— Una tempesta è una tempesta, Jukes — riprese il capitano — e ad una nave in piena efficienza non rimane che affrontarla. Il brutto tempo se ne va vagando per il mondo e la cosa migliore da fare è di tenergli testa senza incaricarsi di quel che il vecchio capitano Wilson della Melita chiama la
«strategia delle tempeste». L’ho udito l’altro giorno, a terra, che ricamava su questo argomento davanti ad una banda di capitani venuti a sedersi a una tavola accanto alla mia. Questa mi è sembrata la più grossa delle frottole. Raccontava in qual modo aveva sventato (mi pare che sia questa la parola di cui si è servito) un terribile colpo di vento, con tanta abilità che se ne tenne costantemente lontano più di cinquanta miglia.
Chiamava questo un capolavoro di bella manovra. Ma come facesse a sapere che vi era un terribile colpo di vento a cinquanta miglia da lui, è una cosa che non m’entra nella testa.
Avevo l’impressione di stare ad ascoltare uno squilibrato.
Eppure avrei pensato che il capitano Wilson fosse abbastanza vecchio per intendersene.
Il capitano Mac Whirr tacque un momento, poi disse:
— È il vostro quarto di riposo, Jukes?
Jukes si riebbe con un sussulto:
— Sì, capitano.
— Date ordine che mi avvertano al minimo cambiamento.
Si tirò su per rimettere a posto il libro, e poi sistemò le gambe nella cuccetta.
— Chiudete la porta in modo che non si riapra, per favore. Non posso sopportare una porta che batte. Hanno messo un mucchio di serrature guaste su questo battello, bisogna riconoscerlo.
Il capitano Mac Whirr chiuse gli occhi.
Li chiuse per riposarsi. Era stanco, si sentiva in quello stato di vuoto mentale che sopravviene a seguito di una discussione esauriente, dalla quale si sia ricavata qualche convinzione inconsciamente maturata nel corso di lunghi anni di meditazione. In realtà, aveva fatto, a sua insaputa, la propria professione di fede, ciò che ebbe per effetto di lasciar Jukes perplesso, dall’altro lato della porta, a grattarsi la testa per un tempo piuttosto lungo.
Il capitano Mac Whirr riaprì gli occhi.
Pensò di aver dormito. Ma che cos’era tutto questo baccano? Il vento? Perché non l’avevano chiamato? La lampada si agitava nella coppa di vetro, il barometro descriveva ampi cerchi; il tavolo modificava il suo pendio ad ogni istante; un paio di stivali molli, coi gambali afflosciati, scivolarono accanto alla cuccetta. Allungò il braccio rapidamente e s’impadronì a volo di uno di essi.
Il volto di Jukes apparve nella fessura della porta; il suo volto solo, assai rosso, con gli occhi sconvolti. La fiamma della lampada ebbe un sussulto, un pezzo di carta volò via, e la ventata avvolse il capitano Mac Whirr. Mentre infilava lo stivale, questi levò uno sguardo interrogatore sui lineamenti congestionati di Jukes.
— È venuto così — gridò Jukes — non sono neppure cinque minuti… all’improvviso.
La testa scomparve, la porta sbatté e si udì subito abbattersi contro di essa un pesante schiaffo liquido, poi uno scrosciare di acquazzone, come se avessero precipitato contro la camera di navigazione un gran secchio pieno di granaglia. Un sibilo si elevava ora sopra il frastuono esterno. L’ermetica camera di navigazione sembrava spazzata dal vento come una tettoia squarciata.
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