Perché egli si era ritenuto capace di trattare anche questa faccenda come molti altri affari, da contadino astuto, senza ombra di amor proprio. Per la prima volta lo soverchiava il tono della passione, che si esprimeva in una lingua sconosciuta.

Giacomo di Cadignan aveva da poco toccato i quarantacinque anni. Di mezza taglia, che l’età già faceva massiccia, portava a tutte le stagioni un vestito di velluto scuro che lo appesantiva dell’altro.

Pur così fatto, esercitava un certo suo fascino per una sorta di buona grazia e di rusticana cortesia di cui faceva uso con sicuro talento.

Come molti di quelli che vivono nell’ossessione di riuscire simpatici e come alla presenza, reale o immaginaria, di una compagna, per quanto si sforzasse di riuscir brusco, autoritario e perfino un po’ rude, bastava che parlasse per esprimere la sua vera natura, poiché aveva una voce che era la cosa più ricca, tutta a sfumature, con degli slanci da fanciullo viziato, intima, tenera, persuasiva, e due occhi azzurro-chiari limpidi, senza profondità e pieni di una luce fredda, che gli venivano dalla sua mamma irlandese.

- Buona sera, Malorthy - disse; - si accomodi. - Malorthy s’era, difatti, alzato in piedi.

Dopo aver preparato la sua brava allocuzione, si stupiva ora di non ritrovare neanche una parola.

Dapprima parlò come uno in sogno, aspettando che la collera gli venisse a dare una mano.

- Signor Marchese - disse - si tratta di nostra figlia!

- Ah! - fece l’altro.

- Vengo a parlarle da uomo a uomo. Da cinque giorni che la cosa è scoperta, ho riflettuto, ho ponderato il pro e il contro: non c’è che da parlare di presenza per intendersi e perciò ho preferito venire da lei prima di andar più lontano. Non siamo poi tra selvaggi, alla fine!

- Andar dove? - domandò il Marchese. Poi con lo stesso tono, aggiunse con calma: -

Non è che io voglia prendermi gioco di lei, Malorthy; ma, corpo d’una pipa, lei mi viene a proporre una sciarada! Noi siamo, tanto lei che io, due ragazzi troppo maturi per giocar d’astuzia e girare intorno al tavolino. Devo parlar io per lei? Ecco qua: la ragazzina è incinta, e lei cerca un papà al suo nipote nascituro: dico bene?

- Il figliolo è di Vossignoria, - esclamò allora il birraio senza ambagi.

La calma di quell’omaccione gli metteva il gelo alle reni. Degli argomenti che si era venuto ripetendo, partitamente e tutti insieme perentori, non ne trovava più nemmeno uno che avesse il coraggio di produrre. Nel suo cervello l’evidenza svaniva come una nebbia.

- Non facciamo scherzi - continuò il Marchese. - Io non voglio usarle scortesie prima di aver sentito le sue ragioni. Noi ci conosciamo, Malorthy. lei sa bene che sulle belle ragazze io non ci sputo su; ho fatto anch’io, come tutti al mondo, le mie scappatelle.

Ma, in fede di galantuomo, non si fabbrica un figlio in questo paese, senza che quelle dannate delle vostre comari non vadano a spulciare i se e i ma e i sembra e i forse.

Non siamo più all’epoca del feudalismo: io non mi prendo mai nulla che non mi sia stato prima liberamente concesso. La Repubblica c’è per tutti, corpo di mille cani!

“La Repubblica!” pensava, stupefatto, il birraio; e prendeva questa confessione di fede per una fanfaronata, sebbene il Marchese avesse parlato senza enfasi e da vero contadino si sentisse in simpatia verso un governo che presiede ai concorsi agricoli e premia il bestiame più bello e più grasso. Le idee del castellano di Campagne sulla politica e sulla storia erano, d’altro lato, press’a poco quelle dell’ultimo dei suoi castaldi.

- Sicché? - disse Malorthy, che aspettava sempre un sì o un no.

- Sicché io le perdono di essersi lasciato, come si dice, scappare la carica. Lei, il suo deputato del diavolo, e tutti i peggiori giovinastri del paese, mi avete fatto una fama di Barbablù.