l'opera insigne che il suo principale a tutti i costi voleva possedere”.

Anche il Gaia, con fare più villano che deciso, disse qualche parola che subito tradusse: Aveva dichiarato che il Westermann avrebbe potuto avere il romanzo quando l'avesse pagato. Si trattava qui di un affare e non di letteratura. Dicendo quest'ultima parola ebbe una smorfia di disprezzo, ciò ch'era imprudente. Perchè maltrattare la letteratura se era vero che qui si trasformava in buon affare? Ma il Gaia dava dei colpi alla letteratura per poter colpire il letterato, dimenticando che per burla avrebbe dovuto tenerlo in piena gloria. E nel corso del discorso, una volta seppe dire a Mario: “Tu stai zitto perchè non capisci niente”. Mario non protestò: certo il Gaia voleva attribuirgli dell'ignoranza solo in affari.

Poi il Gaia si seccò di stare lì all'aria aperta. Era calata una leggera nebbiolina umida, destinata ad essere spazzata dalla bora che doveva funestare quelle celebri giornate. Il Gaia spinse la porta del caffè e, senza complimenti, concedendosi lo sfogo di ridere clamorosamente, entrò per primo, zoppicando.

Gli altri due s'attardarono ancora in complimenti prima di varcare la soglia, e Mario ebbe il tempo di studiare la persona tanto importante che vedeva per la prima volta. Non l'avrebbe rivista più, ma mai più la dimenticò. Dapprima la ricordò come una persona molto buffa, resa anche più ridicola dall'importanza del messaggio di cui era incaricata. Poi il ricordo non si alterò di molto: La persona rimase ridicola, ma l'inferiorità di essa riverberò dolorosamente su lui stesso, perchè egli le aveva permesso di calpestarlo e di fargli del male. Le sue ferite si facevano più dolorose perchè inferte da una mano simile. Si può dire che Mario non era un cattivo osservatore, ma che era, purtroppo, un osservatore letterario, di quelli che possono essere truffati col minimo sforzo, perchè sanno fare l'osservazione esatta per deformarla subito a forza di concetti. Ora i concetti non mancano mai a chi ha un po' d'esperienza di questa vita, dove le stesse linee e gli stessi colori s'adattano alle più varie cose, che solo il letterato ricorda tutte.

Il rappresentante dell'editore Westermann era una personcina dinoccolata priva dell'autorevolezza che conferisce una certa proporzionata abbondanza di carne e di grasso, e resa sgraziata da uno sviluppo addominale eccessivo che trapelava persino oltre alla pelliccia. Fin qui somigliava al Gaia. La sua pelliccia dal collare ricco, di pelo di foca, era la cosa più importante di tutto l'individuo, e molto più importante della giacca e dei calzoni sdruciti che s'intravvedevano. Non fu mai deposta, anzi riabbottonata subito dopo che s'era dovuta schiudere per dar l'accesso ad una tasca interna. L'alto collare coronò sempre la faccina fornita di una barbetta e di mustacchi radi e fulvi sotto ad una testa radicalmente calva. Ed un'altra cosa Mario osservò: il tedesco si teneva tanto rigido nella pelliccia in cui era sepolto, che ogni suo movimento appariva angoloso.

Era più brutto del Gaia, ma al letterato parve naturale gli somigliasse. Perchè chi commercia i libri non deve somigliare a colui che s'occupa di vino? Anche per il vino c'era stato qualche cosa di supremamente fine che aveva preceduto e creato il suo commercio: la vigna e il sole. Quanto al sussiego con cui veniva portata a passeggio quella pelliccia, visto ch'esso legava un individuo della specie del Gaia, non era difficile d'intendere perchè esso fosse stato adottato. Mario non pensò che quello di tenersi rigidi era un modo di soffocare un imperioso bisogno di ridere, ma ricordò invece che la rigidezza era propria di codesta categoria di persone, gli agenti di commercio, che vogliono apparire qualche cosa che non sono e che se non sorvegliassero tradirebbero il loro vero essere. Tutto questo fu pensato da Mario con un certo sforzo. Pareva lavorasse per facilitare il buon esito della burla. E pensò ancora che il critico di casa Westermann era rimasto a casa, ma era rimasto a casa anche il grande uomo d'affari. Non era facile il viaggiare allora, e si vede che per portare a termine un tale affare bastava incaricarne un coso simile, un amico del Gaia.

Attorno al tavolo, nel caffè a quell'ora deserto, ci fu ancora un po' di torre di Babele. L'agente di Westermann tentò di spiegare qualche cosa in italiano, e non vi riuscì. Il Gaia intervenne: “Costui vuole una tua espressa conferma che io ho la facoltà di trattare per te. Io potrei offendermi della sua diffidenza, ma capisco che gli affari sono affari. Del resto ci sei anche tu, ma egli dice di non intenderti”.