La madre, per deliberato proposito, – era democratica sfegatata, – aveva un contegno da popolana e bestemmiava anche; la figliuola aveva appreso con facilità, nelle case borghesi ove frequentava, le forme ester-ne da signorina, le quali in quella casa stonavano. Gustavo, rozzo e semplice, spesso la derideva; si guadagnò l’antipatia della madre più per questo che per la sua scioperataggine.
Alfonso trovò il suo vestito nero steso sul letto, piegato accuratamente.
La signora Lanucci aveva pensato a tutto, dalla cravatta agli stivali lucidi preparati a piedi del letto. Anche Alfonso si sentiva agitato dalla visita che doveva fare. Non aveva le illusioni nutrire dalla signora Lanucci, ma, per contagio, era agitato più che la cosa non valesse. Smise il suo vestito d’ogni giorno e lo gettò sul letto come se non avesse avuto da indossarlo più.
Quando entrò nel piccolo tinello ove desinava la famigliuola, poté illudersi di essere vestito molto bene. Il signor Lanucci lo guardò e volle apparire ammirato dell’aspetto di Alfonso. Gustavo, sucido, con la bocca piena, gli si avvicinò con un sorriso veramente benevolo. A lui il signorino non destava invidia, perché egli aveva tutt’altri desideri: qualche soldo in tasca per poter passare la serata in osteria e null’altro. Allora Gustavo era inserviente presso un gabinetto di lettura e sembrava stesse per far giudizio nel nuovo posto, ove, purtroppo, poco c’era da guadagnare ma pochissimo da lavorare.
Con la camicia di bucato, il solino alto, l’abbondante capigliatura bruna ravviata, vestito di nero, Alfonso era un bel giovanotto. Teneva in mano i guanti chiari comparati quel giorno per consiglio di Miceni. Un occhio più Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 17
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli Italo Svevo Una vita III
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esercitato avrebbe scorto su quel vestito nero qualche tratto lucido logoro, e di più che il taglio non era moderno, il collo troppo aperto, la stoffa poi non buona, tanto che cedeva alla rigidezza della camicia. In famiglia Lanucci non si aveva l’occhio esercitato a queste piccolezze.
La giovinetta Lucia aveva terminato di mangiare, s’era allontanata un poco dal tavolo, appoggiata allo schienale della seggiola, le mani incrociate.
Non fece motto che rivelasse ch’ella si fosse accorta della teletta speciale di Alfonso. Le sue relazioni col giovine erano ottime, e quando era in casa lo serviva volontieri. Le piaceva renderglisi utile perché per ogni passo ch’ella per lui facesse, egli la ringraziava in modo sempre ugualmente vivace. Del resto la gentilezza di modi fra di loro divenne anche eccessiva, perché Lucia trovava finalmente la persona con cui trattare nel modo spiato ai borghesi e incoraggiato dalla madre. Gustavo diceva ch’ella con Alfonso si sfogava.
Il signor Lanucci doveva aver passato la cinquantina. Si tingeva, avendo la tintura gratis in campioni ch’egli si faceva rimettere da case cui offriva di rappresentare, e i suoi capelli erano neri dove l’età non gli aveva imbianchiti, giallognoli dove senza tintura sarebbero stati bianchi. Portava una barba piena lunghetta, condizionata in quanto a colore come la capigliatura. Di sera, per leggere si metteva degli occhiali rozzi, troppo grandi per la distanza fra’
due occhi, piccoli, grigi che quasi poggiavano al naso.
Fece dei complimenti ad Alfonso e lo pregò di sedere accanto lui, onore non accordato più a Gustavo dopo che aveva perduto un impiego discreto procuratogli con somma fatica. Era l’unico castigo che sapeva infliggergli, non avendo per altri né energia, né testa.
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