Scusa, Bettina: ma la cena non è ancora preparata? Io ho un appetito che paion due.

BETTINA: La cena è preparata: ma il babbo legge il giornale, e quando avrà finito li farà chiamare.

GINO: Vuoi sapere perché il teatro mi piace tanto? perché dopo il teatro, ci tocca la cena.

BETTINA: O che forse non cena anche le altre sere?

GINO: Sì: ma l'altre sere io e l'Ida ci fanno cenare alle otto, per poi mandarci a letto. Cenare alle otto mi pare una cena da polli.

ALFREDO: Che cosa vorresti fare tutta la sera levato? Dopo le ventiquattro ti addormenteresti sul canapè.

GINO: Io, anzi, non ho mai sonno.

ALFREDO: Bravo! Meno male che ti sei addormentato anche stasera.

GINO: Dove?

ALFREDO: Nel palco.

GINO: Quando?

ALFREDO: A metà del second'atto: non è vero, Ida?

IDA: M'è parso anche a me.

GINO: Nossignori: sbagliano, non dormivo.

ALFREDO: O allora che cosa facevi?

GINO (un po' confuso): Pareva che dormissi... ma invece pensavo.

ALFREDO (ridendo): O che per pensare c'è forse bisogno di chiudere gli occhi?

CINO: Secondo i naturali delle persone. Per esempio, anche il nostro maestro di scuola qualche volta, specialmente nelle ore calde dell'estate, ci dice: “Ragazzi, siate buoni e non fate tanto chiasso, perché ho bisogno di pensare cinque minuti a una cosa”; e quando ha detto così, appoggia la testa alla spalliera della poltrona, chiude gli occhi, apre la bocca e comincia a pensare...

ALFREDO: Ossia, comincierà a dormire.

GINO: Nossignore, non dorme: tant'è vero che, se urliamo troppo forte, si sveglia subito e ci fa una strapazzata di quelle co' fiocchi... Ma dunque, si va o non si va a cena? Ho una fame che la vedo.

BETTINA: Abbia pazienza altri due minuti.

ALFREDO: Intanto che si aspetta, si fa una bella cosa?

GINO E IDA (insieme): Sentiamo.

ALFREDO: si ripete fra noi tre quella bella scena della commedia, dove il figlio riconosce sua madre?

IDA: Ripetiamola davvero.

GINO: No, no: io voglio prima ripetere alla Bettina il discorso che ha fatto il brillante, quando è venuto sulla scena in maniche di camicia. Vuoi sentirlo, Bettina? (si leva la giacchettina, la butta sul canapè e rimane in maniche di camicia.)

BETTINA: Perché si è levata la giacchettina?

GINO: Voglio farti vedere il brillante tale e quale.

BETTINA: Io non voglio vedere tanti brillanti. Io voglio che si rimetta subito la giacchettina. Ma non lo sa che a questi freddi potrebbe prendere un'infreddatura come nulla?

GINO: Un'infreddatura? non mi parrebbe vero di prenderla. Almeno il babbo mi comprerebbe le pasticche di lichene.

IDA: Vergognati, ghiottonaccio!

GINO: Mi piacciono tanto le pasticche di lichene!... E, invece, a farlo apposta, non infreddo mai. Si vede proprio che sono nato disgraziato! (Rimettendosi la giacchettina.)

ALFREDO: Dunque si fa questa scena, dove il figlio riconosce la madre?

GINO: Scusa, Alfredo: spiegami prima una cosa, che non ho potuto capire. Nella commedia di stasera, la madre sa fin dal principio che Carlo è suo figlio, non è vero?

ALFREDO: Sicuro che lo sa.

GINO: E se lo sa, mi dici perché aspetta a farsi riconoscere da lui, proprio all'ultima scena dell'ultimo atto?

ALFREDO: Povero figlio! Bisogna proprio dire che non hai nemmeno l'ombra del genio drammatico! O non capisci che se la madre si facesse riconoscere alla prima, la commedia finirebbe subito, e noi a quest'ora saremmo tutti a letto da un bel pezzo? Invece la madre, aspettando a farsi riconoscere proprio all'ultimo atto, costringe il pubblico a rimanere in teatro fino alle undici sonate: e così la gente, quando torna a casa, è tutta contenta, perché sa di avere spesi giustificati i suoi quattrini per il biglietto d'ingresso: mi sono spiegato?

GINO: Ora ho capito tutto. E io m'ero figurato invece che quella mamma di Carlo facesse un po' di burletta.

ALFREDO: Diavol mai! O che si fanno le burlette anche nelle commedie serie?... Non ci mancherebb'altro!

IDA: Dunque si recita o non si recita questa scena?

ALFREDO: Lasciatemi distribuire le parti a me. Io farò da Carlo, ossia da figlio, e tu, Ida, farai la parte della madre.

GINO: E io?

ALFREDO: E tu farai da marito, ossia farai la parte di quello che arriva da ultimo e che tira la revolverata.

GINO: Fossi matto! Io non le faccio quelle brutte cosacce!

ALFREDO: S'intende bene che, invece di tirare colla pistola, tu farai il colpo con la bocca.

GINO: Come sarebbe a dire?

ALFREDO: Tu farai colla bocca: bum!

GINO: E quando lo debbo fare?

ALFREDO: Quando sarà il momento.

GINO: Ho capito.

ALFREDO: Dunque attenti. Io starò da questa parte: tu, Ida, mettiti là, vicina a quella tavola, per poterti appoggiare, quando dovrà venirti lo svenimento.

GINO: E io?

ALFREDO: E tu nasconditi dietro quella porta: e quando sarà il momento, uscirai fuori tutt'a un tratto e farai: bum!

IDA: Se io faccio la parte di madre, tocca a me a incominciare.

ALFREDO: Comincia pure: io son pronto.

IDA (movendosi e gestendo drammaticamente): “No, Carlo, voi non partirete... Oh! Dio!... se voi poteste... oh! Dio!... vedere i tormenti... e lo strazio... oh! Dio... di quest'anima!... Oh! Dio, pietà... di questa povera infelice...”

IL CAMERIERE (affacciandosi sulla porta): Signorini, il babbo li chiama a cena.

ALFREDO: Eccoci subito. Su, Ida; riattacca subito la tua parte, ma mettici un po' più di passione... un po' più di singhiozzo... molto singhiozzo.

IDA (declamando): “Oh! Carlo! Se poteste leggere... Oh Dio... in questo cuore...