Ma non vi dirò nulla a nessun costo. E quanto al signor Marchese, sono tutte bugie: non mi ha neanche toccata, mai!

- Sgualdrina! - mormorava il birraio tra i denti.

- Che mi interrogate a fare se poi non mi volete credere? ripeteva ella con voce infantile.

Affrontava suo padre, lo sfidava attraverso le lacrime, si sentiva più forte della propria adolescenza, della sua cattiva adolescenza.

- Credere a te? - disse il padre alla fine. - A te? Ci vuol altro, per metter di mezzo quel poveruomo di tuo padre. Te l’ho da dire? Ha finito per confessare, il tuo spasimante.

L’ho preso in trappola con una delle mie trovate. “Potete negare fino a domani, ho detto, tanto la ragazza ha confessato tutto a me!”.

- Oh! Mam… ma, mamma, - balbettava ella - come ha avuto il coraggio… come ha avuto il coraggio…

I suoi begli occhi blu, d’un tratto asciutti e accesi, divennero color di viola; impallidì e non fu più capace che di rimasticare nella bocca inaridita qualche parola senza suono.

- Taci, vuoi ammazzarmela! - ripeteva la mamma Malorthy. - O poveri noi!

Ma, così senza parole, gli occhi blu avevano detto anche troppo. Al birraio arrivò lo sguardo di lei furtivo e pieno di disprezzo. Quella che difende i suoi nati è meno terribile e meno risoluta di quella che si vede strappare la carne della sua carne, il suo amore, ben altro frutto.

- Vàttene - balbettava il padre, offeso: - va’ via. Fuori!

Ella aspettò un momento con gli occhi bassi e le labbra tremanti, trattenendo la confessione pronta a sfuggirle come un insulto supremo. Poi raccolse il suo lavoro, l’ago e il gomitolo e passò la soglia con passo fermo, più rossa d’una legatrice di covoni nel tempo della mietitura.

Ma, una volta fuori, fece la scala in due salti e chiuse la porta come una ventata. Per la finestra socchiusa poteva spinger lo sguardo fino in fondo al viale e vedere, tra due ortensie, il cancelletto di ferro fuso, dipinto di bianco, che chiudeva il suo piccolo mondo, al limite d’un campo di porri. Di là, altre casette di mattoni, allineate, fino alla svolta della strada, dove si vedeva fumare un brutto tetto di stoppa su quattro mura di falasco cadenti; dimora di un disgraziato Lugas, ultimo mendicante del circondario.

Quelle stoppie diroccate in mezzo ai begli embrici tesi; ecco un altro mendicante, un altro uomo libero.

Si stese sul letto sprofondando la guancia nel cuscino, cercando di raccoglier le idee, di rimetterle in ordine; e non intese più, nel suo cervello confuso, che il fenomeno della collera.

Per due ore, Germana si rivolse pel capo tanti progetti quali sarebbero sufficienti a conquistare il mondo se il mondo non avesse già i suoi padroni, di cui le fanciulle non si curano. Per quanto gemesse e gridasse e piangesse, non riusciva a mutare, né poco, né tanto, l’evidenza inesorabile delle cose. Una volta conosciuto il suo segreto e confessata la colpa, che speranza le poteva restare di rivedere presto, anzi mai, il suo amante? E lui, ci si sarebbe prestato? “Se crede che io abbia tradito il nostro segreto -

pensava - non mi stimerà più”. “Una di queste mattine, piazza pulita!” aveva detto la mamma Malorthy, poco fa. Che cosa strana! Per la prima volta aveva provato una certa angoscia, non al pensiero dell’abbandono, ma a quello della sua futura solitudine. Il tradimento non le faceva paura: non ci aveva pensato mai. La piccola vita borghese, rispettabile, l’onesta casa di mattoni, la birreria bene avviata col suo motore a gas povero, la buona condotta che porta in sé la sua ricompensa, il rispetto che deve a se stessa una giovinetta, figlia di un notevole industriale, sicuro, la perdita di tutti questi beni messi insieme, non le dava nemmeno un minuto di preoccupazione.

Vedendola, alla festa, così ben vestita e pettinata con serietà; sentendo il suo riso fresco e vivo, il padre Malorthy non aveva mai dubitato che la sua ragazza non fosse accostumata, “tirata su come una regina”, com’egli diceva, talvolta, non senza orgoglio.