Ma anche nella stanza, in cui ancora non penetrava la luce della luna, non si distingueva quasi nulla. Karl rimpianse di non aver portato con sé la lampadina tascabile che lo zio gli aveva regalato. In quella casa una lampadina tascabile era indispensabile, se ne avessero avuto un paio avrebbero potuto mandare a dormire i servitori, Si sedette sul davanzale della finestra e guardò fuori ascoltando. Gli parve di udire un uccello spaventato che cercava rifugio tra il fogliame. Da qualche parte nella campagna si sentì il fischio di un treno suburbano. Per il resto tutto era silenzio.
Ma non per molto, perché Klara si precipitò nella stanza. Visibilmente irritata gridò: «Che significa questo?», e batté la mano sulla gonna. Karl decise di risponderle solo quando si fosse rivolta a lui con più gentilezza. Ma lei gli si avvicinò a gran passi e gridò: «Allora, vuole venir con me o no?», e intenzionalmente, oppure soltanto perché era irritata, gli diede un tal colpo sul petto che lui sarebbe caduto giù dalla finestra se all'ultimo momento, lasciandosi scivolar giù dal davanzale, non avesse poggiato i piedi per terra.
«C'è mancato poco che cadessi», disse in tono di rimprovero.
«Mi dispiace solo che non sia successo davvero. Perché è così screanzato? Adesso le dò un'altra spinta e la butto di sotto.» E davvero lo afferrò e, col corpo che lo sport aveva reso quasi d'acciaio, lo trascinò fin quasi alla finestra mentre lui, nella prima sorpresa del momento, non pensò neanche di opporre a quella spinta tutto il suo peso. Ma poi si riprese, si liberò con una torsione dei fianchi e la abbracciò.
«Ahi, mi fa male», disse subito lei.
Ma Karl riteneva che non fosse prudente lasciarla andare. Le dava bensì modo di camminare a suo piacimento, ma le stava dietro e non la mollava. Era anche così facile abbracciarla, con quel suo vestito stretto.
«Mi lasci», sussurrò lei, col viso acceso vicinissimo a quello di Karl; lui doveva fare uno sforzo per vederla, tanto gli era vicina. «Mi lasci, le farò un bel regalo.»
«Perché sospira così», pensava Karl, «è impossibile che senta dolore, non la stringo mica», e non la lasciava andare. Ma improvvisamente, dopo esser rimasto un istante in silenzio, distratto, sentì di nuovo contro il proprio corpo crescer la forza di lei, e già lei gli era sfuggita, lo afferrava con una presa alta ben calcolata, gli allontanava le gambe con colpi di piede secondo una tecnica di lotta che lui non conosceva e lo spingeva davanti a sé contro la parete, prendendo fiato con magnifica regolarità. Ma lì c'era un canapè sul quale depose Karl dicendogli, senza chinarsi troppo su di lui: «Adesso muoviti, se sei capace».
«Gatta, gatta furiosa», riuscì appena a gridare Karl, nel miscuglio di rabbia e vergogna in cui era piombato. «Sei impazzita, gatta furiosa!»
«Bada alle parole», disse lei, e fece scivolare una mano sul suo collo e cominciò a stringere con tanta forza che Karl non poteva far altro che cercar di respirare, mentre lei avvicinava l'altra mano alla guancia di lui e la toccava come per prender la misura, e poi la riportava in alto, ancora e ancora, e a ogni istante poteva lasciarla ricadere in uno schiaffo.
«Che succederebbe», domandava intanto, «se per punirti di come ti sei comportato con una signora ti rimandassi a casa con un bello schiaffo? Forse ti servirebbe per il futuro, anche se non sarebbe un bel ricordo. Mi spiace per te, e sei anche un ragazzo abbastanza carino, e se avessi imparato il JiuJitsu probabilmente me le avresti date di santa ragione. Eppure, eppure — provo una tentazione addirittura colossale di prenderti a schiaffi, sdraiato come sei adesso. Probabilmente me ne pentirei; ma se dovessi farlo, sappi che lo avrò fatto quasi contro la mia volontà. E allora naturalmente non mi contenterò di uno schiaffo solo, ma ti colpirò a destra e a sinistra sino a farti gonfiare le guance. E forse tu sei un uomo d'onore — quasi lo credo — e dopo questi schiaffi non vorrai continuare a vivere e ti ucciderai. Ma perché ti sei comportato così? Forse non ti piaccio? Non vai la pena di venire in camera mia? Attento! Adesso c'è mancato poco che d'improvviso non ti mollassi uno schiaffo. Però, anche se oggi riesci a cavartela, in futuro comportati con più garbo. Non sono mica tuo zio, col quale puoi fare i capricci. Del resto voglio anche avvertirti che, se ti lascio andare senza schiaffeggiarti, non devi credere che trovarti come ti trovi ora ed essere stato davvero schiaffeggiato siano la stessa cosa, dal punto di vista dell'onore. Se tu lo credessi, preferirei schiaffeggiarti davvero. Che cosa dirà Mack quando glielo racconterò?» Al ricordo di Mack lasciò libero Karl e questi, nella confusione dei suoi pensieri, vide Mack come un liberatore. Sentì ancora per un attimo la mano di Klara sul collo, per cui si voltò lievemente e poi restò immobile.
Lei gli disse di alzarsi, ma lui non rispose né si mosse. Klara da qualche parte accese una candela, la stanza si illuminò e sul soffitto apparve una decorazione azzurra a zig zag, ma Karl restava col capo sul cuscino del sofà come Klara lo aveva deposto, e non lo mosse di un dito.
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