“Oh, sììì,” urla uno di loro (parlano tutti inglese, ormai). “È sniffo di figa.” Questo almeno mi pare che dicano le parole. Giocose note musicali si alzano dalla radio e scavalcano la cresta. Stanno sventrando o trainando o togliendo la muffa alla casa di sogno di qualcuno, muniti senza dubbio di mascherine e guanti di gomma contro le spore. “Sì, sì, sì, pero. Suo marito è un Navy Seal.” “Pendejo!” risponde qualcuno. “Fare sesso non può essere così bello. Comprendes?” Tutti ridono. La fortuna è contagiosa.
Ma dov’è Arnie? Sono vittima di un’imboscata? Sto per essere attaccato da una Lexus parcheggiata poco lontano? Nell’atmosfera creata da questo disastro la gente diffida degli agenti immobiliari. Siamo jolly nel mazzo di carte dell’umanità, che riescono sempre a completare una mano vincente. Ma non io. Non ora.
Il mio stomaco, però, ha cominciato a ribollire e rumoreggiare. Avrei dovuto comprare degli anacardi da Hess. Sono quasi le undici. Non riesco più nemmeno a ricordarmi degli All-Bran di stamattina. Mi metto in bocca una gomma alla menta e lascio che calmi le cose. Che uno porti la dentiera o meno (io no), che abbia mangiato aglio o cipolle o pizza o choucroute garnie e si lavi i denti otto volte al giorno, essere “vecchio” ti fa temere di puzzare come la cuccia di una scimmia. Sally mi assicura che non puzzo, che se fosse così mi farebbe “il segnale”. Ma quando la macchina si scarica, i suoi pezzi cominciano a marcire. Ultimamente ho cominciato a spazzolarmi la lingua mattino, mezzogiorno e sera, perché la lingua è la cartina di tornasole per ogni tipo di cattivo odore. In genere, sarebbe giusto dire che quando invecchi entri in una relazione più complessa con le cose in via di sviluppo: e questo sembra essere il contrario di come dovrebbe andare.
Aspetto in macchina, masticando, accanto alle rovine della mia casa. Non c’è niente da leggere. Ho lasciato il “Times” a casa. Qui c’è soltanto l’opuscolo che mi ha dato con aria divertita il dottor Zippee, dov’è descritta la ginnastica da fare regolarmente per i dolori al collo che inibiscono i movimenti. Le vignette mostrano un pupazzetto col capo rotondo che volta la testa a palla e sorride indicando la strada giusta per la felicità del collo. Negli altri riquadri ha gli angoli della bocca rivolti all’ingiù per mostrare la “strada sbagliata”: quella che porta alla trazione, a un invasivo intervento chirurgico attraverso la gola, agli analgesici, a Betty Ford, se non, fino in fondo, a Rahway. Sento proprio dei nuovi cigolii all’altezza della spalla, il che mi costringe a girare aggressivamente il collo qua e là. Colpa della tensione; la tensione dovuta al fatto che il maledetto Arnie Urquhart non è venuto come aveva promesso di fare.
Ho solo un’altra cosa da leggere in macchina, ed è una copia di “Noi vi salutiamo”, la pubblicazione che i volontari mettono tra le mani di ogni reduce dall’Iraq e dall’Afghanistan un attimo dopo avere stretto una di quelle mani e dichiarato: “Bentornato a casa! Grazie per il servizio che hai reso!”. “Noi vi salutiamo” è un utile bagaglio di preziose informazioni su ogni cosa di cui il soldato che torna a casa potrebbe aver bisogno, o che potrebbe desiderare, o incontrare, nelle prime sei ore che passa negli Stati Uniti (supponendo che nessuno sia venuto a riceverlo o riceverla, come sorprendentemente accade molte volte). “Noi vi salutiamo” è stampato nell’Ohio da una cricca di mentecatti di estrema destra che nondimeno riescono a fare un ottimo lavoro perché non ficcano nella nostra rivista nessuna delle cazzate da età della pietra sulla libera circolazione delle armi e sull’aborto che, invece, mettono regolarmente nel materiale contro Obama che inviano per posta.
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