Tutto è Bene Quel Che Finisce Bene Read Online
| (Il primo nobile furibondo alza la mano per colpirlo, ma Bertramo lo ferma)
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BERTRAMO - | No, con licenza, fermo con le mani…. Tanto so già che non passerà molto gli arriverà una tegola in testa.
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PRIMO SOLDATO - | Allora dunque questo capitano è in campo, o no, col Duca di Firenze?
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PAROLLES - | Sì, c’è quel pidocchioso, ch’io ne sappia.
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PRIMO NOBILE - | (A Bertramo che lo guarda sbalordito) Beh, adesso non guardatemi così. Fra poco sentiremo anche di voi.
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PRIMO SOLDATO - | (A Parolles) Di che credito gode presso il Duca?
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PAROLLES - | Tutto quello che il Duca sa di lui è ch’egli è solo un mediocre ufficiale in forza al mio reparto; e l’altro giorno m’ha scritto di buttarlo fuor dai ranghi. Credo d’aver in tasca la sua lettera.
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PRIMO SOLDATO - | Eh, perbacco, cerchiamola senz’altro.
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| (Il primo soldato comincia a frugare nelle tasche di Parolles, ma non trova niente)
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PAROLLES - | Sono mortificato… Non so com’è: se non l’ho qui con me, sarà rimasta insieme all’altre lettere del Duca che conservo alla mia tenda.
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| (Il primo soldato, continuando a frugare, trova un foglio)
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PRIMO SOLDATO - | Eccola; qui c’è un foglio. Devo leggerlo?
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PAROLLES - | Ma non sono sicuro che sia quella.
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BERTRAMO - | (A parte, al primo nobile) Il nostro interprete è davvero in gamba.
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PRIMO SOLDATO - | (Legge il foglio) “Diana, il conte è uno sciocco, pieno d’oro…”
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PAROLLES - | Oh, no, non è lettera del Duca, quella, signore, è solo un mio consiglio a una brava ragazza di Firenze, certa Diana, perché si tenga in guardia dalle lusinghe d’un certo Bertramo, conte di Rossiglione, un ragazzotto scioccherello e vanesio, sempre in fregola. Vi prego, riponetemela in tasca.
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PRIMO SOLDATO - | Prima, con tua licenza, voglio leggerla.
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PAROLLES - | L’ho scritta, v’assicuro, quella lettera intenzionato a rendere un servizio più che onesto alla povera ragazza; perché sapevo bene, conoscendolo, quale pericoloso donnaiolo fosse il giovane conte Rossiglione: un lussurioso, una vera balena per la verginità, divoratrice di tutti i pesciolini in cui s’imbatte.
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BERTRAMO - | Maledetta canaglia doppiafaccia!
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PRIMO SOLDATO - | (Legge) “Quando ti giura amore, “fagli sborsare del denaro e prendilo, “ché lui consuma, ma non paga il conto. “Un gioco ben portato “è a metà guadagnato. Farai bene, “se avrai in precedenza contrattato. “A cose fatte, non paga arretrato. “Prendili prima, Diana, e sappi questo “che ti consiglia un soldato modesto: “ci s’infrasca con uomini maturi, “non si baciano uomini futuri. “E dammi retta: il conte è un bel gaglioffo, “che paga avanti, ma non dov’è in debito. “Sono, come all’orecchio t’ho giurato, “il tuo PAROLLES, parola di soldato”.
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BERTRAMO - | Costui, parola mia, dovrà passare sotto le frustate di tutti gli uomini del mio reparto con questi versi appiccicati in fronte!
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PRIMO NOBILE - | Ecco, questo è il devoto vostro amico, il vostro poliglotta, l’armipotente guerriero, signore!
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BERTRAMO - | Se c’è cosa ch’io non sopporto al mondo, è il gatto, e questi per me adesso è un gatto.([72])
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PRIMO SOLDATO - | (A Parolles) Dalla faccia che fa il mio generale mi par d’intendere, caro messere, che ci sarà procurato il piacere di vederti impiccato.
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PAROLLES - | Oh, non sia mai! Non ch’io abbia paura di morire, ma, dato che ho commesso assai peccati, vorrei passare il resto dei miei giorni solo a fare mea culpa. Oh, lasciatemi vivere, signore, in prigione, costretto in ceppi, ovunque, purché vivo.
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PRIMO SOLDATO - | Vedremo cosa fare, se dirai tutto senza reticenze. Torniamo a questo capitan Dumain: tu hai risposto già circa la stima che ha il Duca di lui e del suo valore; ma che puoi dire sulla sua onestà?
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PAROLLES - | Che ruberebbe un uovo in un convento. Che in quanto a stupri e violenze carnali non ha davvero da invidiare a Nesso.([73]) Capace di mentire, signor mio, con tanta disinvolta facciatosta da far passare per assurdo il vero. Sua massima virtù l’ubriachezza, per via che s’ubriaca come un porco, e solo quando dorme non fa danno, salvo che alle sue povere lenzuola; ma, poiché tutti sanno del suo vizio, lo mettono a dormire sulla paglia. Sulla sua onestà, ho ben poc’altro da dire, signore, tranne ch’è un individuo che ha tutto ciò che non dovrebbe avere un uomo onesto, mentre non ha nulla di tutto quello che fa onesto un uomo.
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PRIMO NOBILE - | (Sempre sottovoce a parte a Bertramo) Costui comincia ad essermi simpatico.
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BERTRAMO - | Per che cosa: per questa descrizione della sua onestà? Gli venga un cànchero! Per me somiglia sempre più ad un gatto.
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PRIMO SOLDATO - | (A Parolles) E sulla sua perizia militare che cosa mi puoi dire?
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PAROLLES - | Eh, so solo che ha fatto il tamburino per una compagnia di attori inglesi,([74]) ma della sua perizia militare altro non so, se non che in quel paese ebbe l’onore di far l’ufficiale in un posto chiamato Mile-end,([75]) dove addestrava a mettersi per due le guardie di città. Vorrei anch’io rendergli tutto l’onore che posso, ma neppure di questo son sicuro.
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PRIMO NOBILE - | Più ribaldo della ribalderia! A tal punto, che quasi si riscatta per la sua straordinarietà!
