che aveva libera, ed entrò in camera.
2 Inno in onore del re, eseguito per la prima volta nel 1844.
3
Tomas era senza soldi.
Aveva terminato un po’ troppo presto quelli ricevuti dal padre dopo l’esame e non osava chiederne subito altri. Inoltre, ultimamente, il padre aveva mostrato una certa reticenza quando il discorso andava a finire sul denaro. Giocava molto e il più delle volte perdeva, sebbene non volesse riconoscerlo; sul suo viso angelico e perfettamente rasato risplendeva sempre il silenzioso successo del vincitore.
E se si fosse rivolto alla madre? Non le avrebbe che procurato inutili preoccupazioni.
Ma neppure si poteva andare in giro con il portafoglio vuoto in quelle radiose giornate primaverili. Tomas prese a prestito trenta corone da Hall.
Già, la primavera…
Le barche giù al porto di Nybro dondolavano lentamente come in un sogno; le vele grigio scure erano tese, la notte infatti aveva piovuto. L’orologio della chiesa di Östermalm batté le nove. Tomas era già fuori. Da un fruttivendolo sulla Hamngatan comprò delle pere kaiser in un sacchetto; intendeva mangiarle all’ombra di qualche vecchissima quercia del Djurgården.
Un tram vuoto passò sui binari; Tomas saltò su. Una ragazza con un semplice soprabito grigio giunse di corsa. Voleva evidentemente prendere posto su uno dei sedili immediatamente davanti a Tomas, ma il moto della carrozza, di cui lei non aveva tenuto conto, la portò invece al sedile subito dietro di lui. Era Ellen; Tomas l’aveva riconosciuta subito. Che cosa doveva fare? Starsene seduto come uno sciocco per tutto il tragitto voltandole le spalle? Si guardò attorno con una rapida occhiata: il bigliettaio badava ad altro. Si alzò con calma, voltò la spalliera girabile della poltrona, passò dall’altro lato e si sedette di fronte alla ragazza.
«Gradisce una pera kaiser, signorina?», domandò timidamente, con deferenza.
Al principio la ragazza, spalancando gli occhioni stupiti, si rifiutò assolutamente di toccare quelle pere, ma poco più tardi ne aveva già mangiate due. Tomas le porse rispettosamente il proprio biglietto da visita; sotto il nome c’era scritto: «Baccalaureato in medicina».
Lei gli confidò di dovere sbrigare una commissione in una villa del Djurgården.
Il sole batteva ardente su palazzo Bünzow, un fiero e splendente poema cavalleresco in pietra. Tomas non finiva mai di ammirare quelle superfici murarie del passato, alle quali il costruttore, con gradazioni irregolari e appena percettibili nel colore del mattone, era riuscito a dare il carattere di ciò che ha sfidato secoli di pioggia e di vento.
Tomas cercò di avviare una conversazione intellettuale, ma ricevette solo brevi risposte imbarazzate. Nel frattempo gli occhi castani di lei, chiari come il mattino, erravano dal viso di lui alla sua cravatta, dalla cravatta alla gente a cavallo sul viale alberato.
Erano arrivati al capolinea del tram, ai piedi dell’Hasselbacken 3. Tomas la accompagnò per un tratto sulla spianata. D’improvviso lei si fermò, dicendo con tono timido e al tempo stesso da signora:
«Scusi, ma non può accompagnarmi oltre. Non sta bene che qualcuno mi veda in compagnia di un signore».
Tomas arrossì e diede un breve saluto. Seguì con gli occhi la ragazza, finché non scomparve dietro il cancello verde di un giardino, lontano. Quindi si sedette su una panchina a fumare una sigaretta.
I locali sulla spianata erano silenziosi e morti nella luce bianchissima della mattina di maggio. Tomas stava pensando a come avrebbe dovuto vestirsi quella sera; aveva scritto per Greta, come meglio aveva potuto, «Sui sacramenti», ed era stato anche puntualmente invitato al ricevimento per ragazze da Märta.
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