E a che serviva, lui, Jukes, incollato sul ponte, se non era neppur capace di mandare uno di quei buffi fannulloni di marinai di ponte per orientare le maniche a vento?
Le relazioni fra la sala delle macchine e il ponte del Nan-Shan erano, come si sa, quasi fraterne; così Jukes, chinandosi sulla ringhiera, pregò l’altro, con tono contenuto, di non far l’imbecille: il principale si trovava dall’altra parte della passerella. Ma il secondo macchinista, completamente fuori di sé, dichiarò che se ne infischiava altamente di chi si trovava dall’altra parte della passerella. Jukes, perdendo allora bruscamente la calma, invitò il secondo macchinista in termini energici ad accomodare come voleva i suoi ridicoli apparecchi, e procurarsi tutto il vento che un asino della sua specie poteva trovare. Il secondo si precipitò sul ventilatore come ad una battaglia; si sarebbe detto che volesse strapparlo, lanciarlo tutto intero sopra bordo; ma i suoi sforzi rabbiosi non riuscirono che a far rotare di qualche grado il cappuccio; dopo di che, esaurito per l’enorme fatica, si appoggiò alla cabina del timone e guardò Jukes che veniva verso di lui:
— Dio mio! — mormorò con voce fievole.
Levò gli occhi verso il cielo, poi abbassò lo sguardo istupidito sull’orizzonte, che, sollevatosi fino a formare un angolo di quaranta gradi, si tenne per qualche istante là in alto, poi si rimise a posto mollemente.
—Ah! Signore! Che succede dunque lassù?
Jukes, che si teneva in equilibrio con le lunghe gambe aperte a compasso, assunse un’aria di superiorità.
— Questa volta, ci siamo — disse. — Il barometro ruzzola come non ho mai veduto, Harry. E voi che mi piantate questa stupida scena!
La parola «barometro» sembrò ravvivare la folle animosità del secondo macchinista. Raccogliendo di nuovo tutta la sua energia, consigliò a Jukes, con voce sorda e rabbiosa, di ficcarsi l’istrumento nella gola. Che glie n’importava del suo barometro del malanno? Era il vapore delle caldaie, non la pressione del vapore dell’aria, che si abbassava. Tra i fuochisti che svenivano e un capo che diventava impossibile, non era più una vita, la sua. Poteva saltare ogni cosa, dopo tutto; quanto a lui se n’infischiava come della bestemmia di uno stagnino.
Pareva quasi che volesse mettersi a piangere, ma avendo ripreso lena, conchiuse, in un oscuro brontolio: «Penso io a farli ballare». E si allontanò precipitosamente. Si arrestò un istante ancora sulla sommità della scala e tese il pugno verso il dello, donde veniva una luce strana; poi, con un’imprecazione, scomparve nel buco nero.
Quando Jukes si volse, i suoi occhi si fermarono sulla schiena curva e sulle larghe orecchie rosse del capitano, che aveva attraversato la passerella.
— È un uomo assai violento, questo secondo macchinista
— gli disse Mac Whirr senza voltarsi.
— Un bravo secondo, in ogni caso — brontolò Jukes. —
Non riescono a mantenere la pressione — aggiunse rapidamente, precipitandosi verso la ringhiera, in vista di un nuovo sbandamento della nave.
Il capitano Mac Whirr, che non v’era preparato, partì al piccolo trotto, poi, con uno scossone, si rimise in equilibrio accanto ad un’asta da tenda.
— Un uomo grossolano — riprese. — Se ciò continua, sarò costretto a liberarmene alla prima occasione.
— È il caldo — disse Jukes. — Il tempo è terribile.
Farebbe bestemmiare un santo. Anche qui, in alto, ci si sente la testa come avvolta in una coperta di lana.
— Volete dire che avete avuto qualche volta la testa avvolta in una coperta di lana, Jukes? È questo?
— È un modo di dire, capitano — rispose Jukes stupidamente.
— Come correte voialtri! E che cosa sono questi santi che bestemmiano? Vorrei proprio che non parlaste così storditamente. Qua! genere di santo potrebbe essere quello che bestemmia? Non più santo di voi, immagino.
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