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BERTRAMO - | Peste lo colga! Sempre un gatto è!
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PRIMO SOLDATO - | (A Parolles) Se le sue qualità, come tu dici, sono roba così a buon mercato, è inutile allora domandarti se si lasci corrompere dall’oro fino alla diserzione e al tradimento.
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PAROLLES - | Per un quarto di scudo, quello lì, si venderebbe a titolo perpetuo il sacro feudo della sua salvezza con diritto di ereditarietà a se stesso, escludendone gli eredi.
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PRIMO SOLDATO - | E quanto all’altro capitan Dumain, il fratello, che cosa ci puoi dire?
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SECONDO NOBILE - | Che! Gli chiede di me?
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PRIMO SOLDATO - | Che tipo è?
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PAROLLES - | Un altro corvo della stessa cova. Non di grande statura come il primo in fatto di onestà, ma assai più grande quanto a cialtroneria in generale. Supera suo fratello per viltà, ch’è tutto dire, perché suo fratello in questo è ritenuto un gran campione. Se c’è una ritirata, nella fuga supera pure l’ultimo lacchè; e se c’è un’avanzata, si fa venire i crampi alle calcagna.
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PRIMO SOLDATO - | Lo tradiresti il Duca di Firenze se ti promettono salva la vita?
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PAROLLES - | Càspita! E anche il comandante in capo dei suoi squadroni di cavalleria, conte di Rossiglione!
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PRIMO SOLDATO - | Vado a dir due parole al generale per conoscere quello che decide. (Fa finta di allontanarsi. Parolles è sempre incappucciato)
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PAROLLES - | E così non dovrò più stamburare.([76]) Vadano al diavolo tutti i tamburi. Solo per farmi bello col tamburo, ed ingannare l’immaginazione di quel viziato ragazzaccio, il conte, mi son cacciato in questo ginepraio! Ma chi poteva mai immaginare un’imboscata di truppe nemiche proprio là dove m’hanno catturato?
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PRIMO SOLDATO - | Purtroppo, amico, non c’è alcun rimedio: devi morire. Dice il generale che uno che sì proditoriamente ha rivelato, come hai fatto tu, tanti segreti del suo proprio esercito, e detto male, senza alcun ritegno, di personaggi di sì alta stima, non serve, vivo, a nessun fine onesto. Perciò non c’è che fare: morirai. A te, carnefice, mozzagli il capo.
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PAROLLES - | Oh, Dio Signore, lasciatemi vivere! O, s’io devo morire, lasciate almeno ch’io possa vederla la mia morte!
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PRIMO SOLDATO - | Sì, questo t’è concesso.
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| (Gli tolgono il cappuccio con la benda)
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| Di’ pure addio a tutti i tuoi amici.
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BERTRAMO - | Buongiorno a te, nobile capitano.
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PRIMO NOBILE - | Dio vi dia bene, capitan Parolles.
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SECONDO NOBILE - | Che Dio vi salvi, nobil capitano.
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PRIMO NOBILE - | Capitano, io parto per la Francia; non volete mandare per mio mezzo un salutino al mio monsieur Lafeu?
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SECONDO NOBILE - | Buon capitano, mi volete dare una copia di quel bel poemetto([77]) che avete scritto a Diana con gli elogi del conte Rossiglione? S’io non fossi quel fiore di vigliacco che dite, me lo prenderei di forza. Comunque, state bene.
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| (Escono Bertramo e i due nobili francesi)
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PRIMO SOLDATO - | Capitano, sei tutto una rovina… tutto, tranne la sciarpa che serba intatto il suo superbo nodo.
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PAROLLES - | Chi non è rovinato da un complotto?
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PRIMO SOLDATO - | Se tu potessi scoprire un paese non d’altri popolato che di donne coperte di vergogna come te, ci potresti fondare egregiamente la nazione della spudoratezza. Statti bene. Anch’io parto per la Francia. Si parlerà tanto di te, lassù.
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| (Esce con gli altri soldati)
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PAROLLES - | In fondo, posso ringraziare il cielo. È andata bene: avessi un cuore grande mi scoppierebbe dalla contentezza. Non sarò più, magari, un capitano; ma potrò ben mangiar, bere e dormire comodamente come un capitano. È l’esser quel che sono a farmi vivere. Chi sa di essere un millantatore, stia bene un guardia, ché giunge il momento che farà la figura del somaro. Arrugginisci, spada; spallidite, rossori; e tu, Parolles, vivi sicuro nella tua vergogna. Gli altri t’hanno beffato? E tu vivi di beffe e fa’ fortuna! Il mondo è largo, ci son mezzi e posto per tutti. Io, Parolles, li troverò.
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| (Esce) |
SCENA IV - Firenze, in casa della vedova.
Entrano ELENA, la VEDOVA e DIANA
ELENA - | Per convincervi che non v’ho fatto torto, mi sarà ben garante un personaggio tra i più grandi della cristianità; perché avanti a lui io dovrò andare, a inginocchiarmi ai piedi del suo trono, per portare a buon esito il mio piano. Gli ho reso, tempo fa, un gran servizio, a lui più caro quasi della vita e tale da destar la gratitudine anche nel cuore di pietra d’un Tartaro. So che Sua grazia si trova a Marsiglia, dove mi sono procurata già conveniente maniera di recarmi. Voi dovete sapere ch’io son creduta morta. Mio marito, sciolto l’esercito, ritorna a casa, dove, il cielo aiutando, e il re mio buon signore permettendo, noi giungeremo del tutto inattese.
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VEDOVA - | Mia nobile signora, mai servo accolse con maggior piacere di noi due la fiducia in lui riposta.
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ELENA - | Né voi, signora, aveste mai amica più di me impegnata fedelmente a compensar la vostra devozione. Sicuramente il cielo m’ha creata perché fossi datrice di una dote a vostra figlia, e ha destinato lei a strumento ed aiuto suo e mio perché io ritrovassi mio marito. Però, che strane creature gli uomini, che riescono a fare un sì dolce uso di ciò che aborrono, quando accecati da sconci ed ingannevoli pensieri insozzano la notte. La lussuria riesce a vezzeggiare una cosa aborrita, scambiandola per quello che non è. Ma di questo, più tardi. Nel frattempo, voi, Diana, seguendo bene le mie istruzioni, dovrete ancor soffrire un po’ per me.
