Questo disastro, per la sua segreta esasperazione, era lo stesso di quello a cui andava incontro il figlio se non riusciva a comprendere il valore dell'ablativo assoluto o della forma avversativa; e s'accaniva a spiegarglielo, e tutta la casa tremava dalle sue grida e dalle sue furie per l'imbalordimento di quel povero ragazzo, che piano piano forse lo avrebbe alla fine compreso da sé. Con che occhi lo aveva guardato una volta, dopo uno schiaffo! Nell'impeto del rimorso, ripensando a quello sguardo del suo ragazzo, si sgraffiava ora la faccia con le dita artigliate e s'ingiuriava: porco, porco, bruto: prendersela così con un innocente! Lasciava il pagliericcio; rinunziava a dormire; tornava a sedere sulla soglia della catapecchia; e lì il silenzio smemorato della campagna immersa nella notte, a poco a poco, lo placava. Il silenzio, non che turbato, pareva accresciuto dal remoto scampanellìo dei grilli che veniva dal fondo della grande vallata. Era già nella campagna la malinconia della stagione declinante; e lui amava le prime giornate umide velate, quando cominciano a cadere quelle pioggerelle leggere, che gli davano, chi sa perché, una vaga nostalgia dell'infanzia lontana, quelle prime sensazioni meste e pur dolci che fanno affezionare alla terra, al suo odore. La commozione gli gonfiava il petto; l'angoscia gli serrava la gola, e si metteva a piangere. Era destino che lui dovesse finire in campagna. Ma non s'aspettava così veramente.
Non avendo né la forza né i mezzi di coltivare da sé quel po' di terra, che fruttava appena tanto da pagar la tassa fondiaria di cui era gravata, l'aveva ceduta al contadino che aveva in affitto il podere accanto, a condizione che pagasse lui quella tassa e che gli desse soltanto da mangiare: poco, quasi per elemosina, di quel che produceva la terra stessa: pane e verdura, e da farsi, se gli andava, una minestra ogni tanto. Stabilito quest'accordo, aveva preso a considerare tutto quello che si vedeva attorno, mandorli, olivi, grano, ortaglie, come cose che non appartenessero più a lui. Sua era soltanto la catapecchia; ma se si metteva a guardarla come la sua unica proprietà, non poteva fare a meno di sorriderne col più amaro dileggio. Già l'avevano invasa le formiche. Finora s'era divertito a vederle scorrere in processioni infinite su per le pareti delle stanze. Erano tante e tante, che a volte pareva che le pareti tremolassero tutte. Ma più gli piaceva vederle andare in tutti i sensi da padrone sui buffi mobili signorili di quella ch'era stata un tempo la sua casa in città, relitti del naufragio della sua famiglia, ammassati lì alla rinfusa e tutti con un dito di polvere sopra. Nell'ozio, per distrarsi, s'era messo anche a studiarle, quelle formiche, per ore e ore. Erano formiche piccolissime e della più lieve esilità, fievoli e rosee, che un soffio ne poteva portar via più di cento; ma subito cento altre ne sopravvenivano da tutte le parti; e il da fare che si davano; l'ordine nella fretta; queste squadre qua, quest'altre là; viavai senza requie; s'intoppavano, deviavano per un tratto, ma poi ritrovavano la strada, e certo s'intendevano e consultavano tra loro. Non gli era parso ancora, però, forse per quella loro esilità e piccolezza, che potessero essere temibili, che volessero proprio impadronirsi della casa e di lui stesso e non lasciarlo più vivere. Pur le aveva trovate da per tutto, in tutti i cassetti; le aveva vedute venir fuori donde meno se le sarebbe aspettate; se l'era trovate anche in bocca talvolta, mangiando qualche pezzo di pane lasciato per un momento sulla tavola o altrove. L'idea che se ne dovesse seriamente difendere, che le dovesse seriamente combattere, non gli era ancora venuta. Gli venne tutt'a un tratto una mattina, forse per l'animo in cui era, dopo una nottataccia più nera delle altre. S'era levata la giacca per portar dentro la catapecchia alcuni covoni, una ventina, che dopo la mietitura il contadino non aveva ancora trasportato nel suo podere di là e aveva lasciato qua all'aperto. Il cielo, durante la notte, s'era incavernato, e la pioggia pareva imminente. Abituato a non far mai nulla, per quella fatica insolita e per quella sciocca previdenza, che poi del resto non spettava neanche a lui perché quei covoni di grano appartenevano come tutto il resto al contadino, s'era tanto stancato, che quando fu per trovar posto dentro la catapecchia, già tutta stipata, all'ultimo covone, non ne poté più, lasciò quel covone davanti la porta, e sedette per riposarsi un po'. A capo chino, con le braccia appoggiate alle gambe discoste, lasciò penzolare tra esse le mani. E ad un certo punto ecco che si vide uscire dalle maniche della camicia su quelle mani penzoloni le formiche, le formiche che dunque sotto la camicia gli passeggiavano sul corpo come a casa loro. Ah, perciò forse la notte lui non poteva più dormire e tutti i pensieri e i rimorsi lo riassalivano. S'infuriò e decise lì per lì di sterminarle. Il formicajo era a due passi dalla porta. Dargli fuoco. Come non pensò al vento? Oh bella. Non ci pensò perché il vento non c'era, non c'era.
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