Invece tollerava che Green, quel vecchio scapolo matricolato newyorkese, mettesse le mani addosso a Klara con intenzioni inequivocabili, offendesse Karl, ospite di Pollunder, o quanto meno lo trattasse come un ragazzino, e si caricasse di energie per spingersi a chissà quali imprese.
Quando ebbero finito di cenare — Green, come si accorse dell'atmosfera generale, fu il primo ad alzarsi, costringendo in un certo senso anche gli altri a seguirlo — Karl si appartò presso una delle grandi finestre, suddivise da sottili listelli bianchi, che davano sul terrazzo e che, come si accorse quando fu vicino, erano delle porte vere e proprie. Che cosa restava dell'antipatia che all'inizio il signor Pollunder e sua figlia avevano provato per Green, e che a Karl era quasi sembrata inesplicabile? Adesso stavano con Green e facevano grandi cenni d'approvazione con la testa. Il fumo del sigaro del signor Green, un regalo di Pollunder, di una grossezza di cui talvolta il padre di Karl aveva parlato come di un qualcosa che esisteva, ma lui probabilmente non ne aveva mai visto uno coi propri occhi, si diffondeva nella sala espandendo la presenza di Green anche negli angoli e nelle nicchie dove lui personalmente non sarebbe mai potuto arrivare. Per quanto fosse lontano, Karl si sentiva pizzicare il naso per quel fumo, e il comportamento del signor Green, che Karl dal suo posto si era volto a guardare una sola volta e di sfuggita, gli pareva infame. Adesso non si sentiva neanche più di escludere che lo zio gli avesse negato tanto a lungo il permesso di far quella visita in quanto conosceva il carattere debole di Pollunder e, pur senza prevedere con certezza che Klara avrebbe subito qualche offesa, tuttavia considerava la cosa come possibile. Neanche la ragazza americana gli piaceva, benché non se la fosse affatto immaginata molto più bella. Però da quando il signor Green la faceva oggetto delle sue attenzioni, Karl era addirittura stupefatto della bellezza che il viso di lei poteva assumere, e soprattutto dello splendore dei suoi occhi vivaci e saettanti. Una gonna che stringesse il corpo come la sua non l'aveva ancora mai vista, piccole pieghe nella stoffa giallognola, compatta e delicata denunciavano quanto essa era tesa. E tuttavia a Karl non importava niente di lei, e volentieri avrebbe rinunciato a farsi condurre nelle sue stanze, purché gli fosse stato consentito di aprire la porta, sulla cui maniglia a ogni buon conto aveva poggiato le mani, salire in automobile oppure, se l'autista era già andato a dormire, tornarsene a piedi da solo a New York. La notte chiara, con la luna che si chinava su di lui, era aperta a tutti, e gli sembrava assurdo che si potesse aver paura là fuori. Si immaginò — e per la prima volta in quella sala si sentì bene — che la mattina — a piedi non sarebbe riuscito ad arrivare prima — avrebbe fatto una sorpresa allo zio. Veramente non era ancora mai stato nella camera da letto dello zio, non sapeva neanche dove fosse, ma avrebbe chiesto. Allora avrebbe bussato e al rituale «Avanti» sarebbe entrato di corsa e avrebbe sorpreso il suo caro zio seduto nel letto, con gli occhi stupiti rivolti alla porta, in camicia da notte, lui che sino allora aveva visto soltanto vestito e abbottonato fino alle orecchie. Forse questo in sé e per sé non voleva dir molto, ma bastava considerarne le possibili conseguenze. Forse per la prima volta avrebbe fatto colazione con lo zio, lo zio a letto e lui su una poltrona, la colazione su un tavolino in mezzo a loro, forse quella colazione assieme sarebbe diventata un'abitudine, forse grazie a quel modo di far colazione sarebbe addirittura diventato inevitabile vedersi più spesso che una sola volta al giorno, com'era stato sino allora, e naturalmente parlare assieme con maggior confidenza. In fondo dipendeva soltanto dalla mancanza di questa confidenza se quel giorno lui era stato un po' disubbidiente, o per meglio dire ostinato, con lo zio. E anche se quella notte doveva restar lì — e pareva proprio che così sarebbe stato, sebbene lo lasciassero accanto alla finestra a cavarsela da solo —, forse quella sciagurata visita sarebbe stata la crisi che avrebbe fatto migliorare i suoi rapporti con lo zio, forse lo zio, nella sua camera da letto, quella sera pensava anche lui le stesse cose.
Un po' consolato si voltò. Klara stava davanti a lui e gli diceva: «Davvero non le piace star qui da noi? Non vuole sentirsi un po' a suo agio? venga, farò l'ultimo tentativo».
Lo condusse attraverso la sala verso la porta. I due signori sedevano a un tavolino laterale, davanti a lunghi bicchieri colmi di una bevanda che spumava leggermente; Karl non la conosceva, e avrebbe avuto voglia di assaggiarla. Il signor Green poggiava un gomito sul tavolo, e aveva avvicinato il più possibile il viso al viso del signor Pollunder; chi non avesse conosciuto il signor Pollunder avrebbe potuto credere che stessero discutendo di un delitto, e non di un affare. Mentre il signor Pollunder seguì con uno sguardo amichevole Karl che si dirigeva alla porta, Green, benché sia naturale volgere involontariamente gli occhi dove si dirige lo sguardo di chi ci sta di fronte, non accennò minimamente a voltarsi verso Karl, al quale in questo suo contegno sembrò di veder manifestarsi una sorta di convincimento da parte sua, che cioè ciascuno di loro due, Karl per suo conto e Green per suo conto, dovesse cercare di cavarsela con le proprie capacità, e che col tempo gli indispensabili rapporti sociali tra loro si sarebbero stabiliti sulla vittoria o l'annientamento di uno di loro due.
«Se pensa così», si disse Karl, «è un pazzo. Io davvero non voglio niente da lui, e anche lui mi lasci in pace.» Appena fu nel corridoio gli venne in mente di essersi forse comportato in modo scortese perché, avendo gli occhi fissi su Green, si era fatto quasi trascinar via dalla stanza da Klara. Tanto più docilmente perciò camminò ora al suo fianco. Nel traversare i corridoi lì per lì non credette ai propri occhi, quando vide a ogni venti passi un servitore dalla ricca livrea con un candelabro, di cui reggeva il grosso fusto con tutt'e due le mani.
«Per ora abbiamo installato l'impianto elettrico solo in sala da pranzo», spiegò Klara. «Abbiamo comprato da poco questa casa e l'abbiamo tutta ristrutturata, per quanto è possibile ristrutturare una vecchia casa con tutti i suoi capricci stilistici.»
«Quindi esistono vecchie case anche in America», disse Karl.
«Naturalmente», rispose Klara ridendo e trascinandolo avanti. «Lei ha una strana idea dell'America.»
«Non si prenda gioco di me», disse Karl irritato. In fondo lui conosceva già l'Europa e l'America, mentre lei soltanto l'America.
Nel passare Klara, tendendo appena la mano, socchiuse una porta e disse senza fermarsi: «Lei dormirà qui».
Naturalmente Karl volle subito vedere la stanza, ma Klara dichiarò impaziente e quasi gridando che c'era tempo, e che prima doveva andare con lei. Ci fu un breve tira e molla nel corridoio e alla fine Karl, ritenendo di non dover far sempre quello che voleva lei, si strappò via da Klara ed entrò nella stanza. Il buio inatteso che trovò davanti alla finestra era dovuto alla cima di un albero che vi si dondolava in tutta la sua ampiezza. Si sentivano cantare degli uccelli.
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