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DIANA - | Se alle vostre istruzioni, mia signora, non s’accompagnano morte o disdoro, io son pronta a soffrir quel che volete.
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ELENA - | Ancora, sì, vi prego; ma per noi verrà con quell’“ancora” l’estate, quando avran le rose petali oltre alle spine, e saran profumate quanto pungenti. Ma dobbiamo andare; la carrozza ci aspetta e il tempo stringe. Tutto è bene quel che finisce bene.([78]) Il tempo ha sempre coronato l’opera. E qual che sia la via, la fine premia sempre la virtù.
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| (Escono) |
SCENA V - Rossiglione, il palazzo del conte.
Entrano la CONTESSA, LAFEU e IL LAVA
LAFEU - | No, no, a fuorviare vostro figlio è stato quel messere in taffettà, quella canaglia color zafferano capace di ridurre alla sua tinta tutta la gioventù d’una nazione ancor malcotta e non lievitata. Vostra nuora sarebbe ancora in vita e vostro figlio sarebbe qui a casa, sicuramente in grazia più del re che di quel calabrone codarossa.
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CONTESSA - | Ah, non l’avessi conosciuto mai! È stato lui a causar la morte della più illibata gentildonna della cui creazione la natura poté mai compiacersi con se stessa. Foss’ella stata carne di mia carne, e mi fosse costata a partorirla il più grande travaglio di una madre io non le avrei voluto un più profondo e radicato affetto.
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LAFEU - | Era proprio una degna gentildonna. Un’erba come quella non la si trova tra mille insalate.
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LAVA - | Davvero, era la dolce maggiorana nell’insalata, o piuttosto la ruta, che è l’erba della grazia.
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LAFEU - | Ma queste non son erbe da insalata, manigoldo, son solo erbe aromatiche.
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LAVA - | Io d’erbe non m’intendo, monsignore, non sono il gran Nabuccodonosor.([79])
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LAFEU - | Chi sei allora, o chi credi di essere: un furfante o un buffone?
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LAVA - | L’uno e l’altro, vossignoria: buffone quando ho da fare il servizio a una donna; e furfante per il di lei marito.
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LAFEU - | Che significa questa distinzione?
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LAVA - | Che froderei il marito della moglie, e le farei il servizio al posto suo.
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LAFEU - | Così quello si trova al suo servizio un furfante. E la moglie?
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LAVA - | Alla moglie darei, per divertirla e renderle servizio, la mia mazza.([80])
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LAFEU - | Sei furfante e buffone, tutt’e due: non posso a meno di dartene atto.
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LAVA - | Sempre pronto a servirvi…
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LAFEU - | No, no, no!
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LAVA - | Allora, se non voi, posso sempre servire, monsignore, un gran principe, grande come voi.
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LAFEU - | E chi è, un francese?
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LAVA - | A dir la verità, il nome è inglese, ma in Francia la sua faccia è più infuocata che in Inghilterra.
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LAFEU - | E che principe è questo?
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LAVA - | È il “Principe Nero”, monsignore, principe delle tenebre anche detto, alias il diavolo.([81])
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LAFEU - | Basta così. Eccoti la mia borsa, te la lascio; ma non per suggerirti di tradire quel tuo padrone. Seguita a servirlo.
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LAVA - | Io son uomo di bosco, monsignore, ed i falò mi son sempre piaciuti; e il padrone di cui testé parlavo tiene acceso in eterno un grande fuoco. Di sicuro egli è il principe del mondo; ma la sua principesca nobiltà rimanga alla sua corte; la mia casa la preferisco con la porta stretta, tanto stretta da non poterci entrare i grandi; ci potranno forse entrare quei pochi in mezzo a loro che si umiliano, ma la gran maggioranza |
| son troppo freddolosi e delicati, e sceglieranno il cammino fiorito che mena alla gran porta e al gran fuoco.([82])
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LAFEU -
| Vattene, va’, tu cominci a stufarmi con i tuoi lazzi; e te lo dico prima, perché non voglio arrabbiarmi con te. Va’ per i fatti tuoi. Bada soltanto che i miei cavalli siano ben strigliati e senza trucchi.([83])
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LAVA - | Se facessi trucchi, con quei cavalli, sarebbero trucchi sempre “imbroccati”, ché le vostre rozze sono brocchi per legge di natura.([84])
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| (Esce)
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LAFEU - | Un furfantaccio, astuto e malizioso.
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CONTESSA - | Proprio così. Il mio povero marito ci si spassava molto; ed è per lui che seguito a tenerlo qui con me; e questo lui lo sa e ne approfitta per mandare la lingua a briglia sciolta; ed infatti è sfrenato in lungo e in largo, come un cavallo, e corre dove vuole.
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LAFEU - | Ma è simpatico, male non ci sta. Per riprendere il filo del discorso, stavo dunque per dirvi, mia signora, che quand’ebbi notizia della morte della buona signora vostra nuora e che il mio signore vostro figlio era in viaggio per ritornare a casa, ho convinto il sovrano mio padrone a parlargli in favore di mia figlia; cosa che sua maestà, nella sua nobile delicatezza ha ricordato di avere proposto lui stesso al tempo che il vostro figliolo ed ella erano in minore età. Ho avuto da Sua altezza la promessa che farà questo passo; e potrebb’essere il modo migliore per cancellare il suo risentimento contro il conte Bertramo. Che ne direbbe vostra signoria?
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CONTESSA - | Che ne son ben felice, monsignore.
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LAFEU - | Sua maestà è in viaggio per Marsiglia del tutto risanato e vigoroso come a trent’anni. Sarà qui domani, se non m’ha detto il falso la persona che di rado mi diè false notizie.
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CONTESSA - | Mi riempie di gioia la speranza di poterlo veder prima ch’io muoia. Anche mio figlio sarà qui stasera, secondo che m’annuncia una sua lettera. Debbo pregare vostra signoria di restare con me fino a domani per assistere a questo loro incontro.
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LAFEU - | Stavo appunto chiedendomi, signora, come pregarvi di questo favore senza potervi sembrare indiscreto.
