Ma sono fortunato. Il poliziotto che avanza tirandosi su il pesante cinturone e mettendosi il cappello blu sul testone da poliziotto è un uomo che conosco. È il caporale Alyss della polizia di Sea-Clift. Qualche anno fa gli ho venduto la casa di Seaside Park, quando lui era una recluta e la famiglia raddoppiò improvvisamente ed ebbero bisogno di altro spazio a buon mercato: a Silverton.
Alzando il palmo della mano, l’agente Alyss ora si trasforma in una barriera umana, invitando a tenersi lontani gli sciacalli, i curiosi e i ficcanaso come me. Quando abbasso il vetro del finestrino, gira intorno alla macchina per proferire le sue parole dissuasive, con la manona destra posata sulla grossa Glock nera. È molto più massiccio dell’ultima volta che l’ho visto. Alla sua forma e alla sua mole, in divisa, si direbbe che abbiano aggiunto almeno un secchione di cemento Portland. I suoi movimenti non sono naturali; è interamente rivestito di Kevlar e porta stivali da combattimento spessi come moon boot, oltre a tutto l’armamentario da poliziotto appeso al cinturone di pelle nera: spray bruciaocchi per il malfattore, manette d’argento, un walkie-talkie grande come un vocabolario, uno sfollagente spaccateste infilato in un anello metallico, caricatori di munizioni extra, una fila di compartimenti neri che si chiudono a scatto e potrebbero contenere qualunque cosa, più un paio di sinistri guanti neri. È l’omino Michelin del pronto intervento, con la visiera del cappello da poliziotto col distintivo dorato abbassata fino alle sopracciglia. Mi viene voglia di ridere, perché sotto sotto Alyss è un pezzo di pane. Ma sembra troppo a disagio per non suscitare simpatia. In ogni caso, nel New Jersey ridere della polizia è un grosso passo falso.
“Okay, signore. Bisogna che lei...” Il caporale Alyss comincia la sua tiritera: “...inverta-la-marcia-e-torni-subito-indietro-attraverso-il-ponte”. Come sospettavo, non mi ha visto bene. Ma un sorrisetto comincia a sbocciare, e lui piega il faccione da un lato, chinandosi sul finestrino, come un ragazzo (un ragazzone). “D’accordo. D’accordo,” dice, col sorriso che ora si allarga, e diventa in un istante il più allegro dei gendarmi. Mi ha smascherato: sono un amico. (Molti lo prendono per i fondelli a causa del nome – Alyss/Alice – ed evidentemente ci ha fatto il callo.) I grossi lobi ucraini delle sue orecchie, noto – grassi, penduli e rosei – non mostrano la più piccola ruga. È chiaro che non ha una preoccupazione al mondo. A tutti i suoi bisogni provvedono la bella famigliola di Silverton, un distintivo e una pistola. “Immagino che sia venuto giù a insegnarci com’è stato furbo a filarsela quando l’ha fatto,” dice. Il suo sorriso è raggiante, e i grandi occhi azzurri slavi sono larghi e intensi mentre fruga dappertutto con lo sguardo dentro la mia macchina. Ha solo trentacinque anni, giocava da estremo stretto nella squadra di football dei Rider, poi ha passato un anno in Ecuador in missione pentecostale, costringendo con le cattive gli indigeni ad accettare Gesù. Il suo vecchio era un poliziotto di ronda a Newark che “ha pagato con la vita”. Se ne imparano, di cose come queste, quando si fa l’agente immobiliare. Sua moglie, Berta, era una delle infermiere dalle quali sono stato assistito quando mi hanno sparato e sono rimasto lungamente all’ospedale.
“Stavo solo andando giù a consigliare un vecchio cliente, Pete. La sua casa è volata via.” Inutile spiegargli che era la mia casa. Solo i fatti, qui.
“Sì, be’, non me lo dica,” risponde il caporale Alyss, mentre il suo sorriso si attenua e svanisce. Non è un bel ragazzo – tutti i lineamenti sono troppo grossolani, troppo rosei, troppo carnosi – un incrocio tra un agricoltore del Minnesota e uno dei suoi animali.
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