Diceva anche: “Io ho la mia coscienza e basta”. Ma egli non aveva saputo consultare mai altro che la sua coscienza e il suo libro mastro.
Il vento rinfrescò; da lontano i rettangoletti delle finestre si accesero uno dopo l’altro; il viale inghiaiato non fu più, di fuori, che un vago biancore; e il ridicolo giardinetto fu presto cancellato, a dismisura profondo nelle dimensioni della notte. Germana si svegliò dalla sua collera come da un sogno. Balzò dal letto, venne ad ascoltare alla porta, non sentì più nulla fuor che l’abituale russare del birraio e il ticchettio solenne della pendola: tornò alla finestra aperta, fece dieci volte il giro della sua gabbia esigua, senza rumore, agile e furtiva come una lupacchiotta. Come? Come? Già mezzanotte?
Un alto silenzio è già un po’ il pericolo e l’avventura; il bel rischio: le anime generose vi si aprono come ali. Tutto dorme, nessun legame più… “Libera!” diss’ella d’un tratto con quella voce rauca e grave che il suo amante non conosceva, e con un gemito di piacere.
Difatti era libera, adesso.
- Libera! Libera! - si ripeteva, con certezza sempre più vasta.
Certo non avrebbe saputo dire che cosa la facesse libera né quali catene fossero cadute.
Ella fioriva tutta aperta nel silenzio complice. Ancora una volta un giovane animale, la femmina, sulla soglia di una bella notte provava con esitazione, poi con ebbrezza, i suoi muscoli adulti, e i denti e l’unghiatura.
Lasciava tutto il passato come l’addiaccio di un giorno. Aprì la porta a tastoni, discese la scala scalino per scalino, fece cigolare la chiave nella toppa e ricevette in pieno viso una buffata d’aria aperta che mai non le era sembrata così frizzante.
Il giardino si allontanò come un’ombra… il cancelletto oltrepassato… la strada… la prima svolta… di là da quella, finalmente, essa respirò, lasciando alle sue spalle il villaggio oscuro, massiccio tra gli alberi. Allora sedette sull’erba del poggio tutta fremente ancora del piacere della scoperta. Il cammino percorso le parve immenso.
La notte, davanti a lei, come un asilo e come una preda. Non si proponeva nessun progetto, sentiva nel cervello un vuoto delizioso.
“Vàttene: va’ via. Fuori!” aveva detto dianzi Malorthy padre.
Niente di più semplice: l’avevano mandata fuori, e lei c’era andata.
Iii - Sono io, - rispose.
Egli si alzò d’un balzo, stupito. Un grido di tenerezza, una parola di rimprovero avrebbe senz’altro scatenata la sua rabbia. Ma la vide lì, diritta e semplice, sul limite della porta, apparentemente quasi impassibile. Dietro di lei, sulla sabbia, il gioco della sua esile ombra. Ed egli riconobbe al primo sguardo, lo sguardo serio, imperturbabile che gli piaceva e quell’altra luce piccolina, inafferrabile, che le brillava in fondo alle pupille striate. Si riconobbero a vicenda.
- Dopo la visita di tuo padre, colla folgore sul capo, a un’ora dopo mezzanotte, qui da me, te la meriteresti, guarda!
- Dio santo, come sono stanca - disse ella.
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