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CONTESSA - | Non avevate che a invocar per voi il privilegio della nobiltà.
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LAFEU - | Signora, me ne son fin troppo valso, ma vedo, grazie a Dio, ch’è ancora valido.
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| Rientra IL LAVA
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LAVA - | Madama, sta arrivando vostro figlio con un cerotto di velluto in faccia; se ci sia sotto o no una cicatrice, lo sa solo il velluto; ma è una bella toppa di velluto: la sua guancia sinistra, è una guancia con doppio pelo e mezzo, mentre la guancia destra è solo pelle.([85])
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LAFEU - | Una ferita nobilmente presa, voglio dire una nobile ferita è una livrea d’onore; tale sarà probabilmente quella.
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LAVA - | Già, ma ci sono toppe di velluto che coprono altre piaghe.([86])
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LAFEU - | Signora, andiamo incontro a vostro figlio. Ho proprio una gran voglia di parlare con questo giovin nobile soldato.
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LAVA - | Eh, oltre a lui ce n’è una dozzina che sfoggiano eleganti copricapi e certe cortesissime lor piume che fanno riverenze a destra e a manca.
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| (Escono) |
ATTO QUINTO
SCENA I - Marsiglia, una via.
Entrano ELENA, la VEDOVA, DIANA e due accompagnatori.
ELENA - | Tutto questo viaggiare giorno e notte vi deve aver mandato giù di spirito; ma non se ne poteva fare a meno. Siate però sicure di una cosa: che facendo tutt’uno giorno e notte per me e logorando al mio servizio le vostre membra così delicate, siete tanto cresciute di valore nel conto della mia riconoscenza che nulla vi potrà più cancellare.
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| Entra un GENTILUOMO, falconiere reale
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| Giusto in punto! Quest’uomo può aiutarmi a procurarmi udienza presso il re, se vorrà usare la sua autorità. Dio vi salvi, signore!
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GENTILUOMO - | E così voi.
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ELENA - | Signore, il vostro viso non mi è nuovo; vi ho visto già alla corte di Francia.
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GENTILUOMO - | Ci sono stato, infatti, qualche volta.
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ELENA - | Credo, signore, che non sia scemata la buona fama d’uomo generoso di cui godete; per questa ragione, spinta da assai scabrose circostanze che m’inducono a mettere da parte i complimenti, vorrei trar profitto dalle vostre virtù per un favore di cui vi sarei grata in sempiterno.
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GENTILUOMO - | Che volete ch’io faccia?
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ELENA - | Che vi degnaste consegnare al re quest’umilissima mia petizione e che usaste la vostra autorità per farmi ammettere alla sua presenza.
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GENTILUOMO - | Ma il re non è più qui.
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ELENA - | Ah, no?
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GENTILUOMO - | No, no; il re è partito da qui questa notte, e più speditamente del suo solito.
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VEDOVA - | Signore Iddio! Tutta fatica inutile!
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ELENA - | Tutto è bene quel che finisce bene, anche se sembrano tutte contrarie le circostanze e inadeguati i mezzi. (Al gentiluomo) E, di grazia, signore, dov’è andato?
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GENTILUOMO - | A Rossiglione, credo; anzi son certo. E là mi stavo dirigendo anch’io.
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ELENA - | Allora vi scongiuro, monsignore, poiché probabilmente lo vedrete prima di me, vogliate consegnare nell’auguste sue mani questa lettera. Non vi procurerà nessun richiamo da lui, che, anzi, vi ringrazierà per il disturbo che vi siete preso. Vi seguirò con la celerità che i nostri mezzi ci consentiranno.
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GENTILUOMO - | Lo farò volentieri.
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ELENA - | E ne riceverete, v’assicuro, da lui ringraziamenti, e forse più. (Alle due donne) Noi dobbiamo rimetterci a cavallo. Andiamo, andiamo dunque a prepararci.
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| (Escono) |
SCENA II - Rossiglione, cortile interno nel palazzo del duca.
Entrano IL LAVA e PAROLLES
PAROLLES - | Mio bravo mastro Lava, fa’ il favore, va’ da monsieur Lafeu da parte mia, e consegna in sua mano questa lettera. Tu m’hai già conosciuto, caro amico, quando avevo maggior dimestichezza con più freschi vestiti; ma, mio caro, con me l’umore della dea Fortuna s’è intorbidato e dalla mia persona emana il tanfo della sua avversione.
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LAVA - | Eh, l’avversione della dea Fortuna dev’essere qualcosa d’assai sporco, se emana il forte puzzo che voi dite. Da oggi in poi non mangerò più pesce fritto dalla Fortuna… Aria, aria!
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| (Il Lava fa l’atto di scostarsi e turarsi il naso)
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PAROLLES - | Ehi, non occorre che ti turi il naso, amico, sto parlando per metafora.
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LAVA - | Se la vostra metafora, signore, o la metafora di qualcun altro puzza, bisogna che mi turi il naso. Ti prego, fatti in là.
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PAROLLES - | Va’, portami, ti prego, questo foglio.
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LAVA - | Puah!… State alla larga, per favore. Dovrei portare una carta del cesso della Fortuna a un nobil gentiluomo… Eccolo, toh, che arriva di persona.
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| Entra LAFEU
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| Monsieur Lafeu, qui c’è un escremento della Fortuna, o meglio del suo gatto, che non odora di gatto muschiato, caduto nella fetida peschiera della sua avversione, nella quale come dice, s’è tutto inzaccherato.([87]) Vi prego, mio signore, questa carpa trattatela il meglio che potete; a me sembra un furfante decaduto, un’ingegnosa, stupida canaglia. Con questi confortevoli aggettivi gli manifesto tutto il mio compianto per la sua sofferenza, e lo lascio alla vostra signoria.
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| (Esce)
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PAROLLES - | Sono un uomo, signore, crudelmente graffiato da Fortuna.
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LAFEU - | E che vuoi che ci faccia? È troppo tardi per tagliare le unghie alla Fortuna. Ma che mascalzonata hai combinato per farti sgraffignare in questo modo? È una brava signora la Fortuna, in fondo, e non permette ai mascalzoni di prosperare a lungo nel suo regno. Toh, ecco un cardecue.([88]) (Gli dà la moneta) Siano i giudici a farti far la pace con la Fortuna. Ho altro da pensare.
