Tutto è volato fuori dalla finestra e quasi dimenticato, da quello che ho visto alla tv. Eppure... si ha una certa responsabilità verso un altro essere umano al quale si è venduta una casa. Non una responsabilità finanziaria. Probabilmente, nemmeno una responsabilità morale. Ma una responsabilità per cui, cosa ancora più rara, l’agente immobiliare e il cliente viaggiano sullo stesso binario. Una responsabilità sacerdotale, professionale. Anche se, a quanto ne so io, Arnie potrebbe anche sentirsi sollevato dal fatto che la sua casa è andata a culo in su. Potrebbe essere stata proprio la cosa che sognava a occhi aperti quando era ancora a letto; come il giorno in cui vendi il tuo entrobordo Lyman d’annata con lo scafo a clinker: il giorno più bello della tua vita, dopo quello in cui l’hai comprato. La proprietà delle seconde case è spesso così. La gente sa che si pentirà dell’acquisto assai prima di firmare le carte, ma lo fa ugualmente. È possibile che Arnie stia solo fingendo di piangere la sua casa. Dopo tutto, ora è il proprietario di un bel pezzo di eccellente terreno fabbricabile sull’oceano: anche se le tasse restano alte. Può starsene tranquillo senza prendere iniziative ad aspettare il destino: posto che qualcuno voglia ancora una casa sull’oceano.
Ma quello che percepisco col mio cervello di ex agente immobiliare è che Arnie possa semplicemente desiderare che io mi prenda il disturbo di andare là: per rendere testimonianza. È quello che vogliono tutti i bacchettoni, dall’alba al tramonto. È il motivo per cui esistono cose come i “testimoni”, i “portantini” dei cordoni o delle bare, i “padrini”, gli “invitati a un’esecuzione”. Ogni cosa è più vera se la si può vedere in due. Un disco volante. Lo yeti. Il volto del Redentore in uno straccio sporco di nafta al Jiffy Lube. E oggi mi sento disposto a dire “Sono qui” a chiunque possa udirmi, e per il bene che questo possa fare a un uomo o a un animale.
Un insolito spettacolo mi accoglie quando sterzo per scendere dal ponte in quella che una volta era Seaside Heights (Central Avenue, verso Ortley Beach a nord, verso Sea-Clift a sud). Una roulotte del comando della polizia di stato del New Jersey è stata messa di traverso sulla strada per bloccare i veicoli non autorizzati. Alcuni cavalletti sono ammucchiati contro le barriere con la scritta Jersey, mentre i lampeggiatori rossi e argento girano su una macchina listata della polizia parcheggiata di fianco – mancano solo il filo spinato e una postazione di mitragliatrici – oltre la quale balzano all’occhio le distruzioni dell’uragano. Lungo Central, verso il mio vecchio ufficio, fin dove arriva lo sguardo dal lato della spiaggia, la vita della città ha subìto un colpo terribile: tetti di case spazzati via, muri esterni demoliti, che rivelano stanze piene di mobili, fotografie su comodini, armadi pieni di vestiti, fornelli e frigoriferi che nel loro biancore spiccano davanti agli occhi di tutti. Altre case sono semplicemente sparite. Grandi mucchi di macerie che sembrano il Mount Rushmore (una con un albero di Natale in cima) coperti di calcinacci, terra, sabbia, ornamenti di Halloween rovinati, parafanghi di automobili, armadietti, water, cassette della posta – tutto ciò che si potrebbe schiacciare e ridurre in briciole – sono sorti in ogni angolo. In attesa di che, non è chiaro. Intanto, sotto il cielo screziato, c’è una grande attività lungo il viale e dal lato delle vie residenziali, dall’oceano alla baia. In gran parte è attività poliziesca: uomini grandi e grossi nella tenuta delle unità speciali ed elementi della Guardia nazionale nelle tute mimetiche da deserto, con il loro piccolo e mortifero arsenale legato al petto, fanno la ronda. Ci sono dei furgoni della Sanità con operai in tute bianche per il trattamento dei materiali pericolosi.
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