— Hanno finito tutti il loro contratto di sette anni — disse il capitano Mac Whirr — e ciascuno possiede una cassetta di legno di canfora.

Il carpentiere doveva cominciare subito a inchiodare tavole di tre pollici lungo il frapponte, da prua a poppa, per impedire a quelle cassette di muoversi quando vi fosse il mare grosso.

Jukes farebbe meglio ad occuparsene senza ritardo:

— Avete inteso, Jukes?

Quanto al cinese lì presente, egli accompagnerebbe la nave fino a Fu-ceu, dove potrebbe servire d’interprete; era il commesso della Bun-Hin, che desiderava rendersi conto dello spazio disponibile. Jukes doveva accompagnarlo.

— Avete inteso, Jukes?

Jukes ebbe cura di punteggiare queste istruzioni con l’obbligatorio: «Sì, capitano» pronunziato senza entusiasmo nei punti voluti. Un brusco: «Andiamo, John. Apri gli occhi»

mise in moto il cinese dietro i suoi talloni.

— Guardare dappertutto se vuoi, vedere tutto se possibile

— disse Jukes, che non aveva alcuna disposizione per le lingue straniere e trovava il mezzo di massacrare anche il pidgin. Mostrò col dito il boccaporto aperto.

— Ecco posto per dormire. Tu veder bene, eh?

Era burbero come conviene quando ci si sente di razza superiore, ma non ostile. Il cinese contemplava triste e silenzioso l’oscurità del boccaporto, come se si trovasse all’ingresso di una tomba.

—Niente pioggia cadere laggiù: vedi? — continuava Jukes. — Supporre sempre bel tempo come ora, il coolie monta su. Fa così: Foooooo!

Dilatò il petto e gonfiò le guance.

— Compreso, John? respirare aria fresca. Buono, eh?

Lui lavare pantaloni, mangiare chow-chow in alto: compreso, John?

La sua fantasia si riscaldava. Con strani gesti della bocca e delle mani, fingeva di mangiare riso e di lavare panni, e il cinese, dissimulando la diffidenza che questa pantomina gli ispirava, sotto un’aria raccolta, con una sfumatura di delicata e sottile melanconia, girava i suoi occhi a mandorla, da Jukes al boccaporto, dal boccaporto a Jukes.

— Benissimo — mormorò con voce bassa e desolata.

Poi scivolando lungo i ponti, girando gli ostacoli, scomparve improvvisamente sotto un carico, sospeso alla catena della gru, di dieci sacchi polverosi, pieni di qualche preziosa mercanzia, dall’odore nauseabondo.

Il capitano Mac Whirr, intanto, si era recato sulla passerella, poi nella camera di navigazione, dove si trattenne per finire una lettera cominciata da due giorni, una delle sue lunghe lettere alla moglie, che cominciavano tutte con le parole: «Mia carissima moglie» e di cui lo steward aveva agio di prendere cognizione fra due colpi di piumino dati ai cronometri o due colpi di granata sul pavimento. I minuti particolari su ogni partenza del Nan-Shan interessavano probabilmente lo steward molto più che la donna alla quale quei resoconti erano destinati.

Le lettere, interminabilmente piene della constatazione laboriosa dei soli fatti minuti ai quali la coscienza di Mac Whirr fosse sensibile, andavano a trovare la signora Mac Whirr nei sobborghi al nord di Londra; una casetta con un pezzo di giardino sul davanti, con una balconata sporgente, un portico di discreta apparenza, una porta d’ingresso a vetri colorati montati su un telaio di piombo. Pagava quarantacinque sterline l’anno per tutto questo, e non trovava la pigione troppo elevata, perché la signora Mac Whirr (persona arcigna, dal collo scarno e dalle maniere pretenziose) era di buona nascita ed aveva conosciuto giorni migliori. La consideravano nel vicinato come una «lady» e come persona «assolutamente superiore». L’unico segreto della sua vita era il vergognoso terrore del giorno in cui il marito rientrerebbe in casa e vi si fermerebbe per sempre. Sotto lo stesso tetto vivevano anche la figlia Lidia ed il figlio Tom. Conoscevano entrambi pochissimo il padre. Il capitano non era per loro nulla di più che il visitatore raro e privilegiato, che, la sera, fumava la pipa in sala da pranzo, e che restava a dormire. Lidia, fanciulletta languida, era piuttosto urtata dai suoi modi; il ragazzo invece manifestava una completa indifferenza, con quella maniera franca, naturale e graziosa che è propria dei giovani.