Aveva lavorato fino allora nel suo ufficio d’informazioni ed ora doveva lavorare dell’altro; per la sera poi non si sapeva se c’era di cena. Affettava maggiore miseria di quanta ne avesse. Fece una volta trase-colare Alfonso il quale, come Ballina stesso si esprimeva, era spugna, col raccontargli che alla fine del mese si nutriva di Emulsione Scott regalatagli da un medico suo parente. Aveva parenti benestanti che dovevano aiutarlo perché ne diceva sempre bene.
Entrò Sanneo come sempre correndo; lo seguiva Giacomo col volto da adolescente serio, un grande fascio di carte sulle braccia, al quale per eccesso di zelo teneva rivolto anche lo sguardo.
Con accento ruvido Sanneo chiese a Ballina perché ancora non scrivesse.
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 12
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli Italo Svevo Una vita II
Q
– Ma… – fece Ballina alzando le spalle – attendo di ricevere la lettera da copiarsi.
– Non l’ha ancora ricevuta? – Rammentandosi ch’era Alfonso che doveva dargliela: – Non ne ha fatta ancora neppur una?
Alfonso s’era alzato in piedi interdetto dallo sguardo bieco che gli veniva lanciato. Miceni rimanendo seduto osservò che neppur lui non ne aveva ancora finita alcuna. Sanneo voltò le spalle ad Alfonso, guardò la lettera di Miceni e lo pregò di consegnarla a Ballina non appena terminata. Uscì con la medesima fretta, preceduto da Ballina che voleva fargli vedere d’essere subito ritornato nella sua stanzetta, e seguito da Giacomo, impettito, che batteva i piedi per terra per dare importanza al suo piccolo passo.
Pochi minuti dopo Miceni consegnò a Ballina la lettera per la copia e Alfonso udì dalla stanza vicina le bestemmie che Ballina mandava con voce grossa d’ira al vedere che la lettera era di quattro facciate.
In un’oretta all’incirca Miceni terminò il suo lavoro. Con tutta calma rifece teletta, mise anche il cappello in testa con tanta cura come se non avesse avuto da levarlo più mai, prese seco le sue lettere e i dispacci che passando voleva deporre dal signor Sanneo, vi unì per compiacenza due lettere scritte da Alfonso e uscì canticchiando.
Nella quiete assoluta il lavoro procedette più rapidamente. Non trovan-doci altro più forte interesse, Alfonso, per legare l’attenzione al lavoro, usava quand’era solo di declamare ad alta voce la lettera, e quella si prestava alla declamazione essendo rimbombante di paroloni e di cifre enormi. Leggendo ad alta voce la frase e ripetendola nel trascriverla, scriveva con meno fatica perché bastava il ricordo del suono nell’orecchio per dirigere la penna.
Si ritrovò con sorpresa di aver finito e andò immediatamente da Sanneo temendo già di aver fatto tardi. Costui trattenne i dispacci e gli ordinò di porre le lettere sul tavolo del signor Maller.
D’inverno il pavimento della stanza del signor Maller era coperto di tappeti grigi. Anche i mobili avevano un colore oscuro grigio, e i bracciali e le gambe, di legno nero. Dei tre beccucci a gas uno solo era acceso e semichiuso.
Nell’oscurità la stanza diveniva più seria. Alfonso vi stava sempre a disagio.
Depose le lettere su un altro pacco che c’era sul tavolo per la firma e uscì con cautela senza far rumore come se il principale fosse stato presente.
Avrebbe ora potuto andarsene, ma una grande stanchezza lo fece rimanere. Si propose di fare ordine sul suo tavolo ma rimase là inerte, seduto a Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 13
ACTA G.
1 comment