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PAROLLES - | Una parola sola, vostro onore, vi prego di ascoltarmi.
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LAFEU - | Ho capito, tu chiedi un altro soldo. Eccolo, e tieniti la tua parola.
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PAROLLES - | Il mio nome è Parolles, mio buon signore.
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LAFEU - | Allora chiedi più d’una parola…([89]) Per le pene di Cristo, qua la mano! Come va il tuo tamburo?
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PAROLLES - | Oh, monsignore, voi foste il primo a scoprire chi ero.
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LAFEU - | Ah, sì? Ed anche il primo a ricoprirti… di vergogna.
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PAROLLES - | Sta quindi a voi, signore, in qualche modo rimettermi in grazia, avendomi portato allo scoperto.
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LAFEU - | Eh, no, gaglioffo! Tu mi vuoi far fare sia la parte di Dio che del demonio, l’uno che ti rimette nella grazia, l’altro che te ne scaccia.
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| (Trombe da dentro)
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| Arriva il re, lo riconosco dalla sua fanfara. Compare, fatti vedere più tardi. Ho parlato di te ancor iersera. Anche se sei un pazzo e una canaglia, ci sarà da mangiare anche per te. Su, seguimi.
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PAROLLES - | Ringrazio Dio per voi.
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| (Escono) |
SCENA III - La stessa.
Trombe. Entrano il RE, la CONTESSA, LAFEU, nobili, cavalieri e seguito
RE - | Con lei abbiamo perduto un gioiello, e quel che noi valiamo n’è rimasto di molto impoverito. Ma a vostro figlio, nella sua follia, è mancato il cervello per stimare tanto valore.
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CONTESSA - | Acqua passata, sire; vostra altezza lo voglia riguardare solo come uno sfogo di natura, una vampata dell’età sua giovane nella quale olio e fuoco, troppo ardenti per poter soggiacere alla ragione, la sopraffanno e bruciano con essa.
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RE - | Tutto è stato, onorata mia signora, da me dimenticato e perdonato, benché sopra di lui fosse già teso l’arco del mio castigo, aspettando il momento di colpire.
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LAFEU - | (Alla contessa) Io, signora, scusandomi in anticipo, vi voglio dire questo: vostro figlio ha fatto grave torto a sua maestà, a sua madre, a colei ch’era sua sposa, ma ancor più grave l’ha fatto a se stesso. Ha perduto una moglie la cui bellezza abbagliava lo sguardo degli occhi più esigenti; il cui parlare incantava chiunque l’ascoltasse; |
| le cui doti di rara perfezione imponevano ai cuori più restii di chiamarla umilmente lor padrona.
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RE - | Lodar ciò ch’è perduto ne fa più cara al cuor la rimembranza. Ebbene, via, chiamatelo; con lui ci siamo ormai riconciliati, e il rivederci potrà dileguare l’ultima nube di risentimento. Non ci chieda perdono: la sostanza della gravissima sua colpa è spenta, e noi i suoi tizzoni ancora accesi vogliamo seppellire in una fossa più fonda dell’oblio. Che venga innanzi a me come un estraneo, non già come un colpevole. Informatelo ch’è con questo spirito che lo vediamo.
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UN GENTILUOMO - | Sarà fatto, sire.
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| (Esce)
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RE - | (A Lafeu) Che v’ha detto riguardo a vostra figlia? Gliene avete parlato?
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LAFEU - | Sì, si rimette tutto a vostra altezza.
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RE - | Allora questa unione si farà. Ho appena ricevuto dall’Italia lettere che ne esaltano la fama.
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| Entra BERTRAMO
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LAFEU - | Mi pare che il suo aspetto lo confermi.
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RE - | (A Bertramo) Bertramo, oggi il tuo re è una giornata fuori di stagione: vedrai in me ad un tempo sole e grandine anche se occhieggia, tra le sparse nuvole, qualche raggio di sole luminoso. Su, vieni avanti: il bel tempo è tornato.
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BERTRAMO - | Perdonatemi, amato mio sovrano, le mie colpe; ne sono assai pentito.
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RE - | Tutto per bene. Il passato è passato, non ne parliamo più. Afferriamo pel ciuffo sulla fronte il momento che fugge: siamo vecchi e sui più celeri nostri decreti l’impercettibile passo del tempo scivola via furtivo e silenzioso prima che li possiamo porre in atto. (Indicando Lafeu) Ti ricordi, Bertramo, della figlia di questo gentiluomo?
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BERTRAMO - | Mirabilmente, sire. Da principio su lei era caduta la mia scelta, avanti che il mio cuore osasse fare di questa mia lingua un troppo audace araldo di se stesso;([90]) una volta però che la sua immagine vi s’infisse, trasmessa dal mio occhio, la lente deformante del Disprezzo, che distorceva tutti i lineamenti d’ogni volto, alterandone i colori oppur considerandoli rubati, mi dilatò o contrasse quelli suoi fino a farne un oggetto ripugnante. Così accadde che ella, di cui tutti facevano le lodi, e che io stesso dacché l’ho perduta ho sempre avuto in cuore, all’improvviso, divenne agli occhi miei come una polvere che li accecò.
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RE - | Una scusa bene espressa. Il fatto stesso che tu l’abbia amata riduce di parecchio il tuo gran debito verso di lei; ma l’amore tardivo, come un perdono di resipiscenza recato al condannato giustiziato, si volge come un amaro rimprovero contro il grande che tardi l’ha concesso |
| e grida: “Quel che è buono non c’è più!” Spesso la nostra cieca avventatezza valuta zero i tesori che abbiamo e noi non apprezziamo il lor valore finché non li vediamo nella tomba. Spesso i nostri disgusti, ingiustamente per gli altri e soprattutto per noi stessi, distruggono le più care amicizie, e poi piangono sulle loro ceneri; |
| e mentre il nostro amore, ridestato alla luce del mattino, piange considerando l’accaduto, l’odio trascorre nella sua vergogna un pomeriggio di profondo sonno. Sia questo l’ultimo rintocco funebre per la dolce Elena; ora dimenticala, ed invia alla bella Maddalena il tuo pegno d’amore. Per entrambi son già accordati i dovuti consensi, e noi ci fermeremo a Rossiglione per presenziare alle seconde nozze del nostro vedovo.
