Talvolta prendeva cose che lui non aveva chiesto e gliele premeva in mano senza parlare. Una volta però disse «Karl» e tra smorfie e sospiri lo condusse, ancora tutto sorpreso per quell'inaspettato modo di fare, nella sua cameretta che chiuse a chiave. Gli si avvinghiò al collo così forte che quasi gli mancò il respiro, e mentre lo pregava di spogliarla in realtà era lei a spogliare lui, e poi lo mise nel letto, come se non volesse più cederlo a nessun altro, e volesse invece carezzarlo e avere cura di lui sino alla fine del mondo. «Karl, Karl mio!», gridava, come se lo vedesse suo e volesse confermare a se stessa il suo possesso, mentre lui non vedeva nulla e si sentiva a disagio tra le molte calde coperte che essa sembrava aver ammucchiato solo per lui. Poi gli si coricò accanto e voleva sapere da lui certi segreti, ma lui non seppe dirgliene nessuno, lei si arrabbiava o faceva finta di arrabbiarsi, lo scuoteva, ascoltava i battiti del suo cuore, gli porgeva il petto perché anche lui ascoltasse il suo ma non riuscì a indurcelo, premeva il suo ventre nudo contro il corpo di lui, con la mano gli cercava tra le gambe, in modo così ripugnante che Karl levò di scatto la testa dai cuscini, poi lo urtò alcune volte col ventre — a Karl sembrò che fosse diventata parte di lui, e forse per questo fu colto da un tremendo bisogno di aiuto. Finalmente lui tornò piangendo al proprio letto, dopo molte preghiere di lei che si sarebbero rivisti. Questo era tutto, eppure lo zio era riuscito a farne una storia in grande. Anche la cuoca dunque aveva pensato a lui, e aveva informato lo zio del suo arrivo. Era stato un bel gesto da parte sua, e forse un giorno Karl glielo avrebbe ricambiato.

«E adesso», gridò il senatóre, «voglio sentire chiaramente da te se sono o no tuo zio.»

«Sei mio zio», disse Karl baciandogli la mano e ricevendo a sua volta un bacio in fronte. «Sono molto contento di averti incontrato, però sei in errore se credi che i miei genitori dicano soltanto cose cattive di te. Ma a parte questo, il tuo discorso conteneva alcuni errori, voglio dire cioè che non tutto è andato come tu hai detto. Veramente di qui tu non puoi giudicare le cose tanto bene, e credo inoltre che non sarà un gran danno se i signori sono stati informati non del tutto esattamente sui particolari di una faccenda di cui a loro deve importare ben poco.»

«Ben detto», disse il senatore, poi condusse Karl dal capitano che mostrava una grande simpatia e gli chiese: «Non ho un nipote magnifico?».

«Sono felice», disse il capitano con un inchino quale sanno fare solo le persone che hanno ricevuto un'educazione militare, «di aver fatto la conoscenza di suo nipote, signor senatore. È per la mia nave un onore speciale di essere stata il luogo di un simile incontro. Ma il viaggio sull'interponte dev'essere stato molto duro, già, non si può mai sapere con chi si viaggia lì. Facciamo il possibile per render meno dura la traversata ai passeggeri dell'interponte, molto più per esempio delle linee americane, ma far diventare un viaggio del genere un piacere, questo non ci è ancora riuscito.»

«Male non mi ha fatto», disse Karl.

«Male non gli ha fatto!», ripetè il senatore ridendo forte.

«Soltanto la valigia credo di aver...», e così dicendo si ricordò di tutto quel che era successo e di quel che ancora restava da fare, si guardò attorno e vide tutti i presenti che, muti per il rispetto e lo stupore, non si erano mossi dai loro posti, con gli occhi fissi su di lui.

Soltanto nei funzionari della capitaneria si notava, per quanto era dato di capire dai loro volti severi e presuntuosi, il fastidio per essere andati là in un momento così inopportuno, e l'orologio da taschino che adesso avevano posato davanti a sé sembrava per loro più importante di tutto quel che stava succedendo e che poteva ancora succedere nella stanza.

Dopo il capitano, il primo ad esprimere la propria simpatia fu stranamente il fuochista. «Mi congratulo di cuore con lei», disse a Karl e gli strinse la mano, come volendo esternare anche un senso di riconoscenza. Quando volle rivolgere le stesse parole anche al senatore, questi si trasse indietro come se il fuochista abusasse dei suoi diritti; e il fuochista subito desistette.

Ma adesso anche gli altri avevano capito quel che bisognava fare, e subito intorno a Karl e al senatore ci fu una babele. Così accadde che Karl ricevesse le congratulazioni anche da Schubal e le accettasse ringraziando. Da ultimi, ristabilitasi la calma, si fecero avanti i funzionari della capitaneria e dissero due parole in inglese, il che fece un effetto piuttosto ridicolo.

Per assaporare pienamente la sua gioia, al senatore venne voglia di ricordare a sé e agli altri alcuni episodi secondari, e questo naturalmente fu non solo sopportato, ma anche accolto con interesse dagli altri. Così egli raccontò di aver copiato sul suo taccuino i tratti distintivi più salienti di Karl riportati nella lettera della cuoca, per potersene subito servire qualora occorresse. Ora, durante le ciance insopportabili dei fuochista, aveva tirato fuori il taccuino al solo scopo di distrarsi un poco, e aveva cercato così per gioco di collegare l'aspetto di Karl con i dati non certo poliziescamente esatti forniti dalla cuoca. «E così si finisce per trovare un nipote!», concluse con un tono come se volesse ricevere altre congratulazioni.

«Adesso che cosa succederà al fuochista?», chiese Karl sorvolando sull'ultimo racconto dello zio. Pensava che, nella sua nuova posizione, gli fosse concesso dire tutto quel che pensava.

«Al fuochista succederà quel che si merita», disse il senatore, «e quel che il signor capitano riterrà giusto. Credo che del fuochista ne abbiamo abbastanza e più che abbastanza, e tutti i signori presenti saranno senz'altro d'accordo con me.»

«Ma non è questo il punto, in una questione di giustizia», disse Karl. Stava tra lo zio e il capitano e, forse influenzato da quella collocazione, credeva che la soluzione fosse in mano sua.

Eppure il fuochista non pareva sperar più nulla per sé. Teneva le mani mezzo infilate nella cinghia dei pantaloni, che a causa dei suoi movimenti scomposti era spuntata fuori insieme con un pezzo di camicia a disegni. La cosa non lo preoccupava minimamente; aveva espresso a tutti il suo dolore, adesso vedessero pure anche gli stracci che portava addosso, e poi lo portassero pure via. Immaginò che sarebbero stati il servitore e Schubal, come quelli di rango più basso, a rendergli quest'ultimo favore. Così Schubal avrebbe ritrovato la sua pace e non avrebbe avuto più da disperarsi, come aveva detto il cassiere capo. Il capitano avrebbe potuto assumere tutti rumeni, si sarebbe sentito parlar rumeno dappertutto, e così forse tutto sarebbe andato meglio davvero.