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CONTESSA - | E tu, buon cielo, benedicile meglio delle prime! Altrimenti, o natura, fa’ ch’io muoia prima che avvenga questa loro unione!
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LAFEU - | (A Bertramo) Orbene, figlio mio, in cui innestato([91]) sarà il nome della mia casata, mandate un pegno d’amore a mia figlia che valga a riaccenderne lo spirito e ad indurla a venir subito qui.
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| (Bertramo si toglie dal dito un anello e lo dà a Lafeu; questi lo guarda sbalordito, poi:)
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LAFEU - | Per la mia vecchia barba, e per ogni suo pelo, che soave creatura era davvero quella povera Elena! Un anello del tutto uguale a questo vidi certo che ella aveva al dito l’ultima volta che presi congedo da lei a corte.
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BERTRAMO - | Non era lo stesso.
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RE - | Ch’io lo veda, di grazia; ché il mio occhio, mentre parlavo, spesso n’era attratto. (Lafeu gli dà l’anello) Questo anello era mio, l’ho dato io ad Elena, e nel darglielo le dissi che se mai nella sua vita avesse avuto bisogno di aiuto, grazie a questo mio pegno, avrebbe in me trovato sempre chi la soccorreva. Che arte hai tu usato per sottrarle la cosa che le dava più d’ogni altra fiducia e sicurezza nella vita?
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BERTRAMO - | Qualunque cosa vi piaccia pensare, mio grazioso sovrano, questo anello non fu mai suo.
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CONTESSA - | Sulla mia vita, figlio, io ti giuro che gliel’ho visto al dito; e l’aveva più caro della vita.
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LAFEU - | L’ho vista anch’io con quell’anello al dito, son sicuro.
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BERTRAMO - | Signore, v’ingannate; ella non ha mai visto quest’anello. Me lo lanciarono da una finestra, a Firenze, ravvolto in una carta col nome di colei che lo gettò: era una nobile dama del luogo e credeva ch’io fossi senza impegni;([92]) ma poi, quando le dissi del mio stato, e le feci sapere, onestamente, che non m’era possibile seguire l’onorevole corso delle cose al quale essa aveva dato avvio, se ne ritrasse, mesta e rassegnata, ma non volle riprendersi l’anello.
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RE - | Lo stesso Pluto, che conosce il mezzo di trasformare in oro un vil metallo e di moltiplicarlo all’infinito, non conosce i misteri di natura com’io conosco bene quest’anello. Esso fu mio, e da me fu di Elena, chiunque sia che l’abbia dato a te; perciò se hai contezza di te stesso, non hai che a confessare ch’era suo, e che gliel’hai sottratto con la forza. Ella giurò davanti a tutti i santi che mai l’avrebbe sfilato dal dito se non per darlo a te, nel vostro letto, nel quale tu non sei mai entrato, o per mandarlo a noi, e solo a noi, se si fosse trovata in gran pericolo.
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BERTRAMO - | Ella non l’ha mai visto. Lo ripeto.
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RE - | Tu dici il falso, giuro sul mio onore, e mi fai sorgere certi sospetti che vorrei tanto scacciar dalla mente. Perché se mai dovesse risultare che sei stato con lei così inumano - non lo sarà, ma tuttavia… non so - da odiarla a morte, per questo ella è morta; e niente m’indurrebbe meglio a crederlo che veder quest’anello in mano a te; a meno che non fossi stato io stesso accanto a lei a chiuderle le palpebre… Conducetelo via!
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| (Le guardie s’impadroniscono di Bertramo)
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| Comunque vada questa brutta storia, le prove già raccolte non possono tacciar d’inconsistenza i miei dubbi; se mai di leggerezza, per esser stati troppo pochi. Via! Vorrò indagar più a fondo in quest’affare.
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BERTRAMO - | Se mai vi riuscisse di provare che quest’anello è mai stato di Elena, dovrete anche provare che ho condiviso il suo letto a Firenze dove non è mai stata.
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| (Esce sotto scorta)
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RE - | Brutti pensieri m’avvolgon la mente.
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| Entra il GENTILUOMO falconiere
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GENTILUOMO - | Mio grazioso sovrano, non so s’io sia da biasimare o meno, ma devo sottoporre a vostra altezza la petizione di una fiorentina che ha tentato per quattro o cinque volte di venire a portarvela lei stessa senza mai riuscirvi, suo malgrado. Mi sono assunto io tale incombenza, convinto a tanto dalla dolce grazia con cui la poverina me l’ha chiesto. So che a quest’ora anch’ella è qui nei pressi, e aspetta ansiosa una vostra risposta; ho avuto l’impressione, dal suo volto, che si tratti di cosa assai importante e che, secondo che m’ha detto a voce, brevemente, con accorati accenti, riguarderebbe vostra altezza e lei.
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RE - | (Leggendo) “Dopo molte promesse di sposarmi “non appena sua moglie fosse morta, “arrossisco nel dirlo, egli m’ha vinta. “Ora il conte di Rossiglione è vedovo; “e di quelle promesse è debitore “verso di me e verso l’onor mio, “a lui pagato. Ha lasciato Firenze “furtivamente, senza congedarsi, “ed io, per ottener da voi giustizia, “l’ho seguito fin qui, nel suo paese. “Accordatemi, sire, la giustizia “che solo è in vostre mani! “Non fate che fiorisca un seduttore, “e sfiorisca una povera fanciulla. “Di voi devota, Diana Capileti.”
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LAFEU - | Voglio comprarmi un genero alla fiera e vender questo al miglior offerente! Alla larga! Non voglio più saperne!
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RE - | I cieli mostrano d’averti caro, Lafeu, portandoti a tale scoperta. Fate entrare le autrici della supplica, e introducete qui di nuovo il conte.
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| (Escono alcuni del seguito)
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| (Alla contessa) Comincio proprio a temere, signora, che alla povera Elena la vita sia stata tolta delittuosamente.
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CONTESSA - | Se così è, giustizia sui colpevoli!
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| Rientra BERTRAMO, sotto scorta
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RE - | Mi sorprende, signore, di vedere, dacché le mogli per te sono mostri, e le fuggi, piantandole in bolletta, dopo aver lor giurato di sposarle, che pensi di sposarti un’altra volta.
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| Entrano la VEDOVA e DIANA
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| Chi sono queste donne?
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DIANA - | Io sono, sire, un’umil fiorentina, appartenente all’antica famiglia dei Capileti. Vostra maestà ha preso già visione, come intendo, della supplica, e sa quanto pietoso sia il mio caso.
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VEDOVA - | Ed io sono sua madre, sire, la cui età e il cui onore hanno sofferto gravissimo oltraggio dai fatti esposti nella nostra supplica, e saranno per sempre compromessi se voi non vi poniate alcun riparo.
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RE - | Conte, voi conoscete queste donne?
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BERTRAMO - | Negare di conoscerle, mio sire, non posso, né lo voglio, innanzi a voi. Di che m’accusano?
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DIANA - | Perché, signore, guardate in questo modo vostra moglie, come fosse un’estranea?
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BERTRAMO - | Monsignore! Non è vero, costei non è mia moglie!
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DIANA - | Se voi vi sposerete, darete a un’altra donna questa mano, ch’è mia; darete via i giuramenti fatti al cielo per me, che sono miei; darete via me stessa, perch’io sono, in forza di quei vostri giuramenti, tanta parte di voi, che chi vi sposa sposa anche me… tutti e due o nessuno.
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LAFEU - | (A Bertramo) Vedo che avete una reputazione parecchio mal ridotta, signor mio: voi non siete un marito per mia figlia.
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BERTRAMO - | (Indicando Diana) Mio sovrano, costei è una creatura infatuata quanto disperata, con la quale mi sono divertito qualche volta a Firenze. Vostra altezza, vorrei che aveste più nobile stima dell’onor mio, anziché ritenere ch’io lo voglia affondare in tal pantano.
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RE - | La mia stima tu non l’avrai amica finché non te l’avranno guadagnata le tue azioni; a te di dimostrare che il tuo onore è più alto della stima che ora ho io di te.
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DIANA - | Vogliate domandargli, vostra grazia, a giuramento, s’egli creda o no d’avermi tolta la verginità.
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RE - | (A Bertramo) Beh, che rispondi?
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BERTRAMO - | Ch’è una spudorata, mio signore, notoriamente stata un facile trastullo a tutto il campo.
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DIANA - | Mi fa torto, signore; non credetegli. Se fossi stata quella che lui dice, m’avrebbe posseduta a poco prezzo. Guardate quest’anello: è ineguagliabile per intrinseco pregio e per valore; e ciò malgrado, lui l’ha dato in dono a un facile trastullo del suo campo… s’è vero che ero quella che lui dice.
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CONTESSA - | Arrossisce, è toccato. Quel gioiello è passato per sei generazioni, da uno all’altro dei suoi antenati, e da loro portato e posseduto. Quell’anello val più di mille prove che costei è sua moglie.
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RE - | (A Diana) Mi par che abbiate detto d’aver visto a corte chi lo può testimoniare?
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DIANA - | Sì, signore, ma ho qualche riluttanza a valermi per ciò d’un testimone sì screditato. Il suo nome è Parolles.
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LAFEU - | L’ho visto oggi quell’uomo, se così può chiamarsi quello là.
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RE - | Cercatelo e portatemelo qui.
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| (Esce uno del seguito)
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BERTRAMO - | Che può dire costui? È noto a tutti che costui è un’infida canaglia, con tutti i vizi e i difetti del mondo, uno che a dire solo una parola di verità, gli viene il mal di capo. Che vale s’egli dice che son io, o questo o chiunque altro, se si sa ch’è pronto a dichiarar qualunque cosa?
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RE - | Ella ha il tuo anello.
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BERTRAMO - | Lo so che ce l’ha. Vero è che mi piaceva e l’ho abbordata con la spensieratezza giovanile. Ella ben conosceva la distanza tra me e lei, e ha saputo adescarmi infiammando abilmente la mia voglia con una ben studiata ritrosia; nelle amorose fantasie, si sa, ogni ostacolo opposto al desiderio non fa che accenderne sempre nuove; alla fine la sua civetteria unita alla sua grazia disinvolta m’ebbero al prezzo da lei stabilito: ebbe l’anello ed io ebbi da lei quello che un qualsivoglia subalterno avrebbe avuto a prezzo di mercato.
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DIANA - | Mi dovrò rassegnare. Giustamente, voi, che avete potuto ripudiare una prima sì nobile consorte, potete ben digiunare di me. Perciò vi prego - tanto ormai son pronta a rinunciare a voi come marito, privo d’ogni virtù come voi siete -, mandatevi a riprendere l’anello, ve lo restituisco, e voi rendetemi il mio.
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BERTRAMO - | Ma non l’ho.
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RE - | (A Diana) Il vostro anello? Che anello, di grazia?
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DIANA - | Un anello, signore, molto simile a quello che portate al dito voi.
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RE - | Riconoscete allora quest’anello? Questo lo aveva lui.
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DIANA - | Ed è quello che io gli diedi, a letto, quella notte.
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RE - | Ma allora non è vero che lo gettaste a lui dalla finestra?
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DIANA - | Io v’ho detto la pura verità.
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| Rientra il servo con PAROLLES
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BERTRAMO - | Confesso, mio signore: quell’anello era suo.
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RE - | Che ti succede? Ti vedo trasalire all’improvviso; basta una piuma a farti sussultare. (Indicando Parolles alle donne) È questo l’uomo di cui parlavate?
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DIANA - | Sì, vostra grazia.
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RE - | (A Parolles) Dimmi un po’, messere, ma bada a dir la verità, te l’ordino, senza timore di far dispiacere al tuo padrone, perché son qua io a coprirti, se parli onestamente: che sai di lui e di questa signora?
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PAROLLES - | Piaccia a vostra maestà, il mio padrone s’è portato da vero gentiluomo. Scappatelle ne avrà pur fatte, certo, come le han fatte tutti i gentiluomini.
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RE - | Veniamo al punto. Amava questa donna?
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PAROLLES - | Per amarla, direi di sì, signore; ma in che modo?
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RE - | Sei tu che devi dirlo.
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PAROLLES - | Eh, diciamo, signore, alla maniera che un gentiluomo sa amare una donna.
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RE - | E cioè?
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PAROLLES - | Che l’amava e non l’amava.
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RE - | Sì e no, allo stesso modo che tu sei un gaglioffo e non lo sei. Che equivoco compagno è mai costui!
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PAROLLES - | Io sono un pover’uomo, monsignore, agli ordini di vostra maestà.
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LAFEU - | È un ottimo tamburo, mio signore, ma come parlatore è proprio zero.
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DIANA - | Sapete che promise di sposarmi?
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PAROLLES - | In coscienza, so più di quanto dico.
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RE - | Vuoi dirci allora tutto quel che sai?
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PAROLLES - | Sì, con licenza di vostra maestà. Io facevo da tramite fra i due, come ho detto; ma in più egli l’amava, ché, anzi, n’era innamorato pazzo, e parlava di Satana, del Limbo e delle Furie, e di non so che altro. Ma tanto io ero nella lor fiducia, che sapevo del loro andare a letto e di tante altre cose di dettaglio, come la sua promessa di sposarla e altro, che però solo a parlarne mi metterei nei guai, ragion per cui non voglio dire tutto quel che so.
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RE - | Hai detto quanto basta, salvo che non ti resti ancor da dire che si sono sposati. Ma sei un testimone troppo furbo… perciò fatti da parte. (A Diana)
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| Quest’anello voi dite ch’era vostro?
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DIANA - | Sì, signore.
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RE - | Dove lo compraste, se lo compraste, o da chi vi fu dato?
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DIANA - | Non mi fu dato, né l’ho mai comprato.
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RE - | Allora dite, chi ve l’ha prestato?
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DIANA - | Non me lo ha dato in prestito nessuno.
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RE - | Insomma, dove l’avete trovato?
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DIANA - | Non l’ho trovato.
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RE - | Se non era vostro in nessuno di tutti questi modi, come avete potuto darlo a lui?
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DIANA - | Io non gliel’ho mai dato.
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LAFEU - | Questa donna, signore, è come un guanto che va largo alla mano, e s’infila e disfila a volontà.
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RE - | Quell’anello era mio. Lo diedi io alla sua prima moglie.
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DIANA - | Per quel che so, può esser vostro o suo.
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RE - | Bah, portatela via, m’ha infastidito! Mettetela in prigione; e via anche lui. (A Diana) Se non mi dici come l’hai avuto, quest’anello, fra un’ora sai morta.
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DIANA - | Non ve lo dirò mai.
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RE - | Va’, va’ in prigione!
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DIANA - | Pagherò la cauzione, maestà.
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RE - | Ora comincio a credere davvero che sei una volgare prostituta.
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DIANA - | Per Giove,([93]) se mai uomo mi conobbe, siete voi.
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RE - | Perché allora fin qui non hai cessato di accusare lui?
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DIANA - | Perché è lui il colpevole, e tuttavia colpevole non è. Secondo lui io non sono più vergine, ed è pronto a giurarlo; mentr’io posso giurare d’esser vergine, e che lui non lo sa. Grande re, io non sono una sgualdrina; per la mia vita, o è vero che son vergine, o son la moglie di questo vegliardo. (Indica Lafeu)
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RE - | Costei abusa delle nostre orecchie. Menatela in prigione!
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DIANA - | Madre cara, portatemi il riscatto.
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| (Esce la vedova)
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| Un momento, regale mio signore: ho mandato a chiamare il gioielliere che ha l’anello, e mi sarà garante. Quanto a questo signore che m’ha ingannata, come lui ben sa, pur se mai m’ha violata, io lo scagiono. Egli ben sa di aver contaminato il mio letto, ma quello che non sa è che, così facendo, ha messo incinta la donna ch’è la sua moglie legittima, |
| che tutti credon morta, e che, al contrario, sente già nel grembo scalciare dolcemente il proprio bimbo. Ecco dunque l’enigma: colei che è morta è viva, ed ora è qui, ed eccovi così la soluzione.
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| Rientra la VEDOVA con ELENA
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RE - | Che razza di stregoneria è questa che inganna la funzione dei miei occhi? È realtà quella che vedo?
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ELENA - | No, mio buon signore, quella che vedete è solo l’ombra di una moglie: il nome, ma non la cosa in sé.
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BERTRAMO - | Entrambe, entrambe! Oh, perdono!
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ELENA - | (A Bertramo) Signore mio diletto, quando io ero come questa vergine, trovai in voi squisita gentilezza. Eccovi il vostro anello, l’ho io al dito; e, guardate, ecco qui, la vostra lettera. Dice: “Quando avrai preso dal mio dito quest’anello e sarai incinta d’un figlio…” Questo ora è. Sarete dunque mio, ora che siete doppiamente vinto?
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BERTRAMO - | (Al re) Quand’ella può mostrarmi tutto questo,, mio sovrano, in maniera inconfutabile, io prometto che l’amerò per sempre, teneramente.
|
ELENA - | Se non sarà chiaro, o si dimostrerà non veritiero, divorzio e morte sian tra voi e me. Mia cara madre, siete sempre viva?
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VEDOVA - | Sì, ma miei occhi annusano cipolle, sto per piangere… (A Parolles) Buon mastro Tamburo, prestami un fazzoletto… così, grazie. Accompagnami a casa, voglio farmi tornare il buon umore con te. E lascia stare i complimenti, è roba irrancidita.
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RE - | Vogliamo ora conoscer questa storia punto per punto, e far che in allegria trascorra il flusso della verità. (A Diana) Se tu sei fiore ancor fresco e non còlto, scegli un marito, ti farò la dote; perché in virtù del tuo onesto aiuto, come ho capito, hai fatto che una sposa restasse sposa, e tu restassi vergine. Di ciò e del più e del meno che è seguìto, troveremo la giusta spiegazione a nostro miglior agio. Tutto è bene, mi sembra tuttavia, se finisce